This is a collection of 22 essays originally issued as review essays in literary journals. Certain themes return again and again: the relation of literature and language to death; the significance of repetition; the historical, personal, and social function of literature; and perhaps most important, simply the question, What is at stake in the fact that something such as art or literature exists?
Maurice Blanchot was a French philosopher, literary theorist and writer of fiction. Blanchot was a distinctly modern writer who broke down generic boundaries, particularly between literature and philosophy. He began his career as a journalist on the political far right, but the experience of fascism altered his thinking to the point that he supported the student protests of May 1968. Like so many members of his generation, Blanchot was influenced by Alexandre Kojeve's humanistic interpretation of Hegel and the rise of modern existentialism. His “Literature and the Right to Death” shows the influence that Heidegger had on a whole generation of French intellectuals.
would have been better if it was written by a german; the derridean orthographic spectre probably learns its way from blanchot which at the same time spoils itself by soiling blanchot's writing with that phantom of life and death banality, depending on to what extent the frenchmen developed a morbid fervor for internally poeticizing hegelian dialectics in their writing, and partly because i dislike derrida by liking blanchot more..
I think Derrida has turned over and re-worked the standard Blanchotianisms so much that, in hindsight, this seems like too well-tread ground. Nevertheless, Blanchot here mobilizes readings of Kafka, Mallarmé, Hölderlin, Baudelaire, Rimbaud, Lautréamont, Miller, Sartre, Malraux, Gide, Constant, Valery, Faust, et al., in order to think literature as act of creation.
Maurice Blanchot ha scritto "La part du feu" (1949), una raccolta di saggi che rappresenta uno dei suoi contributi più significativi alla critica letteraria e alla teoria estetica. Come linguista e bibliofilo, trovo in quest'opera diversi motivi di interesse.
Innanzitutto, Blanchot sviluppa una riflessione originale sul rapporto tra linguaggio e letteratura che va ben oltre la critica tradizionale. I suoi saggi esplorano come la scrittura letteraria metta in questione il linguaggio stesso, trasformandolo in qualcosa di diverso dalla comunicazione ordinaria. La sua analisi di come le parole si separino dal loro referente abituale per aprire spazi di significato inediti risulta particolarmente stimolante per chi si occupa di linguistica.
Dal punto di vista teorico, l'opera introduce concetti che hanno influenzato profondamente la critica del Novecento, come l'idea della "morte dell'autore" e la nozione dell'opera come spazio neutro dove il soggetto si dissolve. Blanchot indaga il paradosso per cui la letteratura, per esistere, deve in qualche modo "bruciare" (da qui il titolo) ciò che rappresenta, consumando il mondo reale per farne emergere un altro.
I saggi su Kafka, Mallarmé, Hölderlin e altri mostrano una capacità interpretativa che unisce rigore filosofico e sensibilità letteraria, offrendo letture che restano ancora oggi illuminanti. Per un bibliofilo, l'approccio di Blanchot al libro come oggetto paradossale - presente e assente, finito e infinito - apre prospettive affascinanti sulla natura stessa della lettura.
L'opera anticipa molte questioni che saranno centrali nel dibattito critico successivo, rendendola un punto di riferimento imprescindibile per comprendere l'evoluzione del pensiero letterario moderno.
Ma, la domanda che mi pongo, è il libro che mi provoca, resta semplice: se le cose stanno così, tutta la vita di ogni essere umano è "letteratura" ovvero "fuoco" che accende, consuma e distrugge, per poi spegnersi e riaccendersi.
Questa intuizione apre una questione filosofica di straordinaria profondità. Se seguiamo fino in fondo la logica di Blanchot, la distinzione tra esperienza letteraria e esperienza esistenziale tende a sfumare.
L'esistenza umana condivide con la letteratura questa struttura paradossale: per vivere, dobbiamo continuamente "consumare" il presente, trasformarlo in memoria, in racconto, in senso. Ogni momento vissuto è già perduto nel momento stesso in cui lo viviamo, bruciato nel fuoco della coscienza che lo trasforma in qualcos'altro. La vita stessa diventa una sorta di scrittura continua dove il soggetto si costituisce proprio attraverso questa consumazione di sé.
Blanchot intuisce che la letteratura non è un'attività separata dalla vita, ma ne rivela la struttura più intima: quella tensione tra presenza e assenza, tra essere e non-essere, che caratterizza la condizione umana. Quando scriviamo o leggiamo, non facciamo altro che rendere esplicito ciò che accade costantemente nell'esistenza.
Il "fuoco" diventa allora metafora della temporalità stessa: viviamo bruciando continuamente ciò che siamo stati per diventare altro, in un processo che è insieme creazione e distruzione. La letteratura non fa che portare alla luce questa combustione perpetua che è la vita cosciente.
Forse è per questo che, a una certa età, la lettura diventa così essenziale: non perché ci distragga dalla vita, ma perché ci permette di riconoscere in forma pura ciò che abbiamo sempre vissuto senza saperlo nominare ...
From this volume, it seems that everyone seems to take a slice from "Literature and the Right to Death" for essay fodder, whereas I actually found these to be the ones that actually stood out, and were a lot more bold:
“Reading Kafka,” pp. 1-11. “Kafka and Literature,” pp. 12-26. “The Language of Fiction,” pp. 74-84. “The “Sacred” Speech of Hölderlin,” pp. 111-131.
It's not that the others weren't up to par, but that they weren't as creative as Blanchot was in these four. He epitomises a writer who reads 'with' an author as opposed to 'from' them, which is where literary aesthetics meets the philosophical, or at least tarries with it (through very erudite readings of Hölderlin and Kafka in particular). In this vein, he reminds me of the Bataille who wrote 'Le Petit' and 'Inner Experience'.
A great book, as all by Blanchot are. Essential questioning. As another user has stated, it is worth it for "Literature and the Right to Death" alone. Also contains essential ideas for understanding the thought of Blanchot.