È ingenua, ma il suo sguardo sbilenco vede ciò che gli altri ignorano. È vulnerabile, ma resiste alla ferocia del suo tempo. È un personaggio letterario magnifico. La voce di Redenta continuerà a risuonare a lungo, dopo che avrete chiuso l’ultima pagina. Redenta è nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto. È così che comincia davvero il fascismo, e anche la vicenda di Redenta, della sua famiglia, della sua gente. Un mondo di radicale violenza – il Ventennio, la guerra, la prevaricazione maschile – eppure di inesauribile fiducia nell’umano. Sebbene Bruno, l’adorato amico d’infanzia che le aveva promesso di sposarla, incurante della sua «gamba matta» dovuta alla polio, scompaia senza motivo, lei non smette di aspettarlo. E quando il gerarca Vetro la sceglie come sposa, il sadismo che le infligge non riesce a spegnere in lei l’istinto di salvezza: degli altri, prima che di sé. La vita di Redenta incrocia quella di Iris, partigiana nella banda del leggendario comandante Diaz. Quale segreto nasconde Iris? Intenso, coraggioso, “I giorni di Vetro” è il romanzo della nostra fragilità e della nostra ostinata speranza di fronte allo scandalo della Storia.
Architettura fascista in Romagna: Forlì, Viale Mussolini, oggi viale della Libertà.
Opera seconda, libro ambizioso: per il periodo storico, dal delitto Matteotti (1924) al dopoguerra focalizzando sugli anni malvagi della Repubblica di Salò (e benedetto sempre sia chi non dimentica l’orrore di quel maledetto ventennio e della sua orrida appendice); per il numero di personaggi, protagoniste due donne che nascono più o meno in contemporanea, finiscono con l’incrociarsi e legare i propri destini; ambizioso per le lingue adottate, impastata di romagnolo quella di Redenta, più asciutta e nazionale quella di Iris, che come primo mestiere fa la maestra.
Architettura fascista in Romagna: Cesenatico, la colonia estiva Sandro Mussolini (AGIP).
Ambizioso anche per il personaggio richiamato dal titolo, Vetro, nome che è soprannome dovuto a un occhio di vetro guadagnato con una ferita in Africa (Orientale). Vetro è crudele e autenticamente sadico, regala al romanzo alcune situazioni di rara ferocia che non ci vengono risparmiate. Ma non credo che questo si possa interpretare come equiparazione fascismo=sadismo, non credo la Verna sia così sbrigativa: oltre al fatto che non è l’unico personaggio del mazzo in camicia nera, Verna racconta il fascismo anche in altre chiavi.
Architettura fascista in Romagna: Grand Hotel Terme, Castrocaro Terme.
Ma succedono troppe cose, il romanzo è massimalista, troppa trama, troppi fatti, e perlopiù dolenti quando non di pura autentica sventura. Libro troppo lungo, non solo in sé, ma anche con un finale sterminato (40/50 pagine) che ha l’ansia di chiudere ogni vicenda, far quadrare tutti i cerchi, come spesso succede nelle serie TV, quelle che affastellano finali su finali perché devono portare a compimento ogni singolo thread.
Architettura fascista in Romagna: Predappio, Casa del Fascio.
E per quanto nella nota finale Nicoletta Verna scriva: In questo romanzo non c’è niente di vero, eppure non c’è niente di falso. Non c’è niente di vero, perché la storia è del tutto inventata, eppure non c’è niente di falso perché quasi ogni vicenda parte da racconti e personaggi di cui in qualche modo ho letto o avuto notizia. Qui e là la sensazione di incredulità fa capolino, qualche episodio o dettaglio risulta inverosimile.
Architettura fascista in Romagna: Tresigallo, Viale Roma e la Casa del Fascio.
Letteralmente scioccata da questo libro (in cui ovviamente pochissime cose vanno come mi aspettavo), non so se è veramente un libro da 5 stelle ma l'ho letto in tre giorni e questo dovrà pur significare qualcosa. Emotivamente mi riprenderò tra qualche anno
Nicoletta Verna aspettati la parcella del mio psicologo
Edit post annuncio dozzina 2025: il fatto che questo libro non sia stato inserito nella dozzina del premio Strega è un crimine che non sono disposta ad accettare.
