Il problema è questo: spesso le persone litigano per delle questioni che si risolverebbero in cinque minuti al massimo, se solo si sapessero certe cose. Ci sono delle regole di base della comunicazione, delle indicazioni su come poter percepire il mondo attorno a noi, delle teorie della psicologia umanistica e un altro paio di cosette che, se tenute a mente, possono davvero stravolgere l’esito di una discussione. E attenzione: non si tratta di manipolazione, si tratta del modo migliore di rispettare se stessi e gli altri. Il libro ha l’obiettivo di rendere fruibili a tutte e a tutti queste regole, raccontandole attraverso esempi di vita vera, per creare cultura insieme.
Premessa: alcuni video di YouTube che aveva fatto Irene sui temi di questo libro, come questo o questo, mi avevano fatto sentire rinfrancata e rinnovata di nuove conoscenze per affrontare il mondo; e ero gioiosa e quasi impaziente all'idea che avrebbe scritto un intero libro su questi temi -- intero libro che, ritengo di dover sottolineare, dura 145 pagine in ebook e 2h in audiolibro, cosa non insolita per Irene, che tende appunto a scrivere libri molto brevi.
Dopo averlo letto, il messaggio che io ho percepito è questo: quando parliamo, parliamo sempre e solo di noi, del nostro modo di vedere il mondo, del nostro filtro. Di conseguenza, qualunque commento che facciamo su tutto il resto che non sia noi non sta veramente parlando degli altri: sta parlando in realtà di noi e del nostro modo di vedere il mondo. Di conseguenza, per ascoltare veramente gli altri, la soluzione che propone Irene non è rielaborare, bensì fare il pappagallo, restituire alla persona esattamente quello che ha detto, senza variazioni o cambi di termini; perché qualunque variazione o cambio di termini sarebbe qualcosa che inseriamo noi, che viene da noi, e che quindi sarebbe indice del nostro modo di vedere il mondo, e non direbbe dunque nulla sull'altra persona. Da alcune frasi nel libro ("i terapeuti devono fare sforzo per arrivarci", per esempio) riassumerei questa richiesta così: Irene vorrebbe che noi parliamo con gli altri esattamente come i terapeuti parlano con i loro pazienti.
Ecco, io questo principio fondamentale del libro non lo posso accettare neanche un po'; non solo, ma ritengo che sia giusto ed etico non accettarlo, perché vi rilevo due problemi fondamentali.
Innanzitutto. Se tutto quello che diciamo parla sempre e solo di noi, e non parla del resto del mondo, nessuno è escluso: qualunque affermazione che chiunque abbia fatto su qualcosa che non riguardasse se stesso, in realtà era un modo contorto per parlare di se stesso. E per chiunque non intendo solo i vostri amici; intendo tutti gli scienziati (fisici, biologi, chimici, ma anche psicologi e sociologi); e poi filosofi, storici, giornalisti, recensori, blogger, avvocati, giudici, poliziotti. Sostanzialmente, secondo quello che io traggo dalle conclusioni di Irene, saremmo condannati a parlare sempre e solo di noi stessi, senza sperare che quello che diciamo abbia qualche legame con il mondo; ed è ovvio che con questa conclusione si ricade nell'arbitrio assoluto e qualunque affermazione ha lo stesso grado di verità: sono tutte egualmente false. Irene risolve questo enorme problema (facendo l'esempio più estremo di tutti, gli antivax, ma non ci sono solo loro, naturalmente) cavandosela con frasi come "entra in gioco la competenza" e "ci sono degli studi", ma a mio modo di vedere non lo affronta seriamente, perché, come chiunque mastichi un po' di scienza sa, la competenza non è una Verità rivelata: in un metodo scientifico, la conoscenza deriva dall'osservazione del mondo, dalla formulazione di ipotesi e dalla verifica o falsificazione di quelle ipotesi. Se qualunque cosa detta da chiunque parla della persona che ha espresso quella frase e non del mondo esterno, non avrebbe alcun senso verificare o falsificare le ipotesi, perché potremmo essere già certi che quelle ipotesi non hanno alcun legame con il mondo che stiamo guardando. E fortunatamente per noi, no, non è così: sappiamo che ha senso verificare o falsificare le ipotesi, perché abbiamo la prova che delle volte facciamo delle affermazioni sul mondo che certamente parlano anche di noi, ma parlano anche del mondo. L'esempio più inflazionato è quello della gravità, ma regge perfettamente in questo caso: la legge di gravitazione universale modella la gravità come due corpi di massa m e distanti r, e scrive quanto vale la forza di gravitazione universale tra di loro; e sebbene possa essere anche un modo per gli umani del XVI secolo di modellizzare in questo modo semplice la gravitazione universale, non si può negare che questa formula predica abbastanza bene la velocità di fuga necessaria per uscire dall'attrazione gravitazionale di un pianeta; e dunque, qualcosa, del mondo, lo afferma eccome. La relatività generale è una teoria più raffinata, che modella la gravità come la curvatura dello spazio-tempo; e sebbene questo anche può dire come noi esseri umani del XXI secolo modelliamo la gravità, predice i buchi neri, predice la precessione di Mercurio, lo shift gravitazionale, e tante altre cose. Se dunque i modelli possono venire da noi, e infatti spesso se ne trovano di equivalenti che descrivono lo stesso fenomeno, le previsioni no, non vengono da noi, sono reali, possono venire verificate o falsificate; a meno che non si ritenga che anche queste previsioni vengano da noi, e a quel punto allora si ricade nel solipsismo più totale --.posizione che neanche Irene, sono sicura, sosterrebbe. Al di là del discorso sui modelli scientifici, comunque (e a proposito: spunto interessante per chi è curios*), certamente possiamo chiederci le quantità: quanto, cioè, quello che diciamo stia parlando di noi e del nostro modo di vedere il mondo, e quanto invece stia parlando del mondo. Ma concludere che quando parliamo non parliamo mai del mondo, e se ci azzecchiamo è per puro culo, come mi pare si suggerisca nel primo capitolo di questo libro, mi sembra non solo di un narcisismo spaventoso (perché sembra che quindi l'unica cosa che possiamo dire è ioioioioioioioio -- e infatti gli altri capitoli di fatto suggeriscono questo), ma anche fattualmente errato.
