The author visits her Italian hometown, Bagheria, in an attempt to make peace with the aristocratic family she has rejected and condemns the destruction of Sicily's artistic and architectural treasures in its transition into a modern city
Dacia Maraini is an Italian writer. She is the daughter of Sicilian Princess Topazia Alliata di Salaparuta, an artist and art dealer, and of Fosco Maraini, a Florentine ethnologist and mountaineer of mixed Ticinese, English and Polish background who wrote in particular on Tibet and Japan. Maraini's work focuses on women’s issues, and she has written numerous plays and novels.
Alberto Moravia was her partner from 1962 until 1983.
Dopo averla visitata (1996) in tutto il suo orrendo scempio edilizio, mi decisi a leggere questo libro. Altrettanto osceno. La Maraini scrive con uno stile affastellato, dove gli aggettivi si accavallano senza ritmo per costruire un fittizio sentimento sottolineato dalle parole (stupore, dolore, gioia, rimpianto) più che dalla narrazione. A un certo punto le pagine mi sono apparse oscene: saltella di qua e di là, tra trionfi di gola, il suo amore per il padre e lo scempio per il suo paese. Lascia cadere qui un accenno volgare a Moravia, là un ricordo para-pedofilo. E prosegue con dove si mischiano ricordi e presente, con un autocompiacimento patetico per il proprio albero genealogico, come se dai suoi avi (nonna cilena e nonna inglese) dovesse discendere per forza una persona interessante, cioè lei.
Dopo la lettura del romanzo breve “L’età del malessere”, il secondo scritto di Dacia Maraini, ho pensato di approfondirne la conoscenza della scrittrice con questo titolo ben più noto, apparso nel 1993, quindi ben trent’anni dopo il precedente. Pensavo precedesse “ La lunga vita di Marianna Ucrìa” - testo al quale è strettamente collegato - convinta per un buon procedere nella lettura che ne fosse quasi il documento preparatorio, per scoprire poi che lo segue di tre anni. Il legame fra i due testi è dato dal fatto che nella villa Valguarnera a Bagheria era custodito un ritratto della “mutola” ava della scrittrice, Marianna Ucrìa appunto, e questa villa rappresenta, nell’economia di questo breve scritto autobiografico, il perno della narrazione. Lì giunge infatti bambina Dacia Maraini, ospite dei nonni, con la sua famiglia, di ritorno dal Giappone nel 1947, dopo aver patito la fame più nera in un campo di concentramento nel quale erano stati internati in seguito al rifiuto del padre Fosco e della madre Topazia di aderire, come richiesto dai giapponesi, alla Repubblica di Salò. La narrazione affascina fin da subito permeata com’è dalla materia biografica e capace di intrecciare in maniera sapiente due secoli, l’Ottocento nobiliare siciliano e il Novecento breve e intenso, racchiuso tra le due guerre mondiali. É come se la Maraini fosse la cerniera fra le due epoche: due genitori intrepidi, uno il grandissimo Fosco, studioso, alpinista, antropologo, scrittore, l’altra, Topazia Alliata di Salaparuta, discendente da una nobile famiglia palermitana. E lei - Dacia - nel mezzo, combattuta, dopo aver per lungo tempo patito questa discendenza, vuoi per lo stretto legame con la figura paterna, sfuggente e tanto amata, vuoi per lo spirito ribelle della nuova generazione che si riconosceva piuttosto appartenente a un nuovo modello borghese. Fatica la narratrice a tenere il filo della memoria, continuamente spezzato dalla mancanza del padre che abbandonò moglie e figli, e ricamato dal recupero non solo di un tempo, ormai trascorso, ma come detto prima, sul finire degli anni ‘40 del ‘900 ancora abbarbicato su vetusti pinnacoli nobiliari, ma anche di una geografia mutata. La Bagheria degli anni ‘90 custodisce una villa irriconoscibile, deturpata come le altre, numerose nei paraggi, da spazi urbani violenti e mafiosi capaci di sventrare i meravigliosi giardini che le circondavano per cedere il passo, fra tanti, ad un’autostrada sotto casa, a palazzoni di grigio cemento, a un improbabile liceo. E intanto l’ultima zia nobile ad abitare la villa racconta e lascia che sia apra quella porta della memoria che permette a Dacia di riappropriarsi del suo passato siciliano senza sentire più il peso della radice mafiosa nei vecchi retaggi nobiliari. Interessante.
Αυτοβιογραφικό σημείωμα των πρώτων χρόνων της ομολογουμένως πολύ ενδιαφέρουσας ζωής της Ιταλίδας συγγραφέως, που όμως βρήκα ελλιπές. Πού μιλάει για το έργο της; Πού είναι οι πρώτοι έρωτες; Οι φεμινιστικοί της αγώνες; Από μια εξέχουσα φιγούρα της σύγχρονης ιταλικής λογοτεχνίας θα περίμενα κάτι παραπάνω.