Sono quattro stelline un po' generose, date sicuramente alla scrittura di Nicoletta Verna e alla capacità di unire all'italiano termini e modi di dire dialettali romagnoli che non appesantiscono la storia, ma che al contrario la rendono più viva e vivace stimolando la lettura per scoprirne gli sviluppi, e anche all'ambientazione storica; mezza in meno per la capacità di intreccio, che se è bella nelle intenzioni, mi sembra patisca in alcuni punti, rendendo poco chiari snodi che dovrebbero essere decisivi e più incisivi; e all'alternanza delle due storie: quella di Redenta è indubbiamente meglio riuscita di quella di Iris, che in alcuni momenti soffre di subordinazione alla prima, nonché a un cambio di narrazione che mentre inizialmente procede in senso temporale lineare, all'improvviso comincia ad andare avanti e indietro nel tempo creando (almeno a me, ma non solo a me essendomi confrontata con altre persone) un po' di confusione. Detto questo, con le mie letture sono in piena fase Resistenza (per quanto più orientata a quella romana) e questo romanzo ha avuto il pregio di farmi approfondire le storie di Iris Versari e della banda Corbari (cui forse, si ispira parzialmente e in alcuni spunti "I giorni di Vetro"). Bella l'ambientazione a Castrocaro e dintorni: fa venire voglia, a chi come me non li conosce, di andare a vederli dal vivo e non solo su Google.
la condizione più infida che esiste non è la tirannia, ma l'illusione della libertà Una gran bella lettura quella della Verna, su un tempo che, chiassà perchè, una volta avrei sentito come lontano e ora ritrovo più vicinio che mai: gli anni del Ventennio in una Romagna in bilico tra entusiasmi e lotte tra ideologie. E in mezzo i poveri cristi: "avevamo una miseria da far scappare via i pidocchi" con un unico bisogno: quello della sopravvivenza. E le donne, con la loro vita costretta tra botte e sopprusi. Personaggi epici come Redenta e Fafina e una tensione in crescendo per quasi tutto il romanzo, peccato per quel finale un po' troppo lungo che ha diluito un pathos fin lì ben calibrato. Comunque un libro da Ultima dozzina dello “Strega”, certamente. E infatti è rimasto fuori
Questo è un libro meraviglioso. Amaro e senza riserve per nessuno. Parla di esseri umani di un tempo passato e parla a noi esseri umani di oggi. Parla di debolezze, ideali, violenza, gentilezza, guerra e infine di pace. Leggetelo tutti!
Vetro, come l’occhio di vetro che gli è stato impiantato dopo una ferita all’occhio inferta da un proiettile.
Vetro, come è la sua natura, non trasparente, ma tagliente, che al minimo tocco va in frantumi e fa male.
Perché questo fa Vetro, alle donne con cui entra in intimità. Vetro però non è il suo vero nome:
“– Come si chiama? – Amedeo Neri, ma lo chiamano Vetro.”
Nicoletta Verna, dopo l’esordio potente de “Il valore affettivo”, ritorna in libreria con “I giorni di Vetro”. Un romanzo meno potente, a mio avviso, perché soprattutto nel finale è troppo lungo (ed è questa la pecca secondo me).
Nicoletta Verna ha ambientato questo suo romanzo storico nel ventennio, per parlare della guerra, della resistenza e della violenza di oggi, che affonda le sue radici nella violenza di ieri
In un’intervista la scrittrice ha detto: «Ho scelto di raccontare il passato per parlare della violenza del presente. Il tema principale del romanzo è la violenza come primordiale e inevitabile forma di interazione fra gli esseri umani. Questa violenza nel distruggere determina il progresso: l’evoluzione è sopraffazione, dunque violenza. […] Qualunque invenzione presente nel romanzo è sottoposta al rigido vincolo della verità storica frutto di una corposa ricerca».
La protagonista femminile del romanzo è Redenta, una ragazza “sciancata” che diventerà la moglie di Vetro. Redenta che saprà, con la sua ingenuità, essere principio di redenzione per un’altra donna, Iris
“Chiudo gli occhi aspettando che arrivi Vetro a tormentarmi dalle tenebre, invece c’è il sole e Paolo che corre contento nel piazzale di fronte alla scuola insieme agli altri bambini di Tavolicci. E i marchesi, svegli di notte a scrivere il giornale, pieni di fiducia nel futuro. C’è Redenta che porta barcollando un carretto verso la campagna ed è felice di sapermi libera. Diaz che mi trova alla stazione. «Sei Iris?» Sono io. Sono viva.”
Personaggi tridimensionali, la Storia italiana si intreccia con la storia dei protagonisti e ha dato vita a una trama che mi ha tenuta incollata alle pagine fino alla fine. Mi è sembrato di conoscerli per davvero quei luoghi, e quelle persone.
