The father of three grown children comes back to Israel to get a divorce from his wife of many years; another woman, newly pregnant, awaits him in America. Narrated in turn by each family member—husband and wife, sons and daughter, young grandson—the drama builds to a crescendo at the traditional family gathering on Passover eve.
Abraham B. Yehoshua (אברהם ב. יהושע) is one of Israel's preeminent writers. His novels include A Journey to the End of the Millenium, The Liberated Bride, and A Woman in Jerusalem, which was awarded the Los Angeles Times Book Prize in 2007. He lives in Haifa.
Set in Israel, this novel offers a lot of local color of Haifa, Jerusalem and Tel Aviv.
An older man returns from the USA to Israel to visit his three adult children, two sons and a daughter. He will also visit his wife who is in a mental hospital after she tried to stab her husband. He wants a divorce so he can marry his pregnant girlfriend back in New York.
All of the action takes place in nine days during the week of the Jewish Seder, over Passover. There are nine chapters, one for each day, and each is focused on a different character.
The sons, daughter, wife, son-in-law and daughter-in-law take over the story while the older man seems bewildered by everything. One son is an academic, living in his conceptual world and about to lose his beautiful wife through neglect.
The pragmatic daughter is married to an obnoxious clown and they have produced an overweight neurotic son.
One son is gay and involved with a much older man and questionable financial dealings.
At times the wife, housed in the mental hospital, seems the most stable of the whole crowd.
A good story with very well-developed characters. The New York Times and Harold Bloom called the author an “Israeli Faulkner.” Wiki says his works deal with the themes of the clash of generations and the clash of religion and politics. Born in 1936, he died recently as of the time I’m revising this review, in June 2022.
Yehoshua wrote a dozen novels, all translated into English. I was surprised to see how many I have read and enjoyed in addition to this one: Friendly Fire, A Woman in Jerusalem, Mr. Mani, and A Journey to the End of the Millennium.
Top photo - Haifa from britannica.com The author from theguardian.com
Ciclone Lo dico: ho un debole per Yehoshua e nell'arco degli anni sto degustando tutti i suoi libri, scansando momentaneamente quelli che temo più dolorosi, come Fuoco amico. Ora sono arrivata al divorzio. In realtà non è doloroso: l'ho trovato piuttosto affannoso, perchè Yehoshua, nella sua perfezione, intona lo stile al contenuto e ci sono momenti nei quali la vita sembra accelerare e avvenimenti, incontri, riavvicinamenti, decisioni si comprimono in modo inevitabile. Il romanzo racconta i dieci giorni della permanenza in Israele di un uomo che ha questo tempo disponibile per tornare dagli Stati Uniti, rivedere i 3 figli dislocati in tre città diverse e la donna dalla quale divorzia, concludere le formalità legali e tornare nel paese nel quale si è stabilito. Tornare in Israele significa riprendere confidenza con i figli, rientrare sia pure per breve tempo nei loro microcosmi familiari, approfondire la conoscenza dei loro compagni, partecipare alla vita dei nipotini, rivedere la compagna di una vita, insomma essere travolto da un turbine di emozioni, un'esperienza che potrebbe essere bella se non dovesse concludersi a tempo determinato e con un taglio. Tutti i componenti della famiglia sono raccontati con grande bravura, completamente diversi come spesso riescono a essere i fratelli: scolpiti nella personalità dalla stessa coppia di genitori, in anni diversi della loro vita comune. Felicità, dissapori, separazioni modellano infanzie diverse: una figlia zen che si affida al marito, un figlio che combatte con sé stesso e con la moglie, un altro figlio che sfrutta senza ritegno il compagno del momento, che in famiglia piace a tutti, tranne a lui. Tutte le coppie esistenti in famiglia vengono aperte e rivelate come fiori e frutti in un erbario, dipinti con la stessa cura: è impressionante la capacità di Yehoshua di definire i personaggi, hanno un livello di realtà psicologica con pochi uguali, anche quelli relativamente marginali, come il nipotino, la nuora di famiglia haredi, il partner sefardita osservante del figlio furbo: che improvvisamente vede andare in pezzi l'amata famiglia perchè con questo giovane uomo scopre la propria omosessualità. La coppia più misteriosa è quella che divorzia, i fatti appartengono a un passato irreparabile. Così la vita travolge l'essere umano e nessuno fotografa la scena meglio di Yehoshua.