Arriviamo adesso al secondo problema, che parte con una premessa: io sono stata in terapia. Essendo stata in terapia, ho fatto esperienza del fatto che il terapeuta debba assumere esattamente la lente di cui parla Irene, quando parla con un paziente; e di conseguenza, anche la tecnica di ascolto che Irene suggerisce è perfettamente ragionevole quando si parla di terapia: l'autorealizzazione delle persone, il non giudizio, il non dare consigli, il non rassicurare... i terapeuti che lavorano bene fanno esattamente questo, proprio perché i pazienti di un terapeuta hanno bisogno che questo succeda, hanno bisogno di uno specchio per potersi vedere e capire meglio. Peccato che qui ci si sta dimenticando un aspetto fondamentale, e mi sorprende che proprio Irene, che parla di parità per mestiere, se ne dimentichi: il rapporto con il terapeuta non è paritario. Proprio perché, come Irene sottolinea cento miliardi di volte, l'Ascolto Vero è concentrato sull'altro, se io sono dalla terapeuta, io sono concentrata su di me e la terapeuta è concentrata su di me: tutte e due siamo concentrate su di me, lo scopo di entrambe è me. Ecco perché, per ogni cosa che affermo, la terapeuta si concentra su ciò che quella cosa sta dicendo di me: lo scopo del colloquio non è una dissertazione sui massimi sistemi, è me. La terapeuta non si aspetta che io le chieda "come va?", per dire, a parte per brevi convenevoli all'inizio: si parla di me, e solo di me. Voi capite benissimo che se io avessi una relazione del genere con i miei amici o con il mio fidanzato mi manderebbero a fare in culo nel giro di due petosecondi: se io voglio avere relazioni paritarie, lo scopo delle mie relazioni non può essere solo me. E infatti, pensate un po', i terapeuti si pagano, proprio perché ci offrono un servizio, a concentrarsi su di noi per 50 minuti alla settimana. Poi per me un terapeuta di base dovrebbe essere gratuito, come il medico di base; ma il concetto che voglio dire è che quello che fanno è un lavoro, un servizio per qualcuno.
Da queste considerazioni giunge ciò che io probabilmente farò con le informazioni di questo libro: sicuramente le assimilerò e ne farò tesoro (ho anche preso appunti, come faccio spesso quando leggo un saggio), e magari le userò per i miei amici, quando sentirò che hanno un particolare bisogno di sfogarsi per qualcosa che loro considerano grave, come un lutto o una molestia, o quando voglio risolvere una controversia o una incomprensione con qualcuno.
Ma una cosa deve essere chiara, e voglio scriverla perché qualcun altro la legga (anche se ovviamente non raggiungerò le stesse persone che ha raggiunto Irene): non è assolutamente una nostra responsabilità farlo per tutti, e invece lei qui prova a convincervi che invece sì, l'ideale sarebbe farlo per tutti, perché sappiamo che è la tecnica comunicativa migliore e dovremmo provarci praticamente con chiunque, compreso il Tizio A Caso su internet, perché non sappiamo come potrebbe reagire, magari gli serve, eccetera.
Beh, ragazzi, è la tecnica comunicativa migliore per i terapeuti, e qui io lo scrivo, lo sottoscrivo, lo sottolineo e lo riquadro se necessario: gli amici NON SONO terapeuti (e vale anche il viceversa: i terapeuti non sono degli amici). Proprio perché manca la parità di cui parlavo, gli amici non sono da considerare dei terapeuti, e farlo può far del male a loro, potenzialmente molto male. Se qualcuno pretende da voi che vi comportiate come un terapeuta ogni volta che ci parlate, non siete tenuti a rispettare il suo desiderio perché magari gli serve; e anzi, probabilmente farebbe bene a voi e a quella persona farle sapere che probabilmente quello che le serve è un terapeuta, non un amico/fidanzato/parente/genitore/figlio/eccetera. Comportarsi con le altre persone come se al centro ci fossero sempre loro, e non entrambi (e quindi anche noi), porta a relazioni estremamente squilibrate nei confronti di una delle due persone; e queste relazioni di solito degenerano in comportamenti tossici, in abusi e in traumi -- perché le persone ci mettono due nanosecondi ad approfittarsene.