Un libro duro, tragico, intenso. La storia di due ragazze romagnole che si intreccia durante l'orrore della seconda guerra mondiale in quella Terra che ha visto nascere Mussolini: Castrocaro, Forlì, Verghereto, Tavolicci. Una storia dove una ragazza segnata dalla malattia, dall'ignoranza, dalla miseria e dalla violenza trova il suo riscatto nell'amore verso un ragazzo, del quale è innamorata fin da bambina, e da un'altra ragazza, coraggiosa e volitiva, l'opposto di lei. Tante figure di donne forti, audaci sono descritte profondamente, anche se alimentate, a volte, da sentimenti discutibili. Numerose storie che si dipanano e tanti personaggi che si muovono negli anni oscuri del fascismo e della guerra; la lotta della resistenza partigiana è raccontata senza scendere nell'ovvietà o nel lirismo. Parecchi pregi in questo libro, due su tutti. - il ricordo della spietata e crudele azione di rappresaglia da parte dei militari e fascisti italiani all'attentato a Rodolfo Graziani, in Etiopia, e in genere i loro comportamenti disumani nei confronti della popolazione locale durante tutta l'occupazione, in particolare verso le donne. La figura di Vetro è ispirata al famigerato generale Graziani, che durante l'attentato aveva perso un occhio, per cui ne aveva uno di vetro, da qui il soprannome. Difficile trovare in letteratura spunti su questo spietato, oscuro e vergognoso periodo della storia italiana e a scuola non se ne parla. - il secondo ricordo è della strage, rimasta impunita e purtroppo poco conosciuta al di fuori del territorio, di Tavolicci, in cui furono uccise più di 70 persone, tutte civili, per mano di una formazione nazifascista. Rimaste ancora per lo più sconosciute le cause di tanta efferatezza e brutalità nei confronti di una popolazione inerme e lontana dalla guerra partigiana. Solo donne, vecchi, tanti bambini e una decina di uomini. Una frazione intera cancellata dalla faccia della terra. E poi tanti altri spunti e tracce di storia: la riunione al Grand Hotel Terme di Castrocaro dei gerarchi fascisti in cui si decise la nascita della Repubblica di Salò nel settembre 1943, le stragi per mano del battaglione M IX settembre nelle terre intorno a Forlì... la memoria deve essere sempre alimentata, stimolata. Lo stile è deciso, ricco di parole e modi di dire romagnoli, ma che non danno problemi di comprensione a chi non è di quelle parti.
DISCLAIMER - Come tutti gli anni, da quando Krodi ci costringe moralmente a farlo, mi sobbarco la lettura, anzi l'ascolto* di qualche candidato allo Strega. A volte va bene, a volte va male, a volte va di noia. Questa volta la prima ma non del tutto. *parto con l'audiolibro così ammortizzo i trasferimenti in auto, se sono buoni passo all'ebook – come successo in questo caso -, se sono ottimi al cartaceo. Se sono pessimi li mollo a qualsiasi punto, senza remore.
Parte benissimo, complice anche una narratrice fantastica (Gaia Nanni che riesce a pronunciare il romagnolo in modo del tutto naturale, senza alcun accenno di comico o ridicolo) e quel titillamento alla mia romagnolitudine che mi fa avere un occhio benevolo.
La romagnolitudine non è automaticamente sinonimo di qualità, ma Verna riesce a maneggiare molto bene sia il dropping vernacolare (tutte le volte che sento una parola nota non posso fare a meno di sorridere, da invornito a svettole, da boja d’mond ledar a maletta) sia la tipica modalità del racconto. L’andamento infatti mi rimanda alla memoria le storie che ascoltavo di mio nonno e mio babbo - due narratori dotatissimi - con il loro modo di aprire parentesi infinite e non perdere nessuna chiusura, seminando germi di attenzione e connotando i personaggi con microdettagli e spesso soprannomi azzeccatisssimi. Mio nonno era particolarmente dotato per questo, mischiando alto e basso, Pidariolo (imbuto) era il signore che veniva a caricare l'uva con un cranio larghissimo che si restringeva in un mento acuto, Galles (il principe di Galles) era un tipo elegantone che indossava sempre un vestito tre pezzi (non che mio nonno girasse senza panciotto e orologio d’argento a catena anche nella stalla), e via andare.
La narrazione in prima persona di Redenta si svolge senza intoppi e in modo del tutto credibile. Attendiamo la tragedia dietro l’angolo (è nata scarognata, e al Destino non si sfugge), ma stile e ritmo narrativo supportano perfettamente sia l’inserimento dei comprimari* sia la sequenza di piccole e grandi tragedie che si succedono. Le scorribande dei bastardi e degli altri bambini a Castrocaro e dintorni, le traversie della madre, l’attività da infermiera-stregona della nonna Fafina, l’inizio del fascismo, le prime lotte, i contadini ricchi e comunisti. Tutto si tiene, con un piglio narrativo che riesce a superare sia il rischio di cadere nell’amarcordizzazione (ricordi dell’infanzia rivisti con gli occhi nostalgici della maturità) sia nello storytelling inclusivo con donne-forti-ma-sensibili che va tanto di moda oggi.
*la Fafina è una nonna mitica, una figura di donna romagnola perfettamente aderente ad alcune vecchie “brigadire” della mia infanzia, la madre Adalgisa e il suo turbolento rapporto col marito Primo risveglia echi di narrazioni famigliari di figure fascistissime, Bruno/Brunì invece afferisce più a personaggi di romanzi adolescenziali (le grand meaulnes, ad esempio), e via via tutti i comprimari, finanche agli animali, ad esempio il cane triste e il baghino parlante, figuranti di un teatrino romagnolo che applica personaggi e narrazioni classiche (le belle, le bestie, le eroine, gli eroi, le madri, i folletti, etc.) a una terra che da un lato necessita di nutrirsi sempre di rappresentazioni estreme, e dall’altro si fa beffe di tutto.
