Nächstes Jahr fahren wir ans Meer, sagt Beatrices Vater an zu heißen Sommerabenden jedes Jahr lächelnd. Ein Versprechen, das sich nie erfüllt, aber die Familie trotzdem glücklich macht. Im Stockwerk darüber jedoch wird Alfredo, Beatrices bester Freund, von seinem besoffenen Vater mal wieder halb totgeprügelt. So wie viele in der »Festung«, jenem Viertel in den Hügeln der Stadt, in das kein Taxi fährt, kein Polizist freiwillig einen Fuß setzt, hat Alfredo schon verloren, bevor sein Leben richtig beginnen kann. Als Kinder hat man Beatrice und Alfredo »die Zwillinge« genannt, später wurde aus der Freundschaft Liebe. Eine harte Liebe, ohne Romantik und Liebesgeflüster, und mit einem jähen Ende ... Mit sprödem Charme erzählt Valentina D’Urbano von einer bitteren Liebe und von einem Lebensmut, der sich wie wilde Blumen durch eine betonharte Kruste aus Gewalt, Elend und Dreck schiebt.
Valentina D'Urbano è nata a Roma nel 1985, dove vive e lavora. Si è diplomata allo IED in illustrazione e animazione multimediale.
Nel 2010 vince la prima edizione del torneo letterario IoScrittore organizzato dal Gruppo editoriale Mauri Spagnol. Il suo primo romanzo Il rumore dei tuoi passi, divenuto bestseller, viene pubblicato da Longanesi nel maggio 2012, e viene tradotto in Francia e in Germania. Nel settembre 2013 sempre per Longanesi pubblica Acquanera. L'uscita del suo terzo romanzo, Quella vita che ci manca, ancora una volta per Longanesi, è avvenuta nell'ottobre 2014. Parallelamente alla sua attività di scrittrice Valentina D'Urbano collabora come illustratrice per l'infanzia con diverse case editrici italiane e straniere. Recentemente è uscito il suo nuovo libro Alfredo.
Ho scoperto, a mie spese, che Valentina D’Urbano non è un’autrice da leggere sul treno o in qualsiasi altro luogo pubblico, in presenza di possibili testimoni, perché è matematicamente sicuro che si scoppierà in un mare di lacrime… e si attirerà non poca attenzione. Io non faccio testo, sarei capace di piangere anche per una scena semplice… potete immaginare quindi in che condizioni fossi alla fine di questa lettura, finita durante un viaggio in treno. Ho provato a trattenermi, c’ho provato con tutta me stessa, ma niente… ero un fiume di lacrime in mezzo a passeggeri ignari del mio dolore che, anzi, mi guardavano come se fossi pazza! Avrei voluto dire loro di leggere prima di giudicare, perché questo libro spacca il cuore. Uccide la speranza e lo fa in modo brutale, netto, preciso, sicuro. Mi sono innamorata della scrittura della D’Urbano dalla prima pagina. Scarna, semplice, quasi sgrammaticata, riesce a trasportati subito nelle Fortezza, nel suo ambiente, nel suo degrado. E non ho potuto non amare i protagonisti di questa storia, Alfredo con la sua anima fragile e Beatrice con il suo amore graffiante, brusco, burrascoso ma non meno forte e potente. La storia tra i due ragazzi è segnata fin da subito. Il lettore è pienamente consapevole di non star leggendo la solita storia con cuori fiori e arcobaleni e che alla fine si soffrirà parecchio, ma il bello è proprio questo. Il lettore vuole da subito conoscere come è andata la storia, come si è arrivati al punto di non ritorno. E la D’Urbano non si fa pregare: spacca cuori, sbriciola speranze e fa innamorare il lettore di una storia d’amore atipica, ma altrettanto splendida e forte. Ora non mi resta che leggere il pov di Alfredo, sapendo benissimo cosa mi aspetta (fiumi di lacrime). Bellissima lettura!
se hai letto questo libro da ragazzina ora hai una di queste tre cose: depressione attaccamento ansioso disturbo di personalità borderline io le ho tutte e tre
Beatrice e Alfredo. Uno aggrappato all’altro. Alfredo e Beatrice, lui abita al piano superiore, Beatrice sente da sempre il rumore dei suoi passi. Da questo rumore ha imparato a riconoscere il suo umore, sa se per Alfredo è una buona giornata o se per oggi è meglio stargli alla larga. Abitano in un quartiere di Roma, “la Fortezza”, una fortezza gelida e vuota, fatta di droga, sangue, liti e amori viscerali. Casa di uno è sempre stata un riparo per l’altro e viceversa. Forse sono loro due ad essere uno il riparo dell’altro. Da sempre li chiamano “i gemelli”, così uniti da condividere tutto, anche le stesse emozioni. La madre di Beatrice ha fatto da madre anche per Alfredo, proteggendolo dal padre violento e alcolizzato, che al solo aprire della porta terrorizza i figli. Quando cresci in un posto distrutto hai due possibilità: reagire e scappare o distruggerti come il luogo in cui vivi. Alfredo ha scelto di distruggersi. Ha bisogno di Beatrice, anche se lei non ci crede, è più forte di lui. Beatrice non può lascialo da solo, anche se quel ragazzo la fa arrabbiare da morire non può farne a meno, ha bisogno di sentire il rumore dei suoi passi ogni mattina, quel rumore di zoccoli strascicati sul pavimento che coprono le urla di quel quartiere disgraziato. Forse Beatrice sarà abbastanza forte per entrambi. Forse il rumore dei passi di Alfredo non smetterà mai di riempire le sue giornate. Un amore disperato, sincero ma anche un po’ egoista, un amore che ti salva, o almeno ci prova. Un fiore delicato in mezzo a cemento grigio e ruvido. Una storia che non si dimentica facilmente, fin dalle prime pagine arriva come uno schiaffo in faccia, una secchiata d’acqua gelida in pieno inverno. Più si va avanti più ci si ritrova in casa con loro, sperando in un futuro migliore, in un treno improvviso che li porti fuori da questa triste realtà. Una cosa è certa: ovunque vada, al piano superiore del suo appartamento, Beatrice sentirà per sempre Alfredo che, trascinandosi per casa, passerà l’ennesima giornata con lei.
Mi ci rivedo in Bea, mi ci rivedo alla grande, ma non è una cosa di cui andare totalmente fieri. Bea è testarda, caparbia, cocciuta ed ostinata e, se anche tutti questi aggettivi sono sinonimi, solo insieme riescono a definire la sua indole perseverante... eppure Bea si arrende, arriva al limite, non riesce ad andare avanti, ad usare il suo corpo per tenere i due pezzi di corda che si sono spezzati: Alfredo e la vita. Bea pretende dagli altri quello che dà, anima e corpo, eppure nessuno sembra capirla, nemmeno Alfredo che è il suo "gemello", nemmeno colui con cui ha diviso letto, cibo e sigarette, lui che ha il suo stesso passo, lui che ha il suo stesso sguardo, le sue stesse movenze. Alfredo la vede cattiva, ma è solo il modo con cui Bea tratta chi vuole bene. Un modo sbagliato? Sicuramente, ma ci prova e riprova anche se fallisce, senza capire cosa non va nel suo atteggiamento e perché, se effettivamente è così malvagia, Alfredo la cerca e la vuole. Bea ama Alfredo e Alfredo ama lei, le strade si dividono e poi si ritrovano, in un modo tutto strano, in un modo tutto loro e che solo loro avrebbero potuto creare.
L'autrice la conosco per sentito dire, spesso non mi cimento in autori nostrani. Troppe sono state le delusioni. Eppure Valentina D'Urbano ha saputo sorprendermi, proprio così, come mi hanno spesso convinta altre recensioni. La storia di Bea e Alfredo non sembra inventata, non sembrano personaggi presi e buttati dentro ad una storia. No. Sembrano persone vere, raccontate. Il loro essere gemelli, uguali in tutto, maschio e femmina, gemelli solo per gli altri, gemelli non di sangue. Il loro odiarsi ma amarsi profondamente. Il loro esserci sempre tra botte e litigi, delusioni e riprese. La storia prende vita per la semplicità con cui è raccontata, trascinando il lettore ad invidiare un sentimento così puro, fatto solo di gesti e poche parole. Un abbraccio per fare pace, o un offesa per amore. Un quartiere in degrado, una vita difficile. L'apparenza e il sangue, che spesso comportano pregiudizi severi. Un romanzo ricco di emozioni, con personaggi in grado di affascinare e farsi amare.
“Perchè Alfredo si era davvero innamorato di Paola. Ma io ero un pezzo di lui, e l'istinto di conservazione ha sempre la meglio sull'amore”.
Ogni posto nel mondo ha un quartiere come la Fortezza.
Un quartiere periferico, degradato, dimenticato da tutti e tutto, un luogo dove il cemento si fonde con la miseria e l'aria è pesante di fumo di sigarette e di violenza.
Essere nati alla Fortezza, soprattutto se cresci tra gli anni ’70 e ’80, significa affrontare un destino già scritto: è come avercelo stampato in fronte, quel luogo. È un po’ come essere un appestato.
Lo sanno bene Beatrice e Alfredo, che alla Fortezza ci vivono da sempre, lei al piano di sotto e lui al piano di sopra. A renderli inseparabili, tanto che tutti nel palazzo li chiamano i “gemelli”, saranno le botte che ogni giorno Alfredo riceve dal padre alcolista e che lo spingeranno a cercare rifugio nell’accoglienza di Betrice e della sua famiglia.
Cresceranno insieme, Alfredo e Beatrice, e tra di loro nascerà un rapporto morboso, insalubre, di totale dipendenza. Passano le loro giornate a picchiarsi e insultarsi, per poi dormire, la notte, abbracciati nello stesso letto.
Sono due selvaggi, Alfredo e Beatrice, due egoisti, uno lo specchio dell’altro.
E Valentina D'Urbano non ci fa sconti, non romanticizza il loro rapporto. Dipinge il quadro straziante di un amore che è sì malato, ma al contempo governato da una strana forma di autenticità.
La prosa è scarna e cattiva fin dalla prima pagina, quando veniamo buttati a capofitto dentro al funerale di Alfredo, che ancora neanche conosciamo. Sarà così per tutto il libro, per tutta la lenta discesa di Alfredo verso l'abisso, verso un destino di autosabotaggio in parte già scritto.
Non ci vengono regalati momenti di felicità, neanche uno. O meglio, ce ne sarebbe uno, sul finale, decisamente improvviso – e che mi ha fatto un po’ storcere il naso, ecco il perché delle 4 stelle – ma l’autrice ce ne priva, non ce lo fa vedere, lo fa accadere “fuori campo”.
Insomma, “Il rumore dei tuoi passi” è un libro inaspettato, che ha saputo coinvolgermi e sorprendermi. Mi aspettavo un romance e invece ho trovato uno spaccato di realtà intima e cruda, capace di catturarmi fino all'ultima pagina.
Un libro che si divora in un attimo, scorrevole e piacevole che racconta la storia d'amore nata in una zona difficile d'Italia, chiamata "la fortezza" che può essere una qualsiasi periferia di una qualsiasi città italiana dove il degrado lo si respira. I ragazzi della storia infatti crescono troppo in fretta e hanno a che fare con la miseria ed il degrado più assoluti. La protagonista ha un carattere forte e ribelle, temprato dall'ambiente difficile. Ho apprezzato anche come viene trattata la dipendenza da droga, gli effetti dell'astinenza e come questa possa rovinare i rapporti tra le persone.
Come si fa a trovare le parole giuste per un libro come questo? Forse nemmeno esistono delle parole in grado di descriverlo o di raccontarlo in breve. Mi piacerebbe scrivere: “leggetelo tutti; dovete leggerlo”. Punto. E fermarmi qui. Il rumore dei tuoi passi è un libro che mi ha squarciato il cuore capitolo dopo capitolo, pagina dopo pagina. Sin dall’inizio è chiaro che non ci sarà nessun lieto fine, che la vita di Beatrice e Alfredo sarà costellata di dolori, sofferenze, delusioni. Prima fra tutte quella di essere nati e cresciuti nella Fortezza, un posto dimenticato da Dio dove i ragazzi muoiono prima di arrivare ai trent’anni, un posto in cui droga, erba, prigione e omicidi sono all’ordine del giorno. I “gemelli”, come tutti li chiamano, hanno imparato presto a soccombere alla legge del loro quartiere. Alfredo ha perso sua madre quando era ancora un bambino, neanche se la ricorda più, e da allora è stata la vittima perfetta per le mani di suo padre. Porta i suoi segni sulla pelle, cicatrici che resteranno sempre sul suo corpo e nel suo cuore. Odiarlo, però, è impossibile. Ribellarsi anche. Nonostante l’alcol lo annebbi, è pur sempre suo padre. Dietro il mostro, c’è l’uomo che gli ha dato la vita. E quando la notte tutto diventa troppo pesante per un bambino di otto anni, ecco che Alfredo trova rifugio e riparo in una casa qualche piano sotto la sua. Quella di Beatrice. Divide un letto matrimoniale con lei e con suo fratello. In tre stanno stretti, ma stanno bene. Il legame tra Alfredo e Beatrice diventa sempre più complesso. Più passano gli anni e più uno diventa il prolungamento dell’altra. Divisi non esistono; non esiste più Beatrice e non esiste più Alfredo. Esistono Beatrice e Alfredo, Alfredo e Beatrice. Insieme. Legati, indissolubilmente. Legati nella tragedia, nel dolore, legati nell’affrontare una vita tutt’altro che clemente. Legati anche quando un evento più catastrofico degli altri segnerà la vita del ragazzo per sempre. Legati anche quando la voglia di vivere lascerà Alfredo definitivamente e Beatrice si ritroverà sola a combattere per entrambi, contro di lui, contro la vita, contro il destino, contro l’amore. Il rumore dei tuoi passi non è una storia triste, è una storia amara. Terribilmente amara, profondamente amara, tragicamente amara. È una storia che fa male, che squarcia il petto. Per quanto sia abituata a leggere storie tristi e spaccacuore, stavolta ammetto di essere stata male. Sono stata costantemente divisa tra il desiderio, quasi spasmodico, di leggere e leggere ancora, e quello di prendermi una pausa perché non riuscivo a gestire ciò che mi stava piovendo addosso. Lo stile di Valentina D’Urbano è suggestivo, graffiante, essenziale a suo modo. In perfetta linea con la storia. Una storia che strazia, squarcia, una storia insidiosa. Che resta a lungo nella mente e nel cuore del lettore. Che non se ne va più.
Magari quattro stelle sembrerebbero troppe, però... lo stile della scrittura è asciutto e scorre bene, i personaggi e l'ambientazione sono assolutamente realistici, la trama ben congegnata, i temi trattati sono esposti in modo esaustivo, dunque direi che per le quattro stelle non gli manca nulla. Storia di formazione e adolescenza in una periferia squallida e malfamata: viene immediato il confronto con 'acciaio' ma qui decisamente c'è più spessore e meno stereotipo. La cosa più ammirevole è il modo in cui l'autrice ricostruisce poco a poco la storia di due persone con il loro singolare rapporto: non sono amanti, non sono solo amici, non sono fratelli ma è come se lo fossero, e vivono una loro personalissima storia in cui, pur essendo legati a doppio filo non riusciranno mai a toccarsi e capirsi veramente, due esistenze che come due rette parallele corrono sempre l'una accanto all'altra ma non si incroceranno mai. Insomma, un po' quello che vuole esprimere l'espressione che da' anche titolo al romanzo 'La solitudine dei numeri primi', ma anche in questo caso la D'Urbano vince il confronto perché riesce a dare più corpo, più concretezza al concetto.
perché è così difficile dire cosa ho provato leggendo questo libro? io non lo so veramente cosa ho provato.
ho amato Beatrice e la sua forza di non arrendersi mai e di esserci fino alla fine per Alfredo.
ho odiato Alfredo e la sua sfacciataggine.
ho odiato Beatrice e la sua insolenza nei confronti di Alfredo.
ho amato Alfredo e il suo carattere da prendere a schiaffi.
Ci troviamo tra gli anni ‘70 e ‘80, in un quartiere chiamato “La Fortezza” uno di quelli belli tosti.
Beatrice e Alfredo sono per tutti i “gemelli”. I due però non hanno in comune il sangue, ma qualcosa di più profondo.
A legarli infatti è un’amicizia ruvida e cruda, nata quando erano bambini. Un’amicizia che cresce con loro fino a diventare un amore graffiante.
la loro storia mi ha sfracellato il cuore nel giro di poche ore ed è finita lì. Mi hanno lasciato da sola a soffrire interrottamente senza darmi pace. non scherzo quando dico che un pugno allo stomaco avrebbe fatto meno male. ma indubbiamente..senza pensarci due volte, la rileggerei da capo ancora e ancora.
è anche inutile che io sto qui a perdermi in chiacchiere, perché certi libri voi lo sapete, bisogna leggerli e basta.. e questo è uno di quelli e fidatevi, dovete leggerlo.
E' da circa un paio di anni che vedo questo romanzo sugli scaffali. Mesi che mi capita di cercarne la trama e segnarlo tra i titoli da leggere. E' stato un caso se l'ho letto, perché - conoscendomi - so bene che se non mi fosse apparso sotto gli occhi in biblioteca non lo avrei mai acquistato. Nemmeno la trama che si trova online (che sa vagamente di new adult) ha saputo convincermi. Eppure un pomeriggio in biblioteca mi sono girata verso l'uscita e l'occhio mi è caduto sugli scaffali degli autori italiani, ed eccolo lì, di traverso con la copertina che mi fissava. Adesso che l'ho finito mi viene quasi da dire che se lo stavo evitando forse una ragione c'era. Perché questo romanzo è cattivo. Cattivo da farti male, un male serio, che ti stordisce e ti risucchia tutto il buon umore e la felicità dell'atto di leggere, ti toglie il brivido della curiosità e ti rinchiude in un buco oscuro di incertezza prima e disperazione poi, un tunnel buio, sporco, umido, senza uscita e senza lieto fine. Una cosa è da dire subito, prima che la trama e la copertina possano creare un'immagine distorta del romanzo: non siamo in ambiente frivolo da new adult, non siamo nella narrativa esistenziale vagamente stucchevole con protagonisti adolescenti, levatevi dalla testa l'idea romantica di una storia d'amore. I protagonisti saranno anche giovani, ma non hanno niente dei romanzi che vanno tanto di moda adesso e che, ora più che mai, assumono nella mia esperienza un ruolo puramente di evasione e di relax. L'amore che la D'Urbano ha creato è un legame viscerale che supera ogni definizione, è un'estensione del proprio essere, un parte del corpo, dell'anima, un organo vitale importante quasi quanto il cuore. Ma l'amore non è sempre felice, non è sempre puro né spensierato perché capita che venga sporcato dalle circostanze, dalla vita, dalla sfortuna. Leggere Il rumore dei tuoi passi è stata un'esperienza strana, contorta, perché più le parole mi facevano soffrire più leggevo veloce, più mi era difficile staccarmi dalla storia. E' stato come se anche io fossi un'abitante della Fortezza, senza scampo e senza futuro, con un unico motivo per andare avanti: chiudere questa storia e lasciarmela alle spalle il più velocemente possibile. Proprio come per Beatrice. Bea, protagonista e voce narrante, entra in scena per sbatterci in faccia la conclusione - inevitabile - del racconto. E' la prima cosa che ci dice, la prima che ci vuole far sentire come se sconvolgere il lettore e chiarire l'aria che tira siano più importanti dell'introduzione. Ma non serve che l'autrice o Bea ci accompagnino nella storia perché è la storia che si impone, ruba l'aria, cancella ciò che ci circonda. E' un'ambientazione viva e forte, quella della Fortezza, non solo uno sfondo ma un giocatore decisivo che influenza in silenzio le scelte dei personaggi, i loro sogni e i loro errori. Così Bea non è una giovane donna, è una sopravvissuta della Fortezza, una creatura nata, cresciuta, plasmata da una realtà degradata e da una microsocietà che ti insegna a resistere a tutto, a sopravvivere a tutto, a credere solamente nel momento e mai nel futuro. Per questo Bea è così cinica, egoista, insensibile, una bambina che pretende di ottenere ciò che vuole, un'adolescente che schiaccia i desideri altrui per favorire i propri, una giovane donna che non si guarda indietro se non per dire addio. Bea può non piacere ma la sua forza è innegabile, le sue motivazioni salde. D'altronde quando una parte di te, quella che pensavi di avere per sempre, si stacca un pezzettino alla volta è difficile evitare l'amarezza. Alfredo, il suo 'gemello', la sua estensione, il suo organo esterno, il suo amore, è ciò che la vita le ruba, ciò che le circostanze cambiano e poi rovinano. E' un cretino Alfredo, un ragazzino passivo e debole, bisognoso della solidità di Bea ma immune al buon senso. Povero Alfredo, così ingenuo e tenero e così egoista, cattivo, senza speranza. Alfredo è il lato oscuro dell'amore, quello che ti regala pochissime gioie - luminose, pure, potenti - ma tantissimi dolori e delusioni a non finire. E' un romanzo molto duro, molto forte ma molto bello. Racconta una storia fin troppo reale e una versione dell'amore che normalmente non viene presa in considerazione. E' scritto benissimo, con una scelta lessicale adatta ai personaggi e alla loro estrazione sociale, ricco di scene semplici ma d'effetto, di dialoghi che scavano pian piano un buco nel cuore del lettore e che - a libro chiuso - ti rimane in circolo per giorni. Io ci ho messo almeno una settimana per uscire dallo stato d'animo distruttivo che il romanzo mi aveva lasciato e ho dovuto sforzarmi perché la tristezza non mi influenzasse nella vita quotidiana. Non mi capita spesso che una storia cambi il mio umore eppure la D'Urbano ci è riuscita. Se non avete lo stomaco giusto, il romanzo non fa per voi. Ma se non avete paura di uscire dal guscio sicuro dei meavigliosi mondi incantati allora buttatevi e preparatevi ad una caduta dolorosa.
Se i personaggi del libro di Valentina D'Urbano fossero i personaggi di un romanzo classico, altro non sarebbero che i protagonisti dei capolavori di Zola (come "l'Assommoir"), destinati inconsapevolmente a una lenta disesa sociale ed economica a causa di tare genetiche e dell'influenza dell'ambiente in cui sono nati e cresciuti. Determinismo genetico e sociale totale, senza scampo. Qui l'ambiente influente è "la Fortezza", un periferico quartiere degradato, fatto di polvere e palazzi fatiscenti abitati da famiglie disagiate: un luogo del nulla e dove dilaga il nulla, un angolo di inferno, dimenticato da Dio. Ed è qui che, tra gli anni '70 e gli anni '80, crescono Beatrice e Alfredo, soprannominati i "gemelli" per quanto sono simili, animati da una rabbia cieca e primitiva, verso se stessi e verso quel mondo oscuro che non pare offrir loro niente di niente. Due poveri diavoli che si odiano tanto da amarsi, da non poter vivere separati. L'autrice segue i loro turbolenti anni adolescenziali, i loro pensieri, il loro vuoto senza fine, il loro amore-odio senza via d'uscita, la loro realtà senza sogni, e la caduta di Alfredo nella spirale della nemica numero uno di quei tempi, l'eroina. Mi rifiuto categoriamente di veder bollato questo romanzo come banale e giovanilistico. E' un bel macigno nello stomaco invece, un'opera dura, rabbiosa, molto "adulta", al di là dell'età dei protagonisti. Uno spaccato di vita senza colori, triste e molto spietato. Una durezza che trova riscontro nello stile, molto sciolto sì, ma anche particolarmente secco, rabbioso, quasi i protagonisti urlassero, invece di raccontare, la loro insofferenza. Quello che mi ha stupito di "Io rumore dei tuoi passi" è infatti la totale assenza di descrizione di fatti, stati d'animo e sentimenti positivi, non ce n'è nemmeno uno: persino il primo rapporto sessuale di Beatrice, da lei cercato e voluto, è descritto, tramite le sue parole, come un atto disgustoso, quasi fosse un dente doloroso da togliersi il prima possibile e con rabbia, giusto per non averne più il pensiero; persino la "sorpresa" finale (per nulla scontata, visto il nero della vicenda) presuppone un atto di amore, forse finalmente tenero, che c'è stato fra Beatrice e Alfredo, ma che l'autrice, ahimè, non ci ha concesso. Non c'è mai affetto, familiare, d'amicizia o di coppia, non c'è mai serenità, gioia, realizzazione, fra queste pagine, magari ci saranno, in futuro, chi lo sa, ma personalmente ho i miei dubbi. Io alle terorie deterministiche di Zola credo molto, e non so se la D'Urbano si è resa conto che nel suo romanzo le ha messe pienamente in atto. Nella tua vita, nonostante i tuoi sforzi, potrai mai diventare veramente una bella farfalla e volare in alto se nasci e cresci nel fango e porti in te i geni di un verme? Bella domanda. In conclusione, dimenticatevi le teen stories tutti baci e abbracci, perchè qui siamo ben lontani da tutto questo.
Io non lo so come si scrive una recensione a un libro di questo genere. Mi farò guidare dall'istinto perché ho il bisogno di riversare all'esterno ciò che ho provato durante la lettura.
Cresciuti in una periferia che potrebbe essere in ogni città e in qualsiasi tempo "La fortezza", un luogo dove la criminalità, la povertà e le prevaricazioni sono parte integrante della società. La terra di mezzo dove la legge non entra a patto che gli abitanti non ne escano. In un luogo così si è vittime o carnefici, sopravvivere o soccombere sono le uniche alternative.
Beatrice è cresciuta in una famiglia povera, però sa cosa vuol dire essere amati e vivere in un contesto relativamente sereno. Alfredo ha conosciuto umiliazioni, paura e soprusi, in una famiglia che in realtà non lo è. Il luogo in cui vivono li segna in modo indelebile; la violenza gli scava dentro e li rende brutali, rassegnati. Bea si crea una corazza che la rende cinica e le dà la forza di camminare a testa alta, il desiderio di fuggire da quel marchio che la rende una reietta agli occhi di chi non vive quella realtà. Alfredo ne resta soggiogato e senza capirlo fa sì che quel marcio gli entri dentro fino a sopraffarlo. Insieme si completano e si distruggono a vicenda.
Uno spaccato di vita che ripercorre, attraverso i ricordi e il pov di Bea, la vita di due bambini che si scoprono adulti a una velocità che non gli permette di esserlo realmente. L'asse temporale è di circa 11 anni dal 1976 al 1987, anni duri e difficili, mentalità di altri tempi che oggi definiremmo retrograde, ma purtroppo i fatti raccontati sono ancora attuali. Sotterfugi, omertà e la lotta continua per arrivare al giorno successivo. Povertà e degrado che strisciano nell'animo inaridendolo. L'amore assume connotazioni che è difficile comprendere fino in fondo e ogni personaggio lo plasma a propria necessità. Un sentimento forte e talmente profondo da non riuscire a contenerlo può essere la cosa peggiore che può legare due persone? Non ho la risposta perché devo ancora razionalizzare la storia.
Se questo è il romanzo d'esordio non posso immaginare cosa possa aver fatto l'autrice nel corso degli anni. La storia scorre fluida, i personaggi sono ben caratterizzati, le scelte lasciano di stucco e spronano il lettore ad andare oltre i propri limiti, i dialoghi sono appropriati all'età e al contesto. Tutte cose che mi portano a fare i complimenti all'autrice. Ultima nota positiva il testo risulta corretto cosa che apprezzo sempre. L'inizio di questo libro è un pugno nello stomaco, la storia dà la sensazione di soffocamento e il finale dà il colpo di grazia o forse la libertà, dipende dal lettore ecco perché non mi sento di consigliarlo a cuor leggero. Io invece ringrazio chi mi ha suggerito di leggerlo.
Ein unglaublich spannendes, ehrliches und direktes Buch, welches Gewalt und Liebe, Hass und Sehnsucht, Mut und Aufgabe miteinander verschmelzen lässt. Geniales Beleuchten einer den meisten von uns fremden Gesellschaft. Alleine das macht das Buch schon so unglaublich lesenswert. Eines der besten meines Lebens und auf jeden Fall ein Jahreshighlight.
Se me ne vado io, tu muori, ma non per i buchi. Muori perché ti si stacca un pezzo, ti si strappa via una parte di vita e senza quella parte, dopo di te, crepo pure io.
"Perchè Alfredo si era davvero innamorato di Paola.Ma io ero un pezzo di lui, e l'istinto di conservazione ha sempre la meglio sull'amore" Questo è il vero succo de "Il RUMORE DEI TUOI PASSI DI Valentina D’Urbano" .Ci sono libri che se vanno preservati, raccontati e vissuti e la storia di Beatrice ed Alfredo è qualcosa di forte e potente come uno di quei pugni che si sono scambiati un'infinità di volte i due protagonisti e proprio di pugni, dolore, odio stiamo parlando. Diverse facce della stessa medaglia perché l'amore che provano Alfredo e Beatrice è forte, sanguinoso, infantile e puro. Si cercano, si lasciano, litigano, combattono e vivono di riflesso alle azioni dell'altra. Un amore a prima vista per quel bambino massacrato di botte che la famiglia di Beatrice accoglie in casa e tratta come un figlio. Il tempo che passa, due bambini che diventano adolescenti e che non sanno interpretare bene i loro sentimenti, cresciuti in famiglie violente o troppo assenti in un quartiere ghetto di periferia come tanti ci sono in Italia chiamato "la Fortezza" dove la polizia non entra e non ci vuole entrare, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta dove Paolo Rossi è più conosciuto di Pertini, dove c'è il terrorismo, i dischi di Battisti e Baglioni. La storia è narrata dal semplice punto di vista di Bea ma di semplice ha solo la diretta tecnica narrativa. mi ha ricordato molto il Fasciocomunista di Antonio Pennacchi quando un ragazzino raccontava la sua vita nel quartiere dei profughi d'Istria delle paludi pontine; pagine scritte come se fossero vecchie polaroid senza filtri dove i muri cadono a pezzi e frasi oscene vengono scritte sui pilastri dei palazzi degradati con una chiave. Alfredo, bello e spesso silenzioso, Beatrice irruenta e istintiva; crescono insieme, camminano nello stesso modo, respirano nello stesso modo e tutti li chiamano i "gemelli" per quanto sono diventati simili. Beatrice che cerca un'esistenza migliore fuori dalla Fortezza, Alfredo che non vuole andarsene e tra una canna e una birra vuole solo sopravvivere all'ennesimo attacco di un padre violento e alcolizzato. Beatrice che tenta di salvare Alfredo quando entra nel tunnel dell'eroina, che lo trascina fuori tirandolo per i capelli. Alfredo che però non vuole essere salvato e Beatrice che non vuole arrendersi. Una delle storie di vita che ho letto, uno dei libri che terrò stretti. Se potessi dare 10 stelline, le darei tutte e dieci. Capolavoro
A pezzi. Sto a pezzi. Ogni parte di me piange, sanguina. Un libro crudo, reale. Maledettamente vero. Piango, mi lascio andare a quelle emozioni che si sono impadronite di me. Niente più da dire, da aggiungere. Un colpo al cuore, basta.
È un libro complesso che non consiglierei a chi ha subíto una perdita di recente perché la prima e l'ultima parte sanno come riaccendere ferite che richiederanno tempo per provare a riemarginarsi un po', però è un libro da non sottovalutare. La tematica principale è il degrado sia del luogo dove la vicenda è ambientata - di cui non sappiamo il nome della città, ma sappiamo che si tratta della Basilicata- sia della distruzione personale dei protagonisti. I temi del degrado ci sono tutti: l'abbandono scolastico, l'alcol, la droga, l'aborto, l'omicidio, l'isolamento dal resto della città, la sporcizia degli ambienti. In questo tessuto vivono l'amicizia che è quasi amore Bea e Alfredo. La loro è una lotta continua contro qualcosa e contro sé stessi, tra la voglia di scappare e la necessità di restare inchiodati l'uno all'altro. Ma la vita vince e vince sempre anche quando vorremmo restare ancorati al passato.
"Qualche volta bisogna costruirsi una bugia e tenerla in piedi o non si va avanti."
Una discesa infinita in un abisso di dolore e sofferenza. Alfredo e Beatrice, i gemelli, due anime complementari che si distruggono a vicenda nel corso degli anni, un amore malato. Gemelli fino a un certo punto però, perchè dove Beatrice trova la forza di reagire, Alfredo invece si lascia andare. Ambientato in una periferia senza colori nè futuro che distrugge e soffoca tutto quello che di buono potrebbe esserci. Speri fino alla fine che qualcosa possa cambiare, ma non c'è speranza in questo posto fatto di polvere e di violenza, solo dolore e un futuro che sembra già scritto e che si intuisce dalla prima pagina. Straziante, cattivo, amaro come pochi racconti. Tanto bello quanto doloroso.
"Ci saranno tante cose a cui dovrò abituarmi, e ce ne saranno altrettante di cui dovrò fare a meno. Il rumore dei tuoi passi, il tuo odore che svanisce sul cuscino, la luce del giorno in cui mi hai lasciato sola."
Valentina D'urbano ha creato personaggi dal carattere emblematico, ermetico ma, allo stesso tempo, aperto. Sono così Alfredo e Bea, i gemelli che tanto si somigliano ma che non hanno lo stesso sangue. Quest'opera aspra e cruda insegna al mondo che la vita spesso non risulta come ci aspettiamo, la realtà della "Fortezza" è celata da segreti, omertà, amori non svelati... Il rumore dei tuoi passi è un'amicizia che si trasforma in un amore reso impossibile da un quartiere fatto di polvere, dal degrado, da realtà che segneranno per sempre la vita dei nostri personaggi tormentati da dolori quali droga, morte, violenza...
Un esordio forte quello di Valentina D’Urbano, che con il suo stile freddo e diretto, e i suoi protagonisti drammatici e unici, si è imposta come una delle migliori scrittrici italiane di ultima generazione. Io ne sono stata completamente colpita, innamorandomi perdutamente di Beatrice e Alfredo. La storia che ci racconta la D’Urbano è unica nel suo genere, reale come poche. Il libro nasce finalizzato ad un pubblico giovane, ma per i temi e il modo in cui vengono trattati, lo si potrebbe adattare benissimo ad un pubblico più adulto. La realtà che fa da sfondo ai due protagonisti è quella di degrado del quartiere chiamato “ la Fortezza”. Un quartiere che sa di malsano, di delinquenza e sporcizia, un luogo ai limiti della società dove convivono ladri, truffatori e drogati. “La Fortezza era un porto franco, una terra di nessuno. Quelli del quartiere non avevano paura delle guardie, non avevano niente da perdere. Chi se ne fregava della prigione, tanto, per la maggior parte, quelli che abitavano lì c’erano già stati e tornarci non faceva grande differenza” Beatrice e Alfredo sono due ragazzi nati nella Fortezza, che non hanno mai conosciuto il mondo fuori, e che col tempo ne sono stati marchiati, plagiati, diventando loro stessi polvere. Per tutti Bea e Alfredo sono “I gemelli”, identici nel modo di camminare, di comportarsi e di vivere. A legarli non è un vincolo di sangue, ma un’amicizia profonda, cresciuta e alimentata con loro, sopravvissuta a tutto ciò che di oscuro la vita può regalare. Un legame unico, fatto di odio e cattiveria, di amore incondizionato e fedeltà. Sconosciuti prima, amici poi, segretamente amanti in seguito, Bea e Alfredo si inseguono attraverso gli anni, sempre insieme, sempre pronti l’uno per l’altro, fino alla fine.
"Ci chiamavano i gemelli. Ci chiamavano così anche i nostri amici. I gemelli. Era per via di come ci muovevamo. Camminavamo in sincrono, con lo stesso identico passo sciatto e ciondolante. Avevamo le stesse espressioni facciali, le stesse abitudini, gli stessi gesti nervosi. Stropicciarsi gli occhi con gli anulari. Tormentarsi il labbro superiore con i denti. Massaggiarsi il sopracciglio destro, quello dove lui aveva la cicatrice. Il modo di ridere, quello di mangiare, anche la posizione in cui dormivamo era la stessa, ma questo lo sapevamo solo noi due."
È in loro che si impara a conoscere quello spaccato di realtà fatta di emarginazione e difficoltà, di lotte e ribellioni, di degrado e polvere. È attraverso di loro che l’autrice ci presenta quell’Italia degli anni di piombo, di violenza e terrorismo, lontana eppure tanto vicina. La storia infatti non è recente. Con il racconto della vita dei due ragazzi, l’autrice abbraccia i primi anni ottanta, descritti con un’incredibile attenzione di particolari, rendendo il tutto sempre più reale e coinvolgente. Nessuna menzogna, nessun giro di parole, nessuna censura: diretta, crudele alle volte anche stronza, Beatrice è un protagonista unica nella sua normalità. Nata e cresciuta nella fortezza, incarna la piccola parti di abitati che sognano una vita al di fuori di essa, un riscatto verso se stessi. Determinata, forte, testarda ma anche capricciosa ed egoista, affronta la vita combattendola, mettendola sempre in gioco. Interessata soprattutto al proprio benessere, non ci pensa due volte però a sacrificarsi per le persone che ama, a rinunciare ai suoi obiettivi per poterle salvare. Il principale bersaglio del suo odio è il gemello Alfredo, con il quale condivide questo legame fatto di scontri e riappacificazioni, lacrime e risate, odio e amore. L’essere che ha più bisogno di lei.
“ Io non avevo mai odiato nessuno come odiavo lui in quel momento. E non avevo mai amato nessuno come sentivo di amare lui in quell’istante. “
Al contrario Alfredo è insicuro, chiuso, pauroso quasi infantile. L’anello debole della catena e anche quello che si fa più fatica ad apprezzare. Proprio per il suo atteggiamento rinunciatario con quale affronta le situazioni, un vero pugno nello stomaco se paragonato alla ragazza. A differenza di Bea, non vanta una famiglia amorevole ed equilibrata. Orfano di madre, combatte ogni giorno con un padre violento che soffre di una grave forma di alcolismo. Bea diventa la sua ancora di salvezza, fisicamente ed emotivamente, l’unica forte abbastanza da poter salvare Alfredo. L’unica in grado di poterlo custodire e proteggerlo e, in un certo senso, anche controllare.
Valentina D’urbano ci racconta il più puro degli amori, quello nato tra macerie e resti. Un amore di possessione e dolce speranza, di chi crede nell’altro fino alla fine, indipendentemente da tutto. Di chi non si arrende. Un amore freddo e calcolatore, fatto di schiaffi e parole sputate, fatto di sguardi e sfide, un amore vero e intenso. Niente romanticismo o scene sdolcinate: Beatrice e Alfredo, due adolescenti che combattono con una realtà molto più grande di loro e che cercano giorno dopo giorno, di uscirne il più integri possibili.
“ Ci sono mani in questa oscurità, e ci sono voci. Ci sono mani calde, mani vive e parole preoccupate. Forse qualcuno che piange, ma non sono io. Loro gridano e io grido più forte, cerco di tenerli lontani, cerco di difenderti da quelle mani che mi tirano,mi forzano e mi accarezzano e tentano di staccarmi da te,ma scivolano via, perché io non ti lascio. Non ti preoccupare, Alfredo, non avere paura, io rimango qui con te. Dentro il buio.”
“ Il rumore dei tuoi passi” è un romanzo che non concede sconti a nessuno, che ti entra sotto la pelle e nel cuore, e lì resta, torturandoti. Non scende a compromessi sbattendoti in faccia una realtà amara e ingiusta, resa ancora più pesante da un alone di pessimismo che aleggia in tutto il libro. Ogni personaggio, principale e secondario, con i suoi pregi e difetti, ne fa parte e la contraddistingue, rendendola insopportabile. Sotto un certo punto di vista, il romanzo potrebbe ricordare “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”, non tanto per i temi trattati, ma per l’incredibile sincerità con la quale la protagonista li presenta.
Valentina D’urbano è riuscita a mettere su una di quelle storie potenti e devastanti, che ti tengono sveglio la notte, che ti portano a fare domande e a cercare risposte inesistenti. Una di quelle storie che custodisce gelosamente in libreria o nei meandri nascosti del cassetto, che leggi e rileggi assaporandole, godendole, gioendo e soffrendo… ogni dannatissima volta.
"Ci saranno tante cose a cui dovrò abituarmi, e ce ne saranno altrettante di cui dovrò fare a meno. I rumore e gli odori e le luci di questo posto. Il rumore dei tuoi passi, il tuo odore che svanisce sul cuscino, la luce del giorno in cui mi hai lasciato sola."
*****PROBABILI SPOILER***** Non lo so. Non so se sono in grado di poter raccontare, di poter spiegare cosa ho provato. Cosa ho sentito leggendo questo libro. Ho amato, ho provato rancore, rabbia, impotenza, furia e qualche volta tenerezza. Ho amato Alfredo da subito, da quando l' ho incontrato bambino col volto pieno di sangue, sul quel pianerottolo, in lacrime. Ho amato Alfredo dal momento che posa gli occhi sulla bambina Beatrice e smette di piangere. Ho amato Alfredo, che cerca salvezza e amore nella famiglia di Bea, che lo accoglie come figlio, fratello, amico. Ho amato il ragazzino dinoccolato che porta sempre magliette con maniche lunghe a nascondere i segni lasciati dal padre. Ho amato l'adolescente cresciuto dentro quei due stracci, che prova amore ma che non lo sa. Che si rapporta a questo sentimento come lo conosce lui; con rabbia, violenza, brutte parole. Ho odiato il suo modo di subire la vita, l'aria, l'ambiente che vive e respira. Senza provare mai a credere che magari ci possa essere una possibilità per lui, per lei, per loro. Ho odiato la sua mancata voglia di uscire dalla Fortezza e crescere in un altra realtà. Ho odiato Beatrice, che per difenderlo da se stesso e da lei non riesce ad affrontarlo se non maltrattandolo; litigando con lui, picchiandolo e quasi mai parlando dolcemente. Mai dicendogli quanto è forte il loro amore. Amore si, perchè crescono come fratelli, amici e si amano come due adolescenti possono amare. In maniera forte, piena e Feroce. Feroce però è il loro negare sempre di meritare qualcosa che potrebbe essere così bello. D'altronde, affrontano questo sentimento come affrontano il resto. Nell'unico modo che il luogo, l'ambiente che gli ha visti crescere, ha insegnato loro. Senza speranza, con apatia e ancora rabbia e violenza. Violenza che la vita riserva loro, senza tregua. Si cercano, si vogliono, sono parte l'uno dell'altra. Sanno che non sarebbero completamente se stessi se non vivessero in simbiosi. Sacrificano se stessi in nome di un sentimento che non si confidano. Ma non si lasciano mai. Ho amato anche Beatrice quando si rende conto che Alfredo sta provando a dimenticarla; L'ho amata quando le fa male lo stomaco, il cuore, le fanno male le ossa, tutto perchè il suo "gemello", la sta mettendo da parte per un'altra ragazza. L'ho amata quando finge che sia tutto a posto, ma tutto a posto non lo è...perchè lui non è li con lei. Poi ho provato rabbia, perchè Alfredo manda tutto all'aria per riavere la sua Bea. Non puoi lasciarglielo fare Beatrice, se non gli dici ciò che senti. Lo stai annullando usando il suo amore per te e lo sai. Ma lo lasci fare e te lo riprendi. Se lo riprende Beatrice, sapendo che non è giusto e che si stanno facendo del male. Sono l'amore l'uno dell'altra , ma sono anche prigionieri l'uno dell'altra. Il tempo passa e la vita cambia, ma loro cercano di rimanere attaccati a quello che sono sempre stati. Ma poi la Fortezza gioca loro un altro brutto scherzo; li fa "diventare adulti" e tutto precipita. Alfredo non ce la fa più, un ragazzo di diciannove anni provato dalla vita così duramente che RINUNCIA. RINUNCIA a se stesso. Chiede scusa per quello che è, ma che non avrebbe voluto essere. Ecco allora il sentimento di impotenza; che mi ha logorato, mi ha fatto provare la furia per non poter cambiare il corso degli eventi. Eh si perché ad un certo punto ero io Bea. Ero io che gli stavo accanto nel dolore, nella stanchezza, nelle sue crisi. Ero io che vedevo il mio amato Alfredo andarsene giorno dopo giorno, mentre si aggrappava ancora a me. Che ero l'unica cosa che contava nella sua vita.
Oddio quel ragazzo pieno di tanto amore, che non sapeva spiegare. La sua tenerezza nel riprendersi indietro la sua Beatrice. Perché ci prova lui a farglielo capire...e lei capisce. Si capiscono; loro che non lo hanno mai fatto. Ma Beatrice perde il suo Alfredo e perde parte di se stessa. Se ne va dalla Fortezza, portando con se il bocciolo di un amore appena sussurrato. E quando Mattia chiederà di suo padre, lei glielo racconterà. Ma per questo... c'è tempo.
Questa storia ha la stessa energia che si ha solo da bambini quando giochi al parco con i tuoi amici e non ti importa se l'erba ti sporca i pantaloni di verde/marrone, non ti importa se tocchi a terra per prendere i sassi più belli, non ti importa se corri, corri e ti manca il fiato. Questa storia ha questa energia; ma ha anche il dolore che a volte la vita si porta dietro: il dolore scorticante e sordo e che ti cambia. L'autrice ambienta il racconto nella Fortezza che riesce a descrivere in modo quasi "sgarbato", ma che rende perfettamente l'idea. I suoi abitanti sembrano assorbirne la storia, le caratteristiche, sembrano avere nel sangue un po' di quella polvere che c'è sempre nelle strade, la stessa durezza e semplicità - pochi fronzoli, vita vera. I protagonisti sono "i gemelli", due amici cresciuti insieme, in un modo che neanche loro hanno capito fino in fondo: si azzuffano, crescono, si macchiano l'uno con il sangue e la vita dell'altro, si mescolano abituandosi all'altro in un modo vitale e, infine, si amano in un modo che richiama la Fortezza, quasi - di nuovo - "sgarbato", lanciandosi questo amore l'uno sull'altro perché non sanno come viverlo, forse; si amano come due animali feriti che si tengono al caldo, si aiutano a sopravvivere, perché la vita può essere difficile e loro devono pensare a questo. Beatrice è forte, caparbia, mossa da un fuoco che non si spegne mai - anche quando pensa che sarebbe meglio se lo spegnesse, quel fuoco; è spigolosa, protettiva in un modo possessivo, ma nasconde dietro a quella scorza, la voglia di allontanarsi da quella polvere che la vuole granitica per forza. Alfredo è meno corazzato, la vita non riesce a farsela scivolare addosso, ci rimane inzuppato in quello che gli accade e prende a nascondere in un posto dentro di lui quello che non riesce a processare - neanche a urla o pugni come potrebbe fare Beatrice - finché quel pozzo non diventa troppo grande e ci scivola dentro. E Beatrice vorrebbe salvarlo, perché sono "gemelli", perché se muore lui, muore anche lei. La lotta maggiore di Beatrice sta nell'accettare di arrendersi, nell'accettare che non può con le urla e le minacce risolvere ogni cosa, sta nel sedersi accanto ad Alfredo su quella panchina; forse è la stanchezza a insegnarle la lezione più dura di tutte, che non possiamo prendere la vita di chi amiamo e soffiarci dentro per lui, anche se ci proviamo con tutti i polmoni. Anche se è un po' anche la nostra vita. Il finale, quello a sorpresa, ti lascia, lo ammetto, un po' esausta perché ti chiedi perché, perché anche questa; poi però pensi che sono riusciti a non essere i "gemelli", ma a essere una cosa sola - e la scelta di non raccontarlo nei capitoli penso sia tristemente geniale - per poi diventare qualcosa d'altro, insieme, in un'altra persona e, non so, alcune note della loro vita a camminare con la stessa postura per le strade della Fortezza continueranno a suonare. Lo stile della scrittrice ti prende ed è in perfetto sincro con la Fortezza, la sua vita; è una scrittura senza fronzoli, che va dritta al punto, un po' "scartavetrata", come lo è il dolore, come può esserlo la verità. Le emozioni arrivano senza sfumature, mai appannate e sempre potenti. Il tema della dipendenza, in ultimo, penso sia stato trattato bene, inserito in un modo che non vuole essere didattico, ma che ha tutte le carte per aiutare. Non so perché, ma mi ha lasciato un po' la stessa sensazione che ho provato quando ho finito di leggere "Nessuno si salva da solo" della Mazzantini; quest'ultimo l'ho letto anni fa, quindi non saprei dire perché con esattezza: forse per come è raccontato l'amore, forse per altro.
'E allora perchè piangi?' 'Non lo so. Non lo so perchè piango. Non volevo essere così. Merda, io non volevo davvero.' 'L'ero è una medicina solo se hai il coraggio di morirci. E tu questo coraggio non ce l'hai.' 'No, non ce l'ho. Meglio così. Non ti ho fatto niente, prima. Avrei potuto ammazzarti, e non ti ho fatto niente. Mi sa che ti amo, Bea.' Non me l'aveva detto mai.
Emozioni pure, emozioni vere il tutto racchiuso all'interno di un piccolo libro che avrà per sempre un posto speciale nel mio cuore. Questi sono i libri che meritano tutta la mai attenzione, storie vere, che ci circondano, ma narrate attraverso gli occhi di una ragazza che non può mollare, non vuole mollare, per quel gemello che l'ha abbandonata per far si che la sua migliore amica diventasse l'Ero. Beatrice e Alfredo vivono in simbiosi, si odiano e sia mano come non mai, ma non riescono a stare lontani. Si ritrovano a crescere insieme a causa delle continue violenze che esistono nella vita del ragazzo per un padre ubriacone. La loro quindi è una convivenza forzata. Beatrice lo odia perchè è riuscito a catturare l'affetto della madre e del padre e si sente minacciata in ogni cosa. Tragedie e litigi faranno da scontro alle giornate di questi due ragazzi, ma più che altro leggeremo di una città divisa in due, da un lato la ricchezza e il benessere, dall'altro si parlerà di questa Fortezza, di questa specie di quartiere enorme dove degrado e sporcizia faranno da sfondo alla loro storia. I temi trattati sono tanti, molti narrati in maniera nuda e cruda, ma non per nulla in maniera banale. sono molto felice di aver avuto l'opportunità di leggere questo capolavoro soprattutto perchè scritto da una ragazza italiana. Si possono contare sulle punte delle dita di questi scrittori emergenti che si staccano dalla mischia dei copia/incolla di libri che sono stati pubblicati già. Bravissima Valentina e grazie Jenny Jay.
La storia è bella, molto cruda e dura. Racconta di adolescenti persi in un mondo fatto di droghe e furti, e non per scelta loro, ma perché lì ci sono nati e non conoscono niente oltre a quello. Racconta di un amore duro esattamente come tutto quello che c’è alla Fortezza.
Eppure… eppure è mancato decisamente qualcosa. Perché questo libro non mi ha fatto emozionare, nemmeno un po’. E dato che quando si tratta di lettura io mi emoziono praticamente per qualsiasi cosa un po’ più lunga della lista della spesa, è una cosa strana, dato la trama. Non so nemmeno bene a cosa sia dovuto questa mia mancanza di emozioni. All’inizio che racconta già la fine? Non sarebbe la prima volta che mi capita di leggere un libro così, e come sempre mi sembra che il libro perda un po’. In questo caso, poi, mi toglie fin dalla prima pagina la benchè minima speranza che ai nostri protagonisti alla fine possa succedere qualcosa di bello. Che poi, a pensarci bene, è semplicemente sinonimo di realtà, questa situazione così drastica e crudele. Allo stile fin troppo duro e crudo, senza il benchè minimo fronzolo, che in alcuni momenti mi ha dato fastidio? Ai personaggi che mi sono sembrati statici, uguali a se stessi dalla prima all’ultima pagina? Certo è mi sarebbe piaciuto un po’ più di cambiamento, una voglia di scappare maggiore, . Il problema che ho avuto io con questo libro, alla fine, è dato da un mix di queste cose che, nel complesso, non mi hanno fatto apprezzare più di tanto una storia che secondo me aveva del potenziale altissimo, che però non mi sembra essere stato sfruttato appieno.