Per questo ritengo particolarmente importante sottolinearlo: NO, non avete la responsabilità morale di comportarvi così, di fare i terapeuti; è una scelta totalmente e assolutamente volontaria che potete pensare di compiere in casi eccezionali, quando tenete veramente molto alla persona con cui state parlando e al rapporto che avete con lei, e quando soprattutto vi fidate e sapete che c'è un rapporto di fiducia, che quella persona non ne approfitterà, che la fase durerà relativamente poco, eccetera. Ma non è vostro compito farlo per tutti, sempre, indiscriminatamente; in particolare su internet forse sarebbe bene non farlo mai, anche perché non avendo la persona di fronte a voi, vi perdete il tono di voce, l'intonazione, l'espressione del viso, e in generale una marea di informazioni che potrebbero essere utili per capire cosa sta succedendo all'altra persona.
Per il resto, certo che quando si conversa con qualcuno, sarebbe bene cercare di non parlare sempre e solo di se stessi e di far parlare anche l'altro; ma qui ve lo devo chiedere: c'è veramente bisogno di tirare in ballo la psicologia sociale, per spiegarlo, o lo capite in due secondi netti?
Insomma: la sensazione che ho ottenuto da questo libro è che mi sono sentita obbligata da Irene a trattare gli altri (e, mi verrebbe da dire, lei in particolare) come se io fossi la terapeuta di chiunque; e la mia risposta è questa, all'autrice in particolare (e sì, giudico, consiglio, interpreto e quanto volete): se senti di averne bisogno, paga qualcuno; ma non pretendere che i tuoi amici ti facciano da terapeuta. Per un caso totalmente fortuito, Irene un po' di tempo dopo ha fatto sapere che si è resa conto che aveva bisogno della terapia, e infatti ci è andata (video). Quindi, di fatto con questa considerazione ci ho azzeccato. Ma sicuramente sarà stato un caso.
Il problema è che sono una persona pigra, e in quanto tale mi faccio spesso e volentieri sedurre da questo ramo di saggistica divulgativa in pillole, nella speranza di trovarci insieme la botte piena e la moglie ubriaca; cioè di ottenere nuove nozioni interessanti senza fare la fatica di leggere quei mattoni di settore colmi di tecnicismi. Questo libro se non altro mi è servito perché mi ha aperto gli occhi una volta per tutte: la scorciatoia non esiste... È una trappola.
Creiamo cultura insieme è stato una sorpresa, nel senso che fino all’ultima pagina non ho avuto davvero chiaro quale fosse il suo intento e ancora adesso ho dei dubbi. All’inizio credevo che il saggio volesse spiegare una sorta di metodo per creare conversazioni imperniate sul significato e non sui vaneggiamenti personali; detto così sembra una cosa un po’ bislacca ma è quel che mi era venuto in mente leggendo il titolo “creiamo cultura”. Tipo, "creiamo discussioni di valore". Tuttora, a lettura conclusa, non ho capito perché l’uso del termine cultura, non ne parla se non nelle conclusioni, il che mi è sembrato un po’ un vabbuo prima di concludere lo scrivo almeno una volta dai. Sicuramente dà al vocabolo un’accezione diversa da quella che penso io, ma comunque, in un libro che non vuole dare niente per scontato, questo non è spiegato. Quando poi ho letto la premessa mi sono ricreduta e ho pensato che il libro volesse essere un bon ton della conversazione nell’era in cui ognuno ha la possibilità e la libertà di dire la propria su ciò che vuole, e pensavo che fosse soprattutto una reazione all’hate imperante sul web. IN REALTÀ a lettura completata direi che questo libro spiega come gestire una conversazione evitando potenziali conflitti fra due soggetti, più verosimilmente fra due soggetti IRL che si conoscono (vale soprattutto per la seconda parte del libro). Che non è che fosse proprio una roba che mi interessava, ma diciamo che la colpa è mia, perché non leggo mai le sinossi.
Al di là del titolo, in generale Facheris ha un punto di vista che non è per niente simile al mio e su molti argomenti mi trovo attivamente in disaccordo. Di certo non le ho trovate nozioni che possono essermi d’aiuto nella vita. Di seguito scrivo qualche appunto, giusto per concretizzare. In ogni caso, non consiglio questa lettura. Beh che dire... Almeno è stata corta. Cheers.
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Capitolo 1-2 A poche pagine dalla fine della premessa ho intuito con rammarico che probabilmente la lettura non avrebbe soddisfatto le mie aspettative. E direte: “Eh appunto nvedi che non hai capito devi ascoltare prima di giudicare oooohhhh”. E vi rispondo: ma io mica posso ibernare il cervello fino a pagina 74! È proprio questo il punto: l’autrice impernia tutta la sua tesi su un presupposto, l’inaffidabilità del processo induttivo. La sua idea è che potenzialmente “ci sia sempre qualcosa dietro” rispetto alla visione che noi ipotizziamo partendo da specifici elementi esterni. Non sono una specialista, ma leggendo il suo ragionamento e vedendo Watzlawick in bibliografia, credo di prenderci se dico che questa idea trae le sue radici dal costruttivismo, secondo cui l’unica realtà che l'uomo può percepire è di natura soggettiva; che già di per sé è un filone che non amo, ma soprattutto lei l’ha preso e l’ha rielaborato per creare un concetto tutto suo che snatura il pensiero originale. L’idea che non si debba dare mai nulla per scontato, perché le persone potrebbero essere diverse da come ci sembrano, racchiude un’ingenuità molto tenera, che in una narrazione mi farebbe dolcemente sognare, ma che trovo inaccettabile in un saggio. (PARENTESI. Ma sapete che sono arrivata a metà lettura con la ferma convinzione che questa ragazza fosse più giovane di me? Un po’ perché all’inizio parlava dell’università col tono di un’universitaria, e poi proprio perché presentava delle idee che trovo ingenue - ammetto che alcune le pensavo anche io quando ero più giovane. Spoiler: poi ho cercato su Google e ho scoperto che ha 3 anni più di me.) Fatto sta che tutta questa premessa secondo me è da cassare, perché le persone fanno cagare*EHR-EHM sono banali. E si comportano in modo banale. Quindi, se una persona sembra X, molto probabilmente lo è. :surprisedpikachu: È deprimente, ma credetemi. E non penso che per azzeccarci si debba essere fortunati (pag. 20), io personalmente a fortuna malissimo, però bisogna essere buoni osservatori. Ipotesi flame: forse, se la pensa così, lei non lo è. Altra nota: sono sicura che anche questa teoria abbia dei fondamenti psicologici, ma sta cosa che mentre uno elabora gli r1 in r2 si perde gli altri r1 secondo me non sta in piedi. Cioè un tizio normodotato ce la fa a portare avanti l’elaborazione in parallelo alla ricezione. GIURO OH.
Capitolo 3 Anche qua trovo alla base del discorso un'idea che non condivido: presumendo che sentirsi offesi è una reazione a qualcosa, se una persona è sufficientemente insensibile da offenderti, dubito sia poi in grado di cogliere finezze lessicali e di apprezzare il fatto che tu stia usando il "messaggio in prima persona" per evitare di colpevolizzarla. Peraltro, se voi siete gli offesi e usate questa tecnica, rischiate di trasmettere al vostro interlocutore l'idea che VOI siate il problema in quanto siete VOI ad offendervi; messaggio sbagliato, perché i problemi nascono praticamente sempre dalla causa (ciò che offende), non dalla conseguenza (offendersi), perlomeno a livello morale.
Capitolo 4 Le emozioni e i bisogni non si scelgono: una nozione interessante, e quando Facheris scrive che le emozioni sono sacre penso intenda dire che “non si possono questionare”; semplicemente perché, se una persona attesta di provare l’emozione X, non abbiamo nessuna autorità di affermare il contrario. Trovo comunque simpatica la scelta dell’aggettivo sacro, cioè di dargli un’accezione così sublime. Non poter scegliere è un vero schifo, in realtà. C'è però una buona notizia: anche se non ci è dato di creare e distruggere le emozioni e i bisogni a nostro comando, possiamo comunque controllarli - che è diverso da reprimerli. Ci sono poi persone egocentriche che preferiscono perseguire ed assecondare i propri bisogni a discapito degli altri perché non gliene frega un cazzo di niente e nessuno, ma questo is not contemplato.
Capitolo 5 Verso la fine di questo capitolo le scappa di dire di sfuggita una cosa bella: spesso non siamo in grado di trovare il termine giusto per esprimere e comunicare i concetti che abbiamo in testa. Su questa nozione sviluppa poi un discorso che per me non è molto interessante, ma è riuscita a toccare di striscio un’idea che io sostengo con convinzione: ovvero che l’incapacità di servirsi in modo adeguato della parola sia una delle cause principali di tutte le discordie. Ecco perché nascono le discussioni e i conflitti! Perché tante persone non sanno parlare, usano le parole senza valutarne il peso e le possibili interpretazioni, o nei casi più drastici rinunciano proprio ad usarle... Ancor peggio se si parla dell’abilità di scrivere, e infatti vedi che succede nel web. Credo che in alcuni casi ciò che serva non sia né un corso di educazione né un bigino di psicologia spiccia, ma una lezione di lingua.
Capitolo 8-9 Siamo nel clou della seconda parte del libro, quella che spiega nella pratica come comportarsi e come essere dei buoni ascoltatori. Parlando per esperienza personale, a me non dispiace affatto quando le persone mi danno consigli e fanno commenti nel momento in cui mi confido con loro. Mi piace anche quando mi fanno attivamente delle domande mentre parlo. Ovvio, mi piace solo quando tutte queste esternazioni sono sincere, e con sincero intendo dire che ascoltando il mio racconto gli è venuto naturale dirmi ciò che mi hanno detto. Il fatto è che quando qualcuno ci racconta qualcosa, soprattutto se si tratta di qualcosa di spiacevole o di delicato, spesso andiamo nel pallone e non sappiamo cosa rispondere; e quindi, sostanzialmente per non fare scena muta, ce ne usciamo fuori con delle frasi di circostanza imbarazzanti, oppure blaterando idiozie fuori luogo. A mio avviso questo è il vero dramma dell'essere un buon ascoltatore. Se però mi dite che posso anche fare pokerface e limitarmi a rielaborare quel che mi si dice, io ci sto :')
La prima cosa che mi chiedo, dopo aver letto questo scritto (perché definirlo saggio o manuale?), è come mi sento. Come mi ha fatto sentire. Posso solo dire che avverto in me una chiarezza, una limpidezza e una voglia di rendere le cose meno stressanti, e naturalmente più produttive. Devo essere sincero. Seguo Irene, mi sono avvicinato a queste tematiche da un po' di tempo e le ho anche studiate a scuola grazie al mio indirizzo di Liceo, quindi non era tutto inaspettato. Però è stata una chiave di lettura innovata, utile e arricchente. Serviva, serve, servirà. Perché siamo circondati da un'oscurità multiforme, l'unica arma a disposizione è praticare cultura. Insieme. Questo libro ci riesce, vi farà del bene. Fidatevi.
“Possiamo scegliere, insomma, di creare cultura insieme. Lo facciamo?” Che dire? Libro letto ma soprattutto capito/assorbito in 2 orette. Mi ha lasciato veramente tanto, lo consiglio a tutti... dai più piccoli ai più grandi! Complimenti Irene, hai centrato il punto!! Recensione più approfondita sul mio canale YouTube 😊😊
Mi dispiace molto dare solo due stelle perché Irene in realtà la seguo e ascolto molto volentieri e mi sono quasi sempre trovata d'accordo con quello che dice, e questo vale anche per questo libricino. Tuttavia il modo in cui è scritto è davvero troppo colloquiale, è come un lunghissimo post di Facebook.. Gli argomenti trattati sono interessanti ma probabilmente non innovativi per chi studia psicologia (forse anche a livello amatoriale). L'ho trovato caruccio ma non di più, penso che per il modo in cui fa informazione Irene (Utilizzando un linguaggio che possano comprendere un po tutti) sia molto più efficace un video su you tube o un podcast (Che infatti mi piacciono sempre molto), nel libro perde un pò
Un libro semplice e breve, ma esaustivo nel suo scopo. Irene, che già seguivo sui social per gli interessanti temi trattati, spiega in modo intelligente come poter interagire con gli altri in modo costruttivo, senza alimentare conflitti e scontri dovuti dai giudizi. Il linguaggio è alla portata di tutti, e questo lo rende un libretto tascabile quasi da portare sempre con noi (io, ad esempio, l’ho riempito di sottolineature e sono sicuro tornerò a leggerlo al bisogno per riprendere quelle nozioni un po’ più tecniche). Lo consiglio sicuramente a chi, come me, è interessato a tematiche sociali.
"Arriva un punto nella vita in cui ti rendi conto che quella cosa che ti serve devi crearla tu, perché nessuno lo farà al tuo posto."
"Io credo che un concetto importante vada detto nella maniera più chiara possibile, perché la cultura non dovrebbe appartenere solo si letterati e dovremmo smettere di pensare che difficile sia sinonimo di intelligenza."
"Posso davvero essere così arrogante da pensare che siccome non lo sto vedendo significa che non ci sia? Non poter vedere o sentire tutto significa che non possiamo avere ogni punto di vista. [...] Noi conosciamo la realtà per come appare ai nostri occhi. Non abbiamo un quadro completo, e la descrizione che facciamo di quei piccoli frammenti che vediamo dice molto poco della realtà in sé: dice molto di più di noi e dei nostri occhi che la stanno guardando."
"È questa la ragione per cui giudicare gli altri non è mai una buona idea. Perché gli altri non li conosciamo, perché il nostro punto di vista è parziale, perché non spetta a noi."
"Comprendere non significa condividere, cioè vedere le stesse cose e attribuire gli stessi significati. Comprendere il punto di vista dell'altro non vuol dire assumerlo. Comprendere e condividere sono due film differenti."
"I miei bisogni parlano di me, l'insieme dei miei bisogni costituisce una parte rilevante della mia soggettività. Se capisco i miei bisogni capisco chi sono. Questo percorso di comprensione, già di per sé non facile, è ostacolato - se non addirittura inibito - da un precedente intervento da parte della società che ci indica quali bisogni si possono sentire e quali no, quali bisogni si devono sentire e quali non si devono sentire affatto. E se è comprensibile che la cultura ci orienti, non è accettabile che ci determini."