La storia procede spedita, Redenta è veramente una babina scarognata, le viene la polio, guarisce ma rimane sciancata. La purina dà aiuto a Brunì ma le sue promesse di matrimonio vengono tradite senza un perché, Brunì sparisce senza lasciare tracce tranne i soldi che manda alla Fafina**.
E si arriva alla seconda parte, quella in cui viene introdotta Iris. E qui purtroppo le cose cambiano. Non nel senso della narrazione (cambia pure quella, cioè Iris - che è istruita - parla in prima persona in modo in modo completamente diverso da Redenta, ma è un diverso registro assolutamente sensato e coerente), ma della capacità di tenere il racconto, di stratificarlo, di dargli un senso che non sia puramente di successione di accadimento.
Viene a compimento il titolo, la povera Redenta incontra Vetro***, e ne passa di tutti i colori. La guerra irrompe a Castrocaro, il fascismo si dispiega tirando fuori senza fatica il peggio del peggio. L'8 settembre e i successivi disastri macchiano di sangue le colline e le montagne. Il racconto si alterna sui due versanti, dando voce a Iris che nel frattempo viene friendzonata.
A questo punto il romanzo si sfalda, perde spessore, non tiene più, manca la chiave di volta, cioè ci sono troppe chiavi di volta e tutte troppo deboli. Dà un po’ l’idea che sia stato chiuso in fretta o, peggio, che sia stato scritto a tesi (il grande potere del femminino che sopravvive a tutti i soprusi grazie alla sororità). Gli ultimi capitoli inanellano storie per poi sovvertirne la lettura, con una più che discreta capacità narrativa, ma tutte posticce, lasciano un po’ un senso di “embè, tutto qui!?”.
Anche perché il finalissimo con il gesto inconsulto della Redenta, il ritorno di Vittoria, l’incontro con Iris sanno veramente di tirato via. L’è propri un p’chè, e puteva essar un spintacuol e invezi e guenta un pò un zavai.
**il personaggio di Brunì è così così, gran potenziale ma a un certo punto sparisce, letteralmente, e il suo mistero viene svelato in modo improbabilissimo solo alla fine (quindi, la povera Redenta non lo sa), e sinceramente non è credibile , e quindi toglie tutto il potere alla grande storia d’amore che – in teoria – è il perno del libro.
***in teoria, perché il titolo è I giorni di Vetro e non mi piazzi un nome nel titolo se non vuoi farne uno dei protagonisti. E Vetro potenzialmente potrebbe essere un grande protagonista, solo che ha due difetti letterari, il primo è che richiama Aue de Le Benevole senza averne la grandezza immorale, l’altro è che richiama la storia di passione col crucco de Le Assaggiatrici (sarà un caso che la Postorino è ringraziata come editor?), ma tutta la sua linea narrativa – a parte il sadismo mostrato – non ha proprio spessore. E’ piatto come i suoi coltelli, un cattivo bidimensionale tipo cartone animato.
“Era molto meglio prima, quando io non c’ero e non c’era nessuno dei miei fratelli, né i vivi né i morti. C’era solo mia madre che si rivoltava sul materasso del camerino e urlava: “Ammazzatemi, osta dla Madona” e la Fafina rispondeva: “Sta’ zeta ché chiami il Diavolo”, e andò avanti così per tre giorni e tre notti, finché mia madre lanciò un grido feroce e venne fuori Goffredo, il primo dei miei fratelli morti.”
Fin dall’incipit veniamo immessi con violenza nel cuore di una storia che non ci risparmierà alcuna descrizione di nefandezze, concentrandosi principalmente su quelle di Vetro, soprannome del sadico gerarca fascista che offre anche lo spunto per l’ambivalente titolo del romanzo. La vicenda è ambientata nella Romagna rurale, si snoda lungo il ventennio che parte dal delitto Matteotti alla Liberazione e viene affidata al racconto di due narratrici: Redenta, la figlia sottomessa e ‘scarognata’ di contadini poveri e ignoranti e Iris, giovane più emancipata, figlia di maestra e maestra lei stessa. Entrambe sono soggette al potere maschile, sia perpetrato attraverso la violenza, sia veicolato dal più nobile sentimento umano conosciuto : l’amore. E forse questa è la prima notazione critica che mi sento di esprimere su questa lunga e articolata storia, interessante per la ricostruzione storica, per la precisione linguistica con cui viene ritratta la popolazione locale, segnata dalla miseria e succube della superstizione, avvincente per la trama, ma probabilmente eccessiva nel tentativo di comprendere e spiegare tutto. E poi la fascinazione del Male sovrasta ogni cosa. Il Male di cui il fascismo è il simbolo ma che si annida anche in chi quel male vuole combattere. Certo, qui le donne rispetto agli uomini sono generalmente migliori, Redenta su tutte, ma assoggettate per forza o per amore a un uomo, soccombono infine come tutte le inutili pedine di cui il Potere (patriarcale, maschile) si serve e che poi con noncuranza calpesta per perseguire i suoi scopi.
Terribile :(. Storia (semi)vera… da leggere prima di andare a votare! Anzi, da leggere e basta, consigliatissimo. Non fai che pensare e riflettere. Mette a nudo l’uomo (letteralmente) e mostra quella che, purtroppo, é stata l’unica via per il progresso. Tutte le vicende raccontate hanno come linfa vitale la SPERANZA nel futuro. I giovani di quei tempi vivevano in condizioni tremende, ma almeno una speranza l’avevano. Quelli di oggi invece? Boooooh
Struttura del romanzo molto invitante, due punti di vista diversi sulle stesse vicende, libro praticamente letto due volte per cercare di mettere insieme tutto il puzzle. Top
"In questo romanzo non c'è niente di vero, eppure non c'è niente di falso", perché tutto ciò che avviene al suo interno è successo e succederà ancora, la violenza e la speranza, la follia e la compassione, la resistenza all'oppressore, la guerra come fallimento dell'umanità. Altre voci hanno raccontato questa storia, altri occhi ne sono stati testimoni, ma ciò che accade tra queste pagine è un racconto universale e per questo totalizzante, straordinario e straziante, trasparente come il vetro e altrettanto tagliente.
“Lui ribatte che non è un problema di felicità, ma di consapevolezza. E che io, come molti, la felicità la sopravvaluto, credo sia l’unico obiettivo della vita. E questa ricerca spasmodica mi fa perdere di vista l’obiettivo vero: formarsi una coscienza.”
Un bel romanzo, ambientato a Castrocaro durante il Ventennio fascista. Mi è piaciuta molto la caratterizzazione di Redenta e di Iris e come ad un certo punto le loro vite si intreccino l'una all'altra. Redenta è la prima di tre sorelle, nata con la 'scarogna' e vittima da bambina della poliomielite che le lascerà dei segni fisici importanti. È una figura mite, silenziosa e profonda. Iris, al contrario, è una donna intraprendente e determinata. Redenta è, mentre Iris fa. Entrambe ameranno un solo uomo e incontreranno Vetro, il gerarca fascista che sconvolgerà le loro esistenze. Devo dire che è molto approfondita la vicenda storica del periodo: il fascismo e la resistenza sono i protagonisti del romanzo e non semplicemente una cornice. Solo il finale a sorpresa, mi ha lasciata un po' perplessa...
È ingenua, ma il suo sguardo sbilenco vede ciò che gli altri ignorano. È vulnerabile, ma resiste alla ferocia del suo tempo. È un personaggio letterario magnifico. La voce di Redenta continuerà a risuonare a lungo, dopo che avrete chiuso l’ultima pagina. Redenta è nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto. È così che comincia davvero il fascismo, e anche la vicenda di Redenta, della sua famiglia, della sua gente. Un mondo di radicale violenza – il Ventennio, la guerra, la prevaricazione maschile – eppure di inesauribile fiducia nell’umano. Sebbene Bruno, l’adorato amico d’infanzia che le aveva promesso di sposarla, incurante della sua «gamba matta» dovuta alla polio, scompaia senza motivo, lei non smette di aspettarlo. E quando il gerarca Vetro la sceglie come sposa, il sadismo che le infligge non riesce a spegnere in lei l’istinto di salvezza: degli altri, prima che di sé. La vita di Redenta incrocia quella di Iris, partigiana nella banda del leggendario comandante Diaz. Quale segreto nasconde Iris? Intenso, coraggioso, “I giorni di Vetro” è il romanzo della nostra fragilità e della nostra ostinata speranza di fronte allo scandalo della Storia.
– Com’è che non piange? – chiedeva la sera mio padre. – Piangerà. Le donne prima o poi piangono tutte.
Attratta da un post che lo definiva un romanzo potente l’ho acquistato e, data la trama, ho scelto di iniziare a leggerlo il 25 aprile. Ne sono rimasta affascinata. Talvolta ci si imbatte nella vera letteratura, e questo è il caso. Il motore che tutto muove è la violenza da una parte, nelle sua tante e diverse forme, e dall’altra l’estrema fragilità che però nasconde la forza della giustizia. A dare plastica dimostrazione è il periodo storico scelto, il fascismo. Protagoniste assolute, bellissima decisione, due donne, Redenta e Iris. L’ambientazione è Castrocaro, tanto cara all’autrice che ne ripercorre i luoghi con una attenta ricostruzione storica. La prima e indimenticabile protagonista del romanzo, Redenta, nasce esattamente nel giorno del delitto Matteotti dopo che i fratelli maschi nati prima di lei sono mancati tutti più o meno al momento del parto. Redenta trascorre parte della sua infanzia dalla nonna Fafina (altro bellissimo personaggio di incredibile forza) perché la madre passa alcuni anni in carcere per aver ferito il marito che la tradiva. Dalla nonna, che accoglie bambini orfani, conosce Bruno, ragazzino magro e intelligentissimo e del quale diviene amica sin da piccola. I due sono inseparabili. Redenta inizia a parlare tardi perché ritiene che se non si ha niente da dire sia meglio starsene zitti, si prende la poliomelite che la lascerà storpia. In questo Bruno cercherà di aiutarla a non fermarsi nell’autocompatimento ma a fare tutto ciò che può per migliorare. La madre ed il paese tutto sostengono sin da quando è nata che ha la “scarogna”. Eppure è una bella ragazza, molto intelligente, e continuerà a subire il fascino di Bruno. Nel frattempo il fascismo assume sempre più vigore anche se Redenta non si occupa di politica e aderisce come molti all’inizio, suo padre compreso, a questo nuovo movimento che sembra promettere solo una vita migliore per tutti. Bruno scompare e ricompare e in un’occasione per non essere scoperto nella sua attività clandestina ottiene l’aiuto di Redenta che ne esce però “disonorata” con grande disperazione della madre che teme di non poterla più accasare. Le sorelle di Redenta, Marianna e Vittoria prenderanno strade diverse, comunque interessanti e ben narrate, tutte da donne forti. La storia passa attraverso il terribile matrimonio di Redenta con Vetro, milite fascista sanguinario e che la tormenterà sempre nella violenza considerandola una beota al suo obbediente silenzio. Nel frattempo il romanzo racconta la vita di Iris, figlia di una maestra arrivata in un paesino dove nessuno sa leggere e scrivere. La maestra apre una piccolissima scuola e grazie all’aiuto di quello che diventerà suo marito e del paese intero insegnerà a moltissimi ciò che servirà loro per migliorarsi. Iris appena possibile aiuterà la madre a scuola fino a che verrà spinta a lasciare il paese per trasferirsi a Forlì dove potrà farsi strada. Inizia andando a servizio in una famiglia. In breve Iris scopre che i suoi datori di lavoro sono oppositori al regime fascista, e diventerà subito parte attiva delle loro iniziative, spinta anche da un ragazzo come lei lavoratore in quella casa che già ne fa parte, Diaz, che diventerà poi capo della brigata armata omonima. Le due storie ovviamente, quella di Redenta e quella di Iris, si intersecheranno in una storia via via più drammatica e che lascia un profondo segno nel lettore.
“Muori come ti pare, ma non per mano sua”
La forza interiore di Redenta, la grandezza del suo personaggio, pur nella sua tranquilla sottomissione, ha dell’incredibile. La trama è complessa ma chiarissima, succede molto in questo romanzo. Anche i piccoli gesti sono parte della vicenda intera. La scrittura mescola italiano a qualche raro termine dialettale che nulla toglie alla comprensione del testo. Il periodo storico che fa da sfondo alla storia è disegnato benissimo, con i giusti tempi e tratteggi. Il personaggio di Redenta, di sua madre, di Bruno, di Iris così come degli altri è ricco di sfaccettature e ben fatto. Confesso che Redenta mi è rimasta dentro, un personaggio da quale è difficile staccarsi. Lo sfondo storico non è un accessorio ma parte integrante della vicenda che è mossa proprio da quanto sta avvenendo. Una bellissima interazione. La storia scorre velocemente, non ci sono momenti di noia o di rallentamento, il climax della seconda parte è notevole. Il bilanciamento tra gli elementi è perfetto, la storia non è mai scontata. Il sostegno delle donne fra di loro e la potenza che, seppur per strade diverse, viene tratteggiata, è un bell’ingrediente aggiuntivo. Lo sguardo sincero e disincantato su quanto avviene con al Resistenza è da apprezzare. Un bellissimo quadro, senza sbavature, una storia bene in vista e ben narrata. Non avevo mai letto nulla di questa autrice, quindi una graditissima sorpresa. Lo consiglio a chi ama la vera letteratura, tanto rara da trovare oggi.
Recensire questo libro non è facile. È un testo meravigliosamente atroce a cui gli occhi non riescono a sottrarsi. Verna ancora una volta ci fa dono della sua capacità incredibile di intrecciare personaggi in una trama da cui difficilmente si riesce ad uscire. Questo romanzo è uno spaccato di storia che non si deve dimenticare e Verna con acute e dettagliate scene ce ne ricorda le atrocità senza però cadere in una narrazione storica ma rimanendo sempre dentro al suo racconto. Ho amato tutto anche il dolore, i buchi allo stomaco, la nausea e il terrore. Questo libro è di una bellezza cruda assai rara.
Un romanzo che si sviluppa su due binari paralleli: da un lato l'ingenuità e il senso di oppressione di Redenta, dall'altro la lotta per la giustizia ed il desiderio di libertà di Iris. Queste due storie sono destinate a incrociarsi, tuttavia mi è sembrato che finissero solo per sfiorarsi, senza impegnarsi nel creare davvero un rapporto e un senso di cameratismo tra le due donne, unite dal trauma e dalla volontà di non farsi schiacciare da esso. L'unica riflessione che resta è che non c'è libertà senza la consapevolezza di chi siamo, anche della parte più oscura di noi stessi.
La mia è l’ultima generazione che può avere testimonianze dirette del fascismo e della Resistenza: finora abbiamo potuto ascoltare le voci e le storie delle persone che l’hanno vissuto, da adesso in poi, non sarà più così. Rimarranno le testimonianze scritte, filmate, tramandate da noi “lo sai che mio nonno…”, rimarranno i libri, rimarranno i romanzi come questo, veri ma non reali. Memorie e voci che corrono il rischio di risultare non credibili a causa della disumanità dei fatti; io stessa - anche durante la lettura di questo libro, mi sono chiesta come possa essere accaduta quest’onta violenta, come dal becero e vigliacco squadrismo fascista si è passati alla legge. Nel mio mondo tutto ciò sembra una storia surreale, e lo è perché il mio mondo, con i suoi privilegi e la sua libertà, è tale grazie alla Resistenza e alle lotte di chi dopo essa ha contribuito a mantenerne i diritti e a chiederne di nuovi. Adesso siamo noi che dobbiamo rappresentare questa memoria, portarla avanti affinché non arrivi qualcunə a dubitarne e a metterla in discussione. Le storie di chi vive in questo libro potrebbero essere quelle di chiunque in quel periodo; la guerra, la fame, l’abitudine alla morte, salutare una persona per non rivederla mai più. Fare della propria vita una missione per una causa comune che difficilmente, andando incontro alla morte, potrà riguardarli: mettersi al servizio della speranza, del futuro, della libertà.
In un momento storico così particolare, la scarsa affluenza alle urne, i risultati delle europee, Gioventù nazionale, la censura e un governo che festeggia il 25 aprile con l’entusiasmo con cui si va ad un funerale, penso a quelli che hanno perso la vita affinché noi potessimo essere liberi per sempre; penso ai nostalgici del ventennio senza averlo mai vissuto, senza realizzare che prima o dopo, dalla parte “sfortunata”, circondati da cadaveri e macerie, ci sarebbero passati anche loro. Penso a chi ha avuto da ridire su Mussolini appeso a testa in giù, un gesto che a detta loro avrebbe reso le partigiane e i partigiani uguali ai fascisti. Vorrei rispondere loro che dove ci sarà fascismo ci sarà la Resistenza, che non è fatta di eroi, ma di studentesse e studenti universitarə, di insegnanti, di padri e di madri, fratelli e sorelle, bambinə, contadinə, persone che mai hanno imbracciato un fucile e che hanno fatto di necessità virtù, perdendo la vita consapevoli che non avrebbero goduto, in un modo o nell’altro, dell’impegno della loro lotta. Grazie a Nicoletta Verna per aver scritto la Resistenza di tuttə in tutte le sue facce, per aver raccontato - romanzandole - storie che avrebbero potuto essere reali, per aver descritto l’efferatezza dei crimini nazifascisti dalle intenzioni all’esecuzione; per ricordarci che una parte giusta da cui stare esiste. Questo è un libro che dovrebbe essere letto nelle scuole, a memoria di ciò che (si studia anche per questo) non deve mai più accadere.
Chiudo a metà tra la disillusione e la speranza con i versi di Francesco Guccini:
Ma penso Che questa mia generazione è preparata A un mondo nuovo e a una speranza appena nata Ad un futuro che ha già in mano A una rivolta senza armi Perchè noi tutti ormai sappiamo Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge In ciò che noi crediamo, dio è risorto In ciò che noi vogliamo, dio è risorto Nel mondo che faremo, dio è risorto
• Nicoletta Verna, con I giorni di vetro, costruisce un romanzo teso e capace di raccontare la violenza privata e quella storica con precisione e empatia.
• Ambientato durante il Ventennio fascista, il libro si muove su due binari: da un lato la vita di Redenta, costretta a sposare un gerarca violento; dall’altro il tempo della Resistenza, che coinvolge le esistenze di chi tenta di ribellarsi al male. Verna non cede mai alla retorica, nemmeno quando affronta temi notoriamente "narrativi" come la guerra, il dolore femminile o l’infanzia negata. Anzi, lavora sul non detto, sul rimosso, sull’ossessione della memoria.
• Mi ha colpita lo scavo nella psiche dei personaggi, soprattutto femminili, senza edulcorazione. Il vetro del titolo non è solo l’occhio finto del marito di Redenta, ma la trasparenza tagliente della realtà che non si può evitare. Il romanzo è anche una riflessione sul corpo e sulla sua fragilità, sulla disabilità, sull’invisibilità sociale, e sulla possibilità, remota ma ostinata, di riscatto.