Così è se vi pare Ho l’impressione che ogni volta si affronti il libro di uno scrittore Israeliano si voglia tutti i costi trovarci delle metafore. Può darsi che ci siano in questo di Yehoshua, ma personalmente preferirei puntare la mia attenzione sulla storia in sé: quella di una famiglia disfunzionale in Israele. Anche lì, si, un paese che cerca una sua anima, una società in bilico tra un passato pesante e un futuro sempre incerto. Un paese che sembra fondi la sua identità sulla cristallizzazione di un nemico a tutti i costi, forse per non affrontare le contraddizioni di una collettività che racchiude al suo interno diversità che possono deflagrare entrando in conflitto tra loro. Ma questo è lo sfondo, solo in parte il messaggio. La famiglia Kalinka ruoterà per nove giorni intorno al problema del divorzio che il nonno, che si è rifatto una vita in America, deve affrontare con la moglie racchiusa in manicomio dopo aver tentato di accoltellare suo marito. E col rinsavimento della donna sembrano saltare gli equilibri precari tra i vari personaggi, che descrivono ognuno con voce propria, le difficoltà, le pressioni, le paure, le ambiguità che impastano sempre come un lievito una famiglia. Ogni personaggio è positivo e negativo, indifeso e spaventato, beffardo e scorbutico, raffinato e rozzo. Ma il bello dello stile di Yehoshua è proprio la sua capacità di cambiare registro ad ogni voce, di parlare con suoni, sentimenti, emozioni diverse, partendo dai dettagli per arrivare quasi al flusso di coscienza. Se devo ravvisare un difetto lo trovo nel ritmo: quando il personaggio ha espresso al massimo la sua identità, la sua fragilità o forza, lo scrittore continua per tempi troppo lunghi a farlo parlare, a volte in un soliloquio eccessivo, almeno per i miei gusti. Preferisco quando non ci sia mai una parola di troppo. E poi, alla fine, comunque sempre la sensazione che in quel paese ci sia un nodo gordiano che duri da troppo tempo ma che nessuno, in fondo, voglia prendersi la briga di tagliare finalmente.
"Un divorzio tardivo" è il secondo capitolo della Trilogia d'amore e di guerra di Yehoshua.
Nove giorni dura questo racconto, tanto quanto il rientro in Israele del padre anziano che si è ricostruito una vita in America e che deve divorziare dalla moglie, dichiarata pazza per aver tentato di ucciderlo con un coltello. Intorno a loro i figli, i nipoti, i coniugi dei figli.
Come durante una jam session, ogni personaggio, uno al giorno, si alza e inizia il suo assolo, prendendo la parola. Il tema portante è lo stesso, ma ogni persona nel suo monologo ha il suo timbro, il suo ritmo, i suoi accelerando e rallentando. Ha i suoi colori, mostra la propria sensibilità e sensualità, ha i suoi odori, sogni, turbamenti, angosce, ha le sue manie.
La Pasqua ebraica, a differenza di quella cristiana, ricorda e rappresenta il viaggio di ritorno degli ebrei nella terra promessa e ha il significato di "passaggio". E nel romanzo ogni personaggio racconta la sua esperienza e la sua preparazione al "proprio" passaggio.
Il parallelo tra la storia narrata e la storia di Israele è abbastanza evidente. Le radici del padre sono legate alla sua famiglia, ai luoghi della sua nascita, a Israele, paese però che ha abbandonato, come durante una diaspora. Il legame con Israele è un legame doloroso, perché indice di conflitti, di sofferenza. C'è amore ma c'è anche rabbia e delusione. E nella stessa famiglia ci sono tanti drammi apparentemente senza soluzione, come quelli di Israele, terra in eterno conflitto. Il "traditore" qui è il padre, che se ne è andato via e che rappresenta gli ebrei che hanno abbandonato il paese, in contrapposizione con la moglie che rappresenta quelli invece che sono rimasti.
Comunque, indipendentemente dal fatto che descriva una storia privata o abbia un contenuto politico, il romanzo mi è sembrato bellissimo, espressivo e ben scritto.