"Il fatto che una cosa possa comunque andare male significa che non dobbiamo adoperarci per fare del nostro meglio affinché vada bene?"
"Noi facciamo degli errori, ma questo non ci rende sbagliati. Possiamo commettere azioni anche orrende, ma non possiamo credere che siano solo quelle a definirci. [...] perché so che ho fatto quegli sbagli, ma non sono quegli sbagli. Non lasciare che mi definiscano mi lascia libera di tenerli con me, senza negarli o minimizzarli."
"Un giudizio chiude la porta e ci impedisce di vedere che altro c'è."
È davvero un bel libricino, che si legge in un paio d'ore e ti aiuta a prendere consapevolezza degli errori che si fanno parlando con gli altri (e soprattutto cercando di ascoltarli).
Non ho neanche voglia di recensirlo, ci sono varie recensioni che distruggono l'ultima parte meglio di quanto possa fare io. Dico solo che ero partita con l'idea di dargli 4 stelline, poi ho ascoltato la seconda metà dell'audiolibro e mi sono innervosita, volevo quasi mollarlo. No.
Questo libro è troppo breve, ed è probabilmente il suo unico difetto (sorvolando sul fatto che ti costringe a metterti in discussione, che però forse è un pregio, no?). Lo stile è davvero semplice, ed è funzionale allo scopo del libro, ovvero quello di fornire una serie di nozioni base per una comunicazione efficace con l’altro ed arrivare a più persone possibili. Il sottotitolo è chiaro: “10 cose da sapere prima di iniziare una discussione”, anche se in realtà il testo non si limita a questo, i capitoli sono 10 certo, ma non è questo che intendo. Dicevo prima che il libro costringe a mettersi in discussione. Questo perché come l’autrice sottolinea più volte, le nozioni che ci presenta, nessuno ce le insegna a scuola. Non ce le insegnano da nessuna parte. L’autrice ci guida all’interno di un percorso che ci porta a diventare maggiormente consapevoli rispetto a quello che facciamo inconsapevolmente tutti quando parliamo o discutiamo con qualcuno, oppure quando qualcuno ci chiede di essere ascoltato, o di dare un consiglio. Più in generale ci dà alcuni strumenti per un ascolto e una comunicazione davvero efficace con, potenzialmente, chiunque. È per questo che lo ritengo un libro stimolante e assolutamente necessario.
Parto col dire che il contenuto del libro mi è piaciuto, il tema è interessante e ben articolato per step, ma il loro sviluppo e soprattutto la scrittura li ho trovati davvero mal fatti, al punto da farmi dare due stelle. L'autrice parte dal presupposto di voler utilizzare un linguaggio semplice e fruibile da tutti, ma il risultato è stato una specie di post facebook dal tono troppo colloquiale, per i miei gusti. L'improvviso discorso diretto, le continue domande, incisi a volte ridicoli (del tipo "sapevo sarebbe arrivato il momento per tutti di sorbirci un po' di Freud" o "non potevo non citare ancora Harry Potter, perdonatemi") stonano totalmente con il livello degli argomenti esposti, che meritavano, sempre a parer mio, una maggiore serietà, il che non obbliga alla scelta di un linguaggio accademico, ma nemmeno così elementare. Altro aspetto per me negativo è l'estrema ridondanza di alcuni concetti. Presumo sia stata una scelta consapevole essendo alcuni di essi di non facile comprensione e/o accettazione, ma alla lunga ti annoia, leggi e leggi e sembra di essere fermi sempre sullo stesso punto.
Come si diventa adulti in una società così esposta? Questa è una domanda che personalmente ho trovato all’interno del libro, ma non fornisce la risposta. Saper rispondere al quesito spetta solo a noi e Irene cercando darci una mano, come? Offrendoci un manuale per creare cultura insieme, cioè raccogliendo teorie e studi psicologici e umanistici e riportandoli in un libro reso fruibile per tutti. E intendo dire tutti. Viene esposto il modo in cui è possibile ascoltare, osservare e dialogare con gli altri senza giudicare e tenendo aperta la mente e ascoltare il punto di vista degli altri, perché è possibile farlo senza condividere ciò che viene detto. Creiamo cultura insieme è un libro necessario nella società di adesso, mettendo in atto ciò che viene detto è possibile creare discussioni pacate, senza litigare, accogliendo e ascoltando veramente ciò che gli altri hanno da dire. Una volta finito, prestate il libro ad altri perché ne avranno bisogno. E poi finalmente potremmo imparare a capire, comprendere, condividere ed essere empatici, ma stavolta per davvero.
Allora. Libriccino piccolo ma secondo me ben fatto. L'autrice non l'avevo riconosciuta, ma in realtà la seguivo su YouTube una vita fa, forse ancora prima del canale Parità in Pillole! Mi ha fatto piacere leggere la prima parte del libro perché per tutto il tempo ho pensato che erano tutte cose che già sapevo/pensavo e che era fantastico vedere i miei pensieri in maniera ordinata, espressi in un linguaggio convincente (* ̄∀ ̄) Per quanto riguarda la seconda parte invece, non mi sono trovata pienamente d'accordo. Non so quanto io possa dire di essere d'accordo o meno proprio in merito a questo libro, dato che sono concetti di psicologia e sociologia che io non ho studiato, ma leggendo ho storto un po' il naso, non posso farci nulla ┐(´~`)┌ In generale comunque l'ho trovato un bel libriccino, istruttivo e non pretenzioso. E poi mi ha conquistata già nella premessa con la citazione di Harry Potter, avrebbe effettivamente potuto dire qualunque cosa dopo.
Mi ritrovo davanti ad un libro dalla piccole mole. 74 pagine . "Ma sì ho mezz'ora di spacco oggi a lezione lo leggerò senza problemi" . Ed è qui che mi sbagliavo. Più volte io ho chiuso un libro ,per un momento, per poter riflettere. Leggere questo libro è poter cogliere diversi spunti di riflessione . È questo è stato per me un vero piacere . La parità, l'ascolto dell' altro sono cose oggi sottovalutate ma che ognuno dovrebbe un po' riscoprire. Irene Facheris riesce a rivolgersi al lettore senza però farsi mancare un registro che è sì divertente e colloquiale ma professionale.
Un libro che ti obbliga a fermarti e riflettere e che impedisce la deresponsabilizzazione nelle relazioni umane. Si tratta di basi che, mentre si leggono, ti fanno pensare "perché non ci ho pensato prima?" senza per questo rendere il contenuto banale ma, anzi, facendo percepire la difficoltà di mettere in atto questi stili comunicativi. Assolutamente consigliato, scorrevole e semplice per tutti. Andrebbe letto per poter creare veramente cultura insieme.
È raro che un libro che tratta un argomento così diverso dagli ambiti che di solito mi interessano mi incuriosisca abbastanza da voler approfondire il discorso, ma questo l'ha fatto. Si legge in pochissimo tempo ed è chiaro ed efficace. Soprattutto, tratta argomenti davvero utilissimi per tutti e vorrei averlo letto prima.
Bella l’idea di partenza ma non mi ha convinta. A tratti è ripetitivo, inserisce frasi frivole/molto colloquiali (come altre persone hanno commentato “da post di Facebook”) che non c’entrano niente, parte dal presupposto che chi legge non sa niente o non applica alcuna di queste tecniche - magari in modo meno consapevole e senza tutte le conoscenze teoriche che lei dà brevemente (direi che può valere se lo si fa leggere ad adolescenti, ma se una persona adulta si approccia al libro e al lavoro dell’autrice it’s safe to say che una base di ascolto attivo, empatia vera ecc ce l’ha). Ascoltato cone audiolibro a tratti il tono di Irene mi dava fastidio, mi risulta un po’ pedante/saccente, preferisco ascoltarla in dialogo con altre persone come nel suo podcast Palinsesto femminista.
E per finire, contenuto con spunti utili ma pone standard assolutamente esagerati, adeguati a un dialogo tra psicoterapeuta e paziente non a persone nella vita di tutti i giorni. Al massimo alcuni spunti van bene per conversazioni difficili/emotive con pochissime persone selezionate nella propria cerchia, e anche lì seguirei le indicazioni solo fino a un certo punto perché il passo verso l’accollarsi i problemi altrui e diventare la psicologa degli altri aggratis è brevissimo.
altro libro partorito da una youtuber che ha senso di esistere. irene con cede alla tentazione di scrivere un’autobiografia ma si lancia piuttosto sulla stesura di un mini saggio/guida sull’ascolto. un’ottima introduzione al tema e un passe-partout per il quieto vivere da far leggere a chiunque. ottima mossa cimdrp
Si sa che nelle discussioni, spesso, rischia di vincere chi urla più forte. Se poi parliamo di discussioni online, tocchiamo proprio il fondo.
In questo piccolo volume, Irene, già ideatrice di una meravigliosa serie di video educativi/di divulgazione su YouTube, si propone di insegnarci, in modo chiaro, semplice e accessibile le basi della comunicazione tra esseri umani. Così, affrontando dieci macro-tematiche, ci accompagna in un viaggio molto interessante alla scoperta di ragioni e metodi in cui far funzionare il nostro cervello quando ci troviamo a discutere, conversare o confidarci con qualcuno di cui ci importa. Il risultato è un libro breve, ma molto utile. Assolutamente chiaro in ogni suo aspetto, scritto con un lessico preciso ma mai troppo tecnico, spiegato con competenza anche nei dettagli, questo libro riesce a farci interessare di un argomento a cui di solito nessuno fa mai caso, e riesce a spiegarci in modo incredibilmente chiaro dei concetti che possono esserci davvero utili, se applicati alla vita di tutti i giorni. E' un libro rapido, che si legge in fretta sia perché è breve, sia perché è scritto molto bene e riesce a incuriosirci tanto da andare avanti con voglia nella lettura. Insomma, un libro semplice e molto breve, forse adatto più che mai a un pubblico piuttosto giovane, ma è una lettura piacevole e utile che consiglio.
E il compito finale, poi, ovvero quello di metterli in atto, Irene lo lascia a noi. Speriamo di riuscire a creare un po' di cultura insieme.
Libro veloce, con diversi spunti interessanti su come discutere con le altre persone, senza giudicare la persona che ci sta difronte. Direi consigliato a tutti.
Ho ordinato questo libro conoscendo e seguendo Irene e le sue rubriche tanto con Bossy che sul suo canale YouTube, quindi parzialmente sapevo cosa aspettarmi. Il linguaggio non è affatto complesso, tecnico o astruso, anzi, è molto accessibile, chiaro e le costruzioni non sono complesse. I contenuti sono spiegati in maniera semplice ma non superficiale o incompleta. Complessivamente è stata una lettura molto rapida ( tanto per l'effettiva lunghezza dell'opera quanto per il mio essere una lettrice ben allenata) ma ricca ed illuminante. Nonostante fossi già in parte informata ed avvezza ad alcune tematiche presentate nel libro ci sono state delle parti ( soprattutto negli ultimi capitoli) che ho trovato interessanti e, soprattutto, utili. Lo consiglio a chiunque voglia imparare cose nuove e farsi ( e fare anche al prossimo) un favore. Sicuramente sfrutterò la bibliografia a fine libro per acquistare altri volumi affini, trovando le tematiche interessanti. Un ottimo, ottimo, ottimo lavoro. Non lasciatevi influenzare negativamente dalla brevità del libro ( sì, c'è chi giudica negativamente un'opera corta perché la ritiene incompleta o lacunosa). Alle volte essere brevi e concisi è la maniera migliore per far arrivare un messaggio ( e per andare anche incontro a chi non ha molto tempo libero per leggere a propria disposizione) e l'autrice ci è riuscita in pieno.
Noi in quanto esseri umani siamo un valore infinito.
Questo saggio, primo libro, e si spera di una lunga serie, dell'autrice è la forma scritta e approfondità di una delle tante tematiche affrontate nel consueto e settimanale "Parità in pillole" (che aimé sta concludendosi): come affrontare nel modo corretto una discussione, come ascoltare nel modo corretto l'altro senza mettere se stessi al centro, ma il diretto interessato. Un piccolo e semplice manuale per imparare a vivere meglio la propria vita e relazionarsi in modo migliore con gli altri, una guida per capire come non giudicare preventivamente le altre persone, ma saper capire come si sentono. In poche parole, perché altro non saprei dire, un libro che tutti, e sottolineo tutti, dovrebbero leggere SUBITO!
Le emozioni sono qualcosa che non può essere giudicato, perché io non me la prendo "troppo", io me la prendo come me la prendo. Non è né troppo né troppo poco, è come me la prendo io. Che diritto abbiamo noi di giudicare?
Ho adorato dall'inizio alla fine. Ammetto di essere triste di aver finito questo libro, che ho tanto a lungo lesinato ma lo chiudo sapendo che lo riaprirò continuamente. Ero già familiare con alcuni dei concetti discussi da Irene ma su certe cose non fa mai male una rispolverata. Anche perché se letto con superficialità, si potrebbe pensare di sapere già tutto ma così non è. Questo piccolo tesoro ci rammenta che possiamo sempre migliorare e non dobbiamo smettere di pensarlo, ne odiarci se sbagliamo.. sono le nostre scelte a definire chi siamo :) (semi-cit) Ps. in particolare ho a cuore il capitolo 9. Grazie mille per averci insegnato a creare cultura insieme!
Irene non può che essere una certezza: nel linguaggio semplice e accessibile a tutti; nei temi sempre attuali e nella professionalità che sempre si sente quando parla e si vede quando scrive. Questo libro è uno di quelli semplici, che ti accarezzano con conoscenze superficiali, un’infarinatura generale, ma che ti sa portare sul pratico con esempi di tutti i giorni ai quali chiunque si può rivedere. È un gioiellino per i più giovani che vogliono approcciarsi alla lettura e a questi temi. La cultura che si propone di creare Irene, con chiunque la segua e la legga, ha un grande peso storico in questo momento. E meno male.
Libro scritto in maniera semplice, quindi adatto anche ad un pubblico giovane (come afferma la scrittrice). Tratta diversi argomenti che sono alla base delle relazioni umane. Penso vada letto anche più di una volta, per capire davvero a fondo questi concetti e poterli mettere in atto. Do 4 stelle su 5 perché mi aspettavo fosse un po’ più lungo e parlasse in maniera un po’ piu’ concreta per tutto il libro. Per carità, gli esempi sono stati utilissimi, ma vorrei saperne di più. Aspetto il secondo libro con degli approfondimenti, lo leggerei molto volentieri!