Δεν ξέρω αν προβλέπεται και δεύτερο μέρος αλλά δεν επικροτώ τέτοιου είδους εκδοτικές απόπειρες, όσο κι αν μου άρεσε η ρέουσα γραφή της Maraini.
L'autobiografia dell'autrice edito nel 1993. Una lettura di molti anni fa che ho ripreso con piacere, apprezzandola adesso più di allora, probabilmente per una mia maturità.
I colori e i costumi della terra siciliana, della cittadina di Bagheria e della dépendance della villa di famiglia dove la Maraini viene ospitata con la sua famiglia dopo due anni di prigionia in un campo di concentramento giapponese, alla fine del secondo conflitto mondiale nel '47.
" In Giappone non avevo frequentato il mare. I primi tempi stavamo a Sapporo, fra le nevi di un eterno inverno. In certi giorni di gennaio dovevamo uscire dalla finestra perché la porta di casa era sepolta sotto cumuli ghiacciati. Poi ci eravamo trasferiti a Kyoto dove avevo imparato a parlare il dialetto locale. Poi a Nagoya, sotto le bombe."
I rapporti familiari con l'amato padre, affine per il talento letterario, con la madre e le sorelle. Il ritratto degli altri parenti e degli avi tramite il racconto di nonni e prozii.
" Lungo i bordi del tetto di Villa Valguarnera si alzano delle statue che sfidano con i loro gesti graziosi e teatrali il cielo sempre lucido e setoso di Bagheria. Dei putti armati di frecce, delle Veneri più grandi di una persona, dei Nettuni, dei Centauri che, visti dal cortile, assumono l'aria di immobili e incombenti divinità protettive. Proprio mentre ci dirigevamo verso la scala, si è aperta una porta ed è apparsa la zia Saretta: la pelle coperta di macchie brune, una collana d'ambra dai chicchi grandi come noci appesa al collo magro, un sorriso freddamente gentile sulle labbra dipinte di rosso. Non si sarebbe detto, a guardarla, che fosse così devota da lasciare l'intera sua proprietà ai gesuiti."
E come accade per chi ha il dono della parola scritta, i ricordi diventano immagini e il racconto poesia.
Con uno stile fluente e melodioso, l'autrice racconta la sua giovinezza a Bagheria e il disincanto nella sua riscoperta da adulta. Un racconto nostalgico e triste, carico di colori vivissimi e di profumi inebrianti, di paesaggi mediterranei e di personaggi quasi fiabeschi. Arriva poi la realtà del dopoguerra e l'inizio degli scempio edilizio che stravolgerà irrimediabilmente quella terra dalla quale si era allontanata diciottenne, rifiutando il legame con la famiglia materna, membro importante dell'aristocrazia siciliana.
E' proprio vero che quando invecchi hai bisogno di ritrovare le tue radici, e cosi' fa la Maraini in questo veloce libro autobiografico. Ma proprio perche' e' abbastanza veloce, mi e' quasi venuto il dubbio che l'abbia scritto per se' piu' che per gli altri: a me,ad esempio, sarebbe piaciuto leggere molto di piu' della sua avventurosa infanzia, degli anni trascorsi in Giappone prima e durante la prigionia. Viene fuori soprattutto la grande ammirazione per il padre, questo amore di una figlia verso un padre anticonvenzionale e spesso assente. Sicuramente indispensabile per capire la Maraini e le sue radici nobili, ma, per me, troppo corto!
I very much enjoyed this short book, which is a memoir and meditation by the writer and activist Maraini on her childhood in Sicily, her noble (literally) ancestry, and her beloved hometown of Bagheria. She laments the destruction of the baroque architectural jewels of Bagheria due to ugly and illegal construction projects, partly abetted over time by her extended family's careless descent into debt. Her account is anything but sentimental about the past, however, as she imagines their luxurious yet squalid existence (elaborate wigs, for example, infested with lice) and points out the Alleata family's collaboration with the detested Bourbon occupiers, and the essential role of the Sicilian aristocracy in general in feeding the rise of the Mafia (by using Mafia enforcers to manage their property, however brutally). She recounts straightforwardly the sexual abuse she endured as a child, first at the hands of a U.S. Marine on the transport ship taking her family home after the war (they had been trapped in Japan at the outbreak), and then by a family relative. It is a painful to read about the utter indifference on the part of her family over such abuse and the assigning of any blame to the victim. Later on Maraini discusses appalling aspects of Sicilian sexual morays in general, relating recent cases of father-daughter abuse in her hometown, abuse which everyone knows about and no one reports.
On a somewhat more positive side, the most enjoyable passages here are Maraini's portraits of her relatives present and past, especially on her mother's side, as for example her histrionic, paranoid grandmother, whose youthful ambitions to become an opera singer were thwarted, first by her father, and then by her husband.
Sicily is a beautiful and fascinating place, and if you want a peek under the covers by someone who really knows about it, cares about it, and can write about it, this book is a good place to start.
Il nome Bagheria pare che venga da Bab el gherib che in arabo significa porta del vento. Altri dicono invece che Bagheria provenga dalla parola Bahariah che vuol dire marina. [...] ...o forse deriva da una parola fenicia, Bayaria, che significa ritorno. [...] Le etimologie sono a volte misteriose.
Parlare della Sicilia significa aprire una porta rimasta sprangata. Una porta che avevo talmente bene mimetizzata con rampicanti e intrichi di foglie da dimenticare che ci fosse mai stata; un muro, uno spessore chiuso, impenetrabile. Poi una mano, una mano che non mi conoscevo, che è cresciuta da una manica scucita e dimenticata, una mano ardimentosa e piena di curiosità, ha cominciato a spingere quella porta strappando le ragnatele e le radici abbarbicate. Una volta aperta, mi sono affacciata nel mondo dei ricordi con sospetto e una leggera nausea. I fantasmi che ho visto passare non mi hanno certo incoraggiata. Ma ormai ero lì e non potevo tirarmi indietro.
Non avrebbe voluto, ma è successo. Dacia, ormai adulta, torna a Bagheria, paese che l’ha vista bambina, reduce - con i genitori e le sorelle - dai campi di concentramento giapponesi; Bagheria... lo stesso paese dal quale, appena diciottenne, è fuggita per seguire quella che sentiva essere la sua strada, la sua vita.
La stessa famiglia dell’Autrice ha origini nobiliari, ma lei se ne è sempre distaccata. Ma ora è tornata...
Gli antenati, testimoni di un’epoca ormai dimenticata, severi e impettiti, osservano dai loro ritratti coloro che si soffermano a guardarli con occhi curiosi immaginando splendori e ricchezze... Nobili e sovrani hanno popolato queste terre, ma i loro segni sono stati col tempo distrutti, cancellati, annientati in nome della modernità, del denaro, del benessere... e dalla mafia.
Da queste pagine si sprigionano i profumi dei fiori, dei campi e della terra, gli odori e i sapori dei cibi e dei dolci, si odono i rumori del mare, della pioggia e dei tuoni, ci sorprendono i colori scintillanti dei fuochi d’artificio misti ai lampi o il tremolio delle stelle...
Quanta nostalgia trasuda da queste pagine, quanta rabbia per lo scempio umano... quanti ricordi... in effetti fanno quasi paura...
(3,5)
📖 LdM Regione (gen-feb/19): Sicilia 🔠 RC 2019 - Alphabet Autori -> M 📶 RC 2019 - Domino 4 📚 Lo scaffale traboccante 📚 Abbatti la TBR
'Parlare della Sicilia significa aprire una porta rimasta sprangata. Una porta che avevo talmente bene mimetizzata con rampicanti e intrichi di foglie da dimenticare che ci fosse mai stata; un muro, uno spessore chiuso, impenetrabile.'
Ho visitato la Sicilia due anni fa, per soli otto giorni e sono bastati a percepire una melodia malinconica e nostalgica che sembra provenire dalle rovine storiche, dai gioielli che si possono ammirare in quest'isola divisa tra il mare ed il presente che devasta il passato attraverso i mostruosi nuovi cantieri. All'armonia delle grandi costruzioni antiche (templi greci, chiese barocche, ville borboniche) si alterna la disarmonia delle nuove costruzioni, palazzine sempre più alte, sempre più in contrasto tra loro che sembrano sfidarsi rubando il cielo e lo spazio delle architetture a loro preesistenti. Le 146 pagine di Dacia Maraini, siciliana per parte di madre, mi hanno fatto rivedere questo spettacolo agghiacciante tra meraviglie dell'uomo di ieri e disastri dell'uomo di oggi. Io, che sono sarda, mi sono sentita un po' un intrusa a leggere questo libro, a sentire l'urlo disperato di una donna che ha amato la propria terra e allo stesso tempo l'ha odiata e che, con 'Bagheria', la vuole rivendicare. Si tratta infatti di un romanzo intimo, di una narrazione introversa, che viene fuori con difficoltà mentre l'autrice rivive l'infanzia trascorsa in terra sicula.
'Bagheria' è un libro arrabbiato, nostalgico, il processo doloroso vissuto dall'autrice in fase di produzione si trasmette al lettore in fase di lettura. L'odio per la mafia, per una società patriarcale in cui l'abuso del padre sulla femmina è giustificato dall'esistenza di un diritto naturale che caratterizza una società in cui il maschio domina, e la femmina è considerata nient'altro che sua proprietà. Si avverte la rabbia per la devastazione che la mafia e gli individui che da essa dipendono e ad essa obbediscono, in nome di una fede che va ben oltre i valori della legalità, stanno compiendo sui beni culturali di un'isola che può vantare un grandissimo e glorioso passato.
All'aspetto di denuncia sociale si accompagna quello di una descrizione intima, del rigetto nei confronti di una famiglia aristocratica, chiusa in una muffa atavica, ormai indebitata, ma comunque incapace di vestire l'umiltà. 'Bagheria' è un viaggio a ritroso nell'albero genealogico di una famiglia materna che, fra pranzi e banchetti di lusso, nascondeva le insidie di matrimoni forzati e vite non vissute per rispettare i voleri del capofamiglia o della tradizione. Nella vecchia villa nella quale Dacia trascorre i primi anni in Sicilia dal rientro del Giappone - nel quale è stata in un campo di concentramento -, l'autrice rivisita le stanze, rivede i gioielli, i quadri e i primi abbozzi di fotografie che testimoniano gli avi del passato lontano e di quello più recente. In particolare, un quadro attira l'attenzione dell'autrice, quello di Marianna Ucrìa, quadro che le ha ispirato il romanzo 'La lunga vita di Marianna Ucrìa'. Dove finisce l'odio per la famiglia materna, inizia un amore smisurato per il padre, la Maraini scrive di voler essere come Minerva nata dalla testa del padre Zeus, un padre amato ed odiato allo stesso tempo a causa del suo abbandono, del suo essere lontano, schivo, impenetrabile. Un viaggio all'interno di stessa ed un viaggio nella propria isola che la Maraini aveva paura di rivedere, ormai così diversa, così diverse entrambe, l'ex abitata e l'ex abitante. Due viaggi paralleli descritti in maniera efficace, ed al contempo poetica, forse un po' troppo didascalica in alcuni punti, talvolta il romanzo si fa saggio perdendo la velocità tipica della narrazione. Consigliato a chi abbia il coraggio di combattere l'omertà, di aprire gli occhi, di ammettere di aver visto ciò che ha visto. Consigliato ai siciliani - che credo si emozioneranno a leggere le descrizioni degli odori, dei sapori, dei colori della propria terra -, agli isolani che conoscono bene come il mare talvolta isoli (lo dice la parola stessa) piuttosto che essere mezzo di comunicazione (riprendo la metafora dalla Maraini stessa), e in generale a chiunque voglia leggere l'intimità di una scrittrice arrabbiata, romantica e nostalgica.
Post Scriptum: se decidete di leggerlo, vi consiglio di acquistarlo nell'edizione Bur Extra che, oltre ad avere un'ottima grafica esteriore, vanta caratteri leggibili anche per le talpe come me senza alcuno sforzo. Post Scriptum 2: gli accenni che Maraini fa a Marianna Ucrìa mi hanno fatto venire una grande voglia di leggere 'La lunga vita di Marianna Ucrìa'.
Bagheria è un breve testo che presenta le memorie della scrittrice: dagli accenni all’infanzia passata in Giappone dove, tra il 1943 e il 1946, fu internata con la famiglia nel campo di concentramento giapponese di Nagoyo – per la dichiarata posizione antifascista dei genitori-, fino all’infanzia a Bagheria, passando alla riscoperta della sua terra.
Il testo non si presenta come una vera e propria biografia, ma come un flusso di ricordi, emozioni, analisi e traumi che accompagnano l’autrice a riscoprire le sue origini. Infatti, da parte di madre Topazia Alliata, pittrice e gallerista palermitana, l’autrice appartiene al ramo siciliano dell’antico casato pisano degli Alliata, ovverosia gli Alliata di Salaparuta. Un legame che viene vissuto con forte distacco, e che pian piano, in queste pagine vi è un recupero critico degli anni dell’infanzia.
Come dicevo sopra, non essendo strutturata come una biografia, i ricordi non si presentano strutturati in una precisa cronologia. Tutto sommato però seguono, ovviamente, le vicende più importanti della scrittrice.
Molte parti sono collegate all’esperienza vissuta al campo di concentramento giapponese. Sono ricordi che attestano la paura ma soprattutto la fame:
"Per anni ho nascosto il pane, quando ci avanzava, come i cani. Mettevo in fondo ai cassetti le zollette di zucchero che poi trovavo sfarinate e coperte di formiche. I bocconi di marzapane, avvolti nella carta, li seppellivo sotto gli alberi, con l’idea di andarli a prendere nei momenti di fame. Ma la fame, quella del campo, era finita. Ora mangiavamo, anche se in modo semplice e povero."
Bagheria è quel tipo di libro che aspetti di leggere per poterlo gustare, al fine di conoscerne lo scrittore (in questo caso la Maraini) che non hai mai letto. So di demolire, con queste mie impressioni una scrittrice di livello. Ma mi aspettavo molto di più . I concetti esposti sono affastellati e trattandosi di una biografia, la trama sembra solo abbozzata. Tre stelle solo per il livello della scrittura.
3.5 Un'incursione nel passato, fonte di ricordi e riflessioni. Un mondo sfigurato dai palazzinari, ma che continua a vivere nei dolci e nei profumi. Decadenza e intelligenza vanno a braccetto, negli antichi palazzi siciliani, fantasmi di una società ormai indietro coi tempi.
Libro piacevole, che restituisce un'immagine della Sicilia quasi sorta di chimera tra ricordi di infanzia e documentarismo sociale. L'intreccio, senza soluzione di continuità, tra emozioni del passato, genealogie mitiche, denunce di abusivismo edilizio, traumi infantili e affetti familiari ci restituisce una Bagheria come luogo della memoria.
Descrive la vita dell’autrice. All’inizio il racconto è lineare, ma da un certo punto in poi i racconti sono più confusi e non ho ben capito di che fase della vita tratta. Tutto sommato è carino e interessante, perché come sempre fa emergere tempi delicati spesso con riferimenti all’inferiorità della donna in epoche passate.
Mi aspettavo un po’ di più, non so. Nella seconda metà del libro mi sono un po’ annoiata, molto interessante invece la vicenda delle espropriazioni e costruzioni dei terreni e tutto il caos con l’ingegnere.
Scorrevole nella lettura, la Mariani ha un’ottima scrittura lèggerà o almeno è quello che ho riscontrato nei soli due libri che ho letto finora
Adoro da tempo Dacia Maraini, ma non avevo mai approfondito la sua storia: grazie a Bagheria, il racconto autobiografico del suo arrivo in Sicilia all'età di nove anni e la storia dei personaggi più interessanti della casata materna, gli Alliata di Salaparuta, ho scoperto che ha avuto una vita piuttosto travagliata e ricca di emozioni, all'interno di una famiglia in cui tutti erano artisti e intellettuali di spicco. Dacia Maraini non cede mai all'autocelebrazione e, anche quando parla di sé, lo fa con garbato distacco, quasi parlasse di un'altra persona: la vita nel campo di concentramento l'ha segnata, eppure accenna solo alle abitudini alimentari e ai poveri giochi d'infanzia senza mai soffermarsi sul dolore o sulla tristezza, così come quando racconta della perdita dell'unico figlio mai nato non si dilunga, non si abbandona alla commiserazione, non cerca di suscitare pietà. Osserva soltanto, registra, racconta. Si sente un tassello nella genealogia di famiglia, un individuo che è frutto degli incontri di geni e caratteri dei suoi antenati. Così affianca ai suoi ricordi anche brani del diario della prozia Felicita, una mite zitella che amava raccontare le storie di famiglia e che per tanto tempo la stessa Dacia aveva volontariamente rimosso, nel tentativo di staccarsi da un'eredità così ingombrante e decadente. L'antica famiglia Alliata è <>, attaccata al denaro e ai possedimenti terrieri, come esemplificato a meraviglia nel ritratto di nonna Sonia, gelosa persino delle sue stesse figlie; Dacia Maraini fatica ad accettare un legame simile, ad abbracciare la terra aspra che la accoglie e a riconciliarsi con la dinastia in rovina da cui discende. Sarà proprio la lettura del diario di Felicita, insieme alla visita alla dimora degli avi, Villa Valguarnera di Bagheria, a riconciliarla con le sue origini e a spingerla a scriverne la storia, a partire da Filippaccio Alliata, morto nel 1365, il parente più antico a cui riesca a risalire. E passando, naturalmente, anche da Marianna Ucrìa, resa celebre dal suo capolavoro La lunga vita di Marianna Ucrìa. La Sicilia, con il suo mare <>, i suoi aromi e la sua flora sono appena abbozzati, eppure all'autrice bastano poche frasi e scarne descrizioni per dipingere un luogo vivido, reale, vero protagonista delle vicende di famiglia. Una terra di contrasti forti, di sensualità e di segreti, che Dacia Maraini racconta in un memoriale desueto, perfino modesto, ma di incredibile fascino.
Ho letto questo libro per molteplici motivi tra cui: l'averne sentito parlare benissimo, essere abitante di Bagheria sin da bambino ed avere particolare interesse verso la magnifica Villa Valguarnera. Ed è proprio in questa villa che l'autrice, Dacia Maraini, ha vissuto durante i primi anni della sua vita, subito dopo essere tornata da un campo di concentramento in Giappone al termine della seconda guerra mondiale insieme ai genitori e alle due sorelle.
Il libro è un romanzo breve che, reso ancora più breve dalla scorrevolezza della scrittura, si può terminare benissimo in un week end. All'interno, l'autrice si è aperta, fornendo il suo personale punto di vista sui vari aspetti della sua vita e sui ricordi legati alla città siciliana di Bagheria, a pochi chilometri da Palermo, ai tempi soltanto un piccolo paese. L'autrice descrive quindi Bagheria da molteplici punti di vista: come quello geologico, degli abitanti e delle loro tradizioni (tipici dei siciliani dell'epoca), culinario, politico e mafioso. Perché in quegli anni la mafia c'era eccome anche se non se ne parlava e si diceva inesistente. Ma l'autrice si sofferma anche sulla vita nella villa di famiglia e dei parenti, da parte di madre, che l'hanno ospitata, nonostante i rapporti non fossero buoni, e così rimasero, tant'é vero che la Maraini non si sente parte di quel mondo aristocratico da cui discende, anzi si contrappone ad esso e alla sua mentalità, finendo per quasi odiare la stessa villa di famiglia, simbolo di quella mentalità aristocratica.
In questo bellissimo romanzo, spaccato di un'epoca ormai lontana dall'odierna, è possibile scoprire tutta la bellezza della Sicilia, oscurata in parte dalle problematiche che l'attanagliano forse da sempre. Problematiche che hanno reso le ville stesse di Bagheria oggetto di depredazione e di abuso del potere. Grazie a ciò, ad oggi conta 60mila abitanti, ma ha perso due polmoni verdi, tra cui il giardino di villa Butera oltre quello di Villa Valguarnera, e ha quasi distrutto la bellezza di villa Palagonia lasciando che i palazzi, costruiti addossati alle mura di cinta, la osurassero.
Bagheria mi è piaciuto molto. E' un libro scritto - Bene, perché Dacia Maraini scrive proprio bene - col cuore, ma anche un po' con lo stomaco, passando da un argomento all'altro, di getto. Si parla della vita dell'autrice, dal campo di concentramento giapponese al ritorno in Italia, a Bagheria, appunto, nella grande villa della famiglia nobile da parte di sua madre, gli Alliata. Nobile, ma ormai in decadenza. C'è l'amore per Bagheria, ma l'odio per la mafia, l'omertà e per gli sfregi alla città e alla Sicilia che ne conseguono. C'è un certo orgoglio nel raccontare alcuni personaggi della sua famiglia e della sua vita. Poi ci sono le violenze, subite o raccontate, ma anche le basi per un libro meraviglioso che è la lunga vita di Marianna Ucrìa. Bagheria è il racconto dell'ispirazione di quel libro: il quadro di Marianna, la villa, i racconti, le usanze. L'ho trovato molto interessante, mi è piaciuto entrare in quel mondo.
Bho, onestamente non ho capito il perché di questo libro. Peccato perché ho letto altri libri dell'autrice che sono molto profondi nell'indagare l'animo umano, questo é più un collage di momenti confusi e poco intimi della sua infanzia.
"A Palermo ci aspettava la famiglia di mia madre. Un nonno morente, una nonna dai grandi occhi neri che viveva nel culto della sua bellezza passata, una villa del Settecento in rovina, dei parenti nobili, chiusi e sospettosi."
Non leggevo un romanzo di Dacia Maraini da tantissimo tempo. "Bagheria", pur essendo un romanzo intenso e introspettivo, rappresenta un mix perfetto tra diario mnemonico e condanna socio-culturale. Trascorsi due anni in un campo di concentramento in Giappone, Dacia arriva in Sicilia con la sua famiglia. Con enfasi infantile vive la scoperta delle proprie origini, come la nobile famiglia materna, radicata in un paesaggio di palazzi baronali, usanze arcaiche, case che sembrano reggersi l'una sull'altra, e dove le donne pagano il gravante peso dell'omertà e dell'onore. Adoro profondamente il modo in cui questa scrittrice sa raccontare e ovviamente raccontarsi. Nei suoi testi si evince una sincerità disarmante e al tempo stesso un tocco delicato, mescolando abilmente la bellezza che le parole sanno emanare con la cruda verità insita nei sentimenti e nelle azioni. L'atto di memoria in queste pagine non viene assolutamente addolcito ma scruta o semplicemente contempla. Mi ha colpito come l’autrice riesca a trasformare una semplice città in un personaggio vivo, che pulsa e in egual misura si ritrova ad essere vulnerabile. È un viaggio tra odori e immagini forti come il profumo del gelsomino, il giallo acceso dei limoni, le arance mature e le larghe pale dei fichi d’India che filtrano la luce di un sole nuovo, verso quella che è la conoscenza di sé stessa e l'amore per la vita. Ma è anche un tornare tra le rovine di ville nobiliari un tempo fastose, ora ridotte a un ammasso di pietre accatastate, spoglie, abbandonate, che sembrano senza destino ma ancora ricche di 'istoria. Il tutto oscilla tra meraviglia e degrado e Dacia Maraini ci parla di un passato verso cui non prova rancore ma affetto sincero e un realismo ormai amaro. La guerra accompagna il romanzo, senza dominarlo, come un evento che ha segnato i ricordi dell’autrice, ma che le ha anche dato quella capacità di cogliere il senso del tempo, della perdita e del cambiamento. Altri temi sono la satira contro la speculazione edilizia, paragonando oggi e ieri, l’indifferenza culturale, gli abusi subiti e la malavita silenziosa che copre tutto come una nebbia densa. Il passato è pur sempre Storia ma è lì che dimorano le basi per il futuro. Un altro aspetto profondamente umano del libro è il modo in cui Dacia Maraini racconta il rapporto con la sua famiglia, e della gente del luogo che li accoglie con curiosità e ospitalità, ma al tempo stesso non risparmia sguardi di sospetto. Bagheria ha una doppia identità, affascinante e contraddittoria, i cui costumi sociali, ancora rigidi, sono radicati in un sistema arcaico difficile da scardinare, anche oggigiorno. In questo ambiente si sviluppa una leggera contrapposizione tra le sorelle Maraini: se la prima è più bella, semplice e legata alla concretezza della vita, alle consuetudini familiari e alla quotidianità dell'isola, Dacia stessa, con la testa tra le nuvole, è attratta dai libri, dai racconti e da un mondo interiore fatto di parole.
Consiglierei questo libro? Assolutamente sì! A chi ama quelle narrazioni che non si limitano a descrivere posti, ma li trasformano in protagonisti e a chi desidera visitare la Sicilia: potrà guardarla con occhi diversi, immaginando com’era un tempo quel luogo che oggi si stende, silenzioso e mutato, davanti a loro.
It grew on me... L'uso della prima persona e la narrazione apparentemente disorganizzata, alla 'stream of consciosness', non hanno immediatamente catturato il mio apprezzamento. Lentamente però lo stile di narrazione si é imposto e nel frattempo la struttura del testo é sbocciata. Da un lato mi sono abituata all'uso della lingua e delle metafore che inizialmente mi suonavano (e credo nei primi capitoli siano) stucchevoli. Dall'altro lato, credo che la seconda metà contenga più passaggi che mi hanno colpito e che valorizzano e mi hanno fatto apprezzare quest'opera.
Le mie preferite:
"É orribile trovarsi adulti, ormai usciti da quel paradiso dei sensi e degli odori, e capire di avere conservato quella felicità solo in qualche fotografia. Un singulto nel ritrovare nelle narici quegli odori di letti materni e sapere che sono persi per sempre."
"Io, per me, mi consideravo nata dalla testa di mio padre, come una novella Minerva, armata di penna e carta, pronta ad affrontare il mondo attraverso un difficile lavoro di alchimia delle parole. [...] Gli altri, gli anziani, sembravano chiusi come frutti di mare ormai morti e rinsecchiti dentro le conchiglie preziose in cui avevano creduto di potere conservare in eterno le loro perle semplicemente chiudendo le valve dentate."
"Zia Felicita invece veniva dal fondo di una provincia mediterranea, da una insicurezza atavica, da principii e doveri che mescolavano insieme gli insegnamenti della Chiesa con gli azzardi piu' scapestrati del pensiero libero, le intelligenze piu' luciferine."
Maraini's reflections on Sicily are given with a steadfast point of view and wonderful language in this slim volume. There is sadness, in the early chapters discussing the family's wartime capture/exile. There is beauty, in the discussions of the past of her new island home, as well as contempt for the ways modernity has taken advantage. We see her reflect on the patriarchal nature of Sicilian society, condemn the ever present, ever partly unspoken presence of the mafia, critique the ways the former aristocracy that she was descendant from has contributed to the island's downfall. It's in many ways a familiar story, not only because it expressed the Palermo I've seen (beauty paired with destruction paired with encroaching modernity against aggressive societal tradition, for example), but because that sad beauty is expressed in a way that, I imagine, anyone could get a view of the area through her words. It's the classic love story of a place: the nostalgia, even when that nostalgia is dark; the promise, even when the promise is marred; the ways the worst realities conflict with the best experiences. It critiques without ever throwing the place under the bus, and it does so in wonderful prose. An easy and quick read, and worth it.
In her meandering memoir, Maraini jumps from one topic to another without a clear narrative thread, resulting in a collection of anecdotes. Some of these anecdotes are interesting, and a couple are striking in their confronting violence. However, they are interspersed with long descriptive passages and lifeless speculations about historical figures the author knows little about. Those with a particular interest in Sicily will enjoy this book, while others may find one of Maraini's novels more rewarding.
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Nel suo memoir divagante, Maraini passa da un argomento all'altro senza un filo narrativo chiaro, risultando in una raccolta di aneddoti. Alcuni di questi aneddoti sono interessanti, e alcuni sono inquietanti nella loro violenza sconcertante. Tuttavia, sono intervallati da lunghe descrizioni e speculazioni noiose su personaggi storici di cui l'autrice sa poco. Coloro che hanno un particolare interesse per la Sicilia apprezzeranno questo libro, mentre altri potrebbero trovare uno dei romanzi di Maraini più gratificante.
Che prosa dolce la Maraini. Che donna dolce. Quella che io sento come autentica dolcezza, non formale, ma sostanziale. Un vero dono. Danza tra le parole, scrive in prosa, ma che tu leggi e senti come poesia.
Costruisce un ritmo narrativo che è piacevole al pari di un buon cibo, di un buon vino.
Avevo già letto la storia di Marianna Ucrìa e la storia di Chiara di Assisi e anche qui si conferma per me non solo come ottima scrittrice, ma anche globalmente come ottima persona. Fa della gentilezza il suo tratto peculiare.
Danza tra i suoi ricordi e i suoi pensieri nella sua terra di origine, dandocene un quadro a pennellate piene anche se misurate.
Leggerò ancora suoi scritti perché con lei trascorro ore liete. Mi dona pace ed equilibrio, qualunque sia l'argomento. Qualità più unica che rara.
Procedente de una familia de rancio abolengo de cuya noble cuna reniega pese a desenvolverse como una aristócrata más, en la revisita a su tierra natal nuestra autora no se esconde a la hora de criticar la construcción de viviendas y escuelas en donde antes ella podía disfrutar de fastuosos jardines, floridos parques y embriagadores bosquecillos que le alegraban la vista y refrescaban sus tardes...
Y en parte estoy de cuerdo con ella, sobre todo en lo que se refiere a la pésima y corrupta gestión gubernamental que hizo y deshizo a su Bagheria al ritmo marcado por las liras, y que ella relata con nombres y fechas (parece que en Italia puedes encontrar a la mafia en cualquier parte, por remota e insignificante que esta sea).
Como decía en parte, porque lo que no puedes pretender es que el progreso se congele en esa imagen idílica que tienes de tu niñez, y que ese sitio no prospere, crezca y se pueble de gente...
El tiempo pasa, y la vida cambia para todos, señora Maraini.
La otra pata sobre la que bascula este librito es en un granítico complejo de Electra no superado.
Bagheria è una biografia, ma non di quelle statiche e macchinose. è la storia dell'autrice che procede non in ordine cronologico, come ci aspetteremmo, ma per argomenti. Si tratta di mafia, di famiglia, di nobilità, di appalti d'edilizia, di condizione femminile, di molestie, di Sicilia... L'autrice procede nel raconto seguendo quelle che sono le sue sensazioni e i suoi ricordi. Divaga raccontando di sè e ti tutto ciò che non tollera. Segue l'impronta di sua zia Felicita, parla dolcemente di sua madre e di tutte le scelte non convenzionali, fa riferimento al rapporto con il padre. L'impressione che si ha è proprio quella di ascoltare qualcuno che ci racconta della propria vita, nello specifico delle proprie origini. Bagheria non è un libro che si legge per la trama, lo si legge per la musicalità delle parole. è un libro da compagnia, da pausa caffè.
Dacia Maraini is a Sicilian with Anglo-Polish blood & this memoir/critique of the realities of the tangled history of her home island & the equally traumatic history of her family is a real jewel. This tears away the tissues of lies that camouflage & cover the primitive customs of her fellow Sicilians, even within her own extraordinarily perverse family, & does not shy away from confronting the mafia, the Roman Catholic charade of sanctity & widespread incest & ill-treatment if generations of women. And all in a beautifully translated slim volume. A great read for those with an interest in Sicily & its violent history of human follies.
Parlare del proprio passato, della propria famiglia, non è mai facile. Dacia Maraini lo fa con finezza, mescola la sua storia con quella di Bagheria, indissolubili eppure in conflitto. E' un conflitto che si avverte tra le righe, ma c'è anche un desiderio profondo, se non di rappacificazione, almeno di accettazione. Sono arrivata alla fine del libro in poco meno di due ore, su un assolato volo Milano - Edimburgo. E pur essendomi allontanata geograficamente, mi sento più vicina a Bagheria e soprattutto a Dacia, mi sembra di conoscerle entrambe come si conoscono i luoghi dell'infanzia e le zie più affascinanti. Un libro bellissimo, intenso e leggero.
Non ho niente da dire. Come si può giudicare coerentemente il romanzo autobiografico di un'altra persona? La scrittura è fantastica: immediata, rapida, passa da un argomento ad un altro, da un personaggio a un altro, da un secolo a un altro, senza soluzione di continuità. Non è solo una storia famigliare, è il racconto di una terra sconosciuta e arcana, piena di mistero per chi non l'ha mai vissuta. È una storia di nostalgia per tradizioni, costumi e quotidianità che non si sono mai conosciute. È una storia di perdita destinata e irreversibile, di direzioni prese, di scelte, di pregiudizi, nuda e cruda e tangibile.