Inizialmente, complice un problema di impaginazione dell'ebook, il fatto che Yehoshua non indichi chi stia parlando (no, non ho capito perché non l'ha indicato, come ha fatto invece ne L'amante), la trama intricata, i salti temporali poco chiari e lo stile sempre differente, ho patito un po' ed ho dovuto rileggere spesso. Ma una volta capito il meccanismo ne ho apprezzato l'efficacia, l'abilità dello scrittore a entrare nella mente dei personaggi, a cambiare veste, a mostrare i pensieri e i sentimenti sia di un bambino che di una donna che di un anziano. Non "leggiamo" di una donna, "siamo" una donna che parla e soffre. Non abbiamo riferimenti durante la lettura, solo la visione dei vari protagonisti che svelano lentamente. Una scrittura tormentata, ma estremamente precisa e chirurgica, che si può apprezzare solo leggendo lentamente e ponendo tanta attenzione.
Come ne L'amante, i vari strumentisti suonano la propria parte (complessa, ricca, a tratti delirante) senza ascoltare gli altri. Solo dopo che tutti gli strumentisti hanno suonato capiamo il disegno d'insieme e riusciamo a comprendere il tema portante. Anche qui tanta incomunicabilità e finale irrisolto, oltre che molto complesso.
Prima esperienza con Yehoshua, autore di cui ho sempre sentito parlare bene ma che non mi ero mai decisa a leggere. Esame sicuramente superato.
Yehudà Kaminka, nonostante l'età avanzata, sta per diventare di nuovo padre. Negli Stati Uniti, dove si è trasferito anni fa, ha una nuova compagna e una nuova vita. Questa è l'occasione giusta per tornare in Israele e divorziare dalla moglie Na’omi, rinchiusa in un ospedale psichiatrico dopo che lo aveva accoltellato. Ognuno dei 9 giorni che Kaminka trascorre in Israele è affidato a una diversa voce narrante: figli, nipote, genero e così via.
Temevo potesse annoiarmi, ma, nonostante nelle trecento pagine di questo libro non succeda un granchè, mi è piaciuto e mi ha (quasi sempre) appassionato.
Yehoshua scrive bene e riesce a gestire in modo magistrale le nove voci e i personaggi in generale, soprattutto quelli più sgradevoli o peculiari.
Non prende il voto massimo perchè l'ho trovato un romanzo un po' in calando. Forse qualche pagina in meno gli avrebbe fatto bene perchè arrivata alle ultime tre voci ho sinceramente sentito un po' di stanchezza. Peccato.
Cos'è in fondo la vita solo due o tre esseri umani il più splendido il più incasinato il più infelice e allora fagli un bel sorriso se ci riesci.
Forse per rendere vagamente l'idea di cosa sia un libro di Yehoshua - dopo aver letto L'amante posso iniziare a pensare che il suo sia proprio un modus operandi - bisogna partire dal titolo. Dà sempre titoli semplici, chiari, poco luccicanti. L'amante. Un divorzio tardivo. Il responsabile delle risorse umane. Uno magari è lì che si cerca la frase ad effetto, un po' alla Grossman, arriva a Yehoshua e si ritrova davanti categorie nette che non sanno di ordinario, sono la quintessenza dell'ordinario. Sai già cosa aspettarti. Sicuro?
Il fatto è che lui usa il singolare, ma nei due libri che ho letto finora gli amanti e i divorzi sono ben lungi dall'essere al singolare. Lui quei due sostantivi - amante e divorzio - li prende, li spezza come pane arabo e poi descrive non solo i due tozzi che gli sono rimasti in mano, ma anche ogni singola briciola caduta a terra. Con una vividezza, con un'onestà assurde: se il pane è ammuffito non te lo nasconde, anzi, cerca il modo migliore per farti sentire la consistenza della muffa sotto le dita o l'odore che rilascia. Il divorzio non è solo quello dei due sessantenni Yehudà e Na'omi, è quello dei loro figli, è quello di ogni singolo personaggio che lotta con gli altri ma anche - soprattutto - con se stesso.