• La scrittura non è ornamentale, ma misurata. La tensione non sconfina mai nell’enfasi; la lingua è luminosa anche quando racconta la brutalità, perché è sempre fedele alla complessità dei sentimenti umani. Il ritmo è controllato e il tono modulato: riesce a evocare atmosfere dense, intime, senza mai appesantire, lasciando spazio per respirare, riflettere, sentire.
• La protagonista, Redenta, nasce a Castrocaro il 10 giugno 1924, lo stesso giorno dell'assassinio di Giacomo Matteotti, evento che segna simbolicamente l'inizio del fascismo in Italia. Segnata dalla poliomielite, che le lascia una "gamba matta", e da un'infanzia difficile, cresce in un ambiente che la considera sfortunata e marginale. Nonostante ciò, Redenta sviluppa una forza interiore straordinaria, affrontando con dignità le avversità della vita, incluso un matrimonio forzato con Vetro, un gerarca fascista sadico e violento. La sua capacità di sopportare e resistere senza perdere la propria umanità la rende un simbolo di resistenza e speranza. Un personaggio che ho amato.
• Iris è figlia di una maestra determinata che fonda una scuola in un piccolo paese dell’Appennino romagnolo. Cresce in un ambiente che valorizza l’istruzione e l’impegno civile, diventando a sua volta insegnante e successivamente partigiana nella banda del comandante Diaz. Iris rappresenta l’intelligenza e la determinazione nel combattere l’oppressione, affrontando con coraggio le sfide della Resistenza. La sua storia si intreccia con quella di Redenta, mostrando come percorsi diversi possano convergere nella lotta per la libertà e la giustizia. Ho trovato molto stimolante questo sviluppo parallelo.
• Vetro è il male, è un personaggio crudele e sadico, che esercita il potere con violenza e prevaricazione. Il suo matrimonio con Redenta è caratterizzato da abusi fisici e psicologici, rendendolo l’incarnazione dell’oppressione.
• Bruno è un eroe imperfetto, orfano cresciuto con Redenta, comandante partigiano. È un personaggio complesso, segnato da una profonda sete di giustizia e da un passato difficile. La sua relazione con Redenta è ambivalente, caratterizzata da affetto e abbandono, riflettendo le contraddizioni dell’epoca e la difficoltà di mantenere l’integrità morale in tempi di guerra.
Credo di poterlo annoverare tra i libri più belli del 2025. Le storie di Iris e Redenta che si intrecciano in questi anni di guerra sono davvero una storia che vale la pena conoscere.
"Le persone sono fragili, fallibili: persino coloro che ci hanno insegnato tutto."
Non è facile scrivere dopo aver letto “I giorni di Vetro”.
Nicoletta Verna ci consegna un romanzo che è voce - voce che trova spazio tra i silenzi della Storia. Un romanzo feroce e delicato, duro come il tempo in cui è ambientato, e fragile come le anime delle due protagoniste, Redenta e Iris.
Redenta, nata nel giorno sbagliato, nel posto sbagliato, con il corpo "sbagliato", eppure capace di una forza muta, di un coraggio senza spettacolo.
Non c'è pietismo, non c'è retorica. C'è solo la verità cruda delle cose: la violenza domestica, l’isolamento, la malattia, e insieme a tutto questo, l’incredibile, inspiegabile tenacia della vita.
Non urla mai, Redenta, ma la sua voce arriva lo stesso. Ti entra nelle ossa. È una voce che attraversa la Storia – il fascismo, la guerra, la Resistenza – ma che resta sempre profondamente umana, carnale, vicina.
E poi Iris, così diversa, così ardente. Il loro incontro è la vera chiave del romanzo. Lì dentro si condensa tutto: la guerra, la resistenza, la femminilità strappata e poi ricucita a fatica, la possibilità di scegliere se restare prigionieri o provare a salvarsi.
Due sguardi sul dolore, sulla lotta, sulla possibilità – anche minima – di redenzione.
Il fascismo qui non è solo contesto storico: è presenza opprimente, è veleno che penetra nella carne, nei rapporti umani, nel corpo delle donne.
Vetro, il marito gerarca, è uno dei personaggi più agghiaccianti che mi sia capitato di incontrare nella narrativa contemporanea. Eppure la Verna non indulge nel compiacimento della crudeltà: ogni scena, ogni gesto, ha un senso, una necessità narrativa ed emotiva.
La scrittura è di una precisione quasi chirurgica, eppure capace di accendersi in immagini di struggente bellezza. Le parole di Verna sembrano posate con rispetto sulle ferite dei suoi personaggi, e al tempo stesso tagliano come vetro.
Ho chiuso il libro in silenzio, con un groppo in gola. Non ci sono eroine qui, solo esseri umani, disarmati e veri.