La tecnica narrativa usata è molto simile: una stessa storia osservata da più personaggi, in modo da riprodurre non il reale - che cos'è poi il reale? - ma la frantumazione del reale. L'amante risultava così la perfetta rappresentazione della difficoltà dell'incontro umano, mostrava una nuvola di esseri umani spocchiosi e in bilico tra la comprensione e la pugnalata. Ma si era ancora sul versante delle riflessioni personali ordinate. Un divorzio tardivo ha un valore aggiunto: i pensieri dei personaggi sono totalmente liberi di scorrere senza che la punteggiatura ponga loro un giogo, ordinando e impacchettando. I punti e le virgole che si incontrano a tratti sembrano più degli attimi di silenzio, dei momenti in cui il cervello prende un attimo di respiro prima di ripartire nella stratificazione di versioni più o meno oneste della realtà. E' come nella mente della nonna Vaduccia de L'amante quando questa sta riprendendo coscienza di sé. Ed è questo il fatto: i personaggi di Un divorzio tardivo sono impegnati inconsciamente in una lunga fase di recupero di loro stessi. Ecco i tozzi di pane, ecco le briciole, ecco la muffa: gigantesche ambizioni personali, desiderio di rivalsa, egoismo, l'ebrezza dell'autogiustificazione, il retrogusto acido del dubbio e della disperazione, l'intrinseca difficoltà di sentire gli altri. Il professore Assa pensa al suo futuro in terza persona, come se fosse un biografo alle prese con la vita di un uomo straordinario, ma ci riesce solo quando gli altri non sono nei paraggi. Gran parte degli altri personaggi non sono da meno in quanto a megalomania. Cos'è in fondo la vita solo due o tre esseri umani il più splendido il più incasinato il più infelice e allora fagli un bel sorriso se ci riesci: ci vediamo sempre come il più, e il sorriso onesto è spesso lontano dal nostro viso, da un sentimento di sincera comprensione. Impossibile non rivedersi in almeno uno dei personaggi, impossibile leggere senza arrivare a vergognarsi.
Oltre al lato individuale (che è contemporaneamente universale), c'è quello prettamente israeliano. Se volessimo fare un paragone col mondo del cinema, potremmo paragonare questo libro a "Una separazione" di Asghar Farhadi (o meglio, viceversa, dato che quest'ultimo è del 2011). Se lì si coglie il pretesto di una separazione per descrivere il reticolo di tensioni che intrappolano la vita in Iran (tensione tra integralisti e laici, tensione tra il desiderio di fuggire verso il sogno occidentale di benessere e quello di rimanere nella propria casa per ricostruirla), in questo libro con il divorzio si riproduce l'immagine di una società, quella israeliana, ripiegata su se stessa e ammalata di contraddizione. C'è il nuovo che aleggia tra i personaggi come una bestia impaurita che mostra le zanne, pronta a mordere e dilaniare, e c'è la tradizione ferma in uno sguardo di riprovazione, nella mente dei personaggi, nei gesti di un rituale che un gruppo di pazzi in un manicomio sbagliano continuamente. C'è un'immagine molto bella, che rende bene l'idea: Na'omi in ospedale non aspetta la fine della benedizione per mangiare un pezzo di pane. Tutti la guardano, cercano di bloccarla, il rabbino integralista è irritato. Ma lei mangia voracemente, non si ferma: la sua è una necessità, il rituale è solo un'imposizione vuota che non ha niente a che fare con il proprio corpo. E i parallelismi non si sprecano: tutto il libro è allo stesso tempo pensiero individuale e pensiero collettivo, esprime la tensione di un paese che va avanti verso un futuro che non ha né colore né forma: il buio dietro e il buio davanti, come nell'immagine evocata ossessivamente da Yehudà. Ritroverete questa tensione ovunque, e simboli e richiami in ogni personaggio, a partire dal cinico Israel Kedmi, con la sua lingua pronta a ferire familiari e arabi, con la sua mania di grandezza e la sua certezza di essere nel giusto, senza averne assolutamente le prove.
Yehoshua si conferma un autore capace, spietato, onesto. Un autore capace di parlare al plurale usando un ordinario singolare, capace di parlarti del divorzio di due personaggi per farti divorziare da te stesso.
Pensavo che ci dovesse essere assolutamente un posto un punto immaginario a partire dal quale ti saresti scomposto. [...] Nei secoli dei secoli l'Uomo deve vedere se stesso.
9 giorni. E’ questo il tempo che Yehudà Kaminka trascorre di nuovo in Israele, tornando dall’America per ottenere il divorzio da sua moglie Na’omi, reclusa in un ospedale psichiatrico per aver tentato di ucciderlo. Un palcoscenico in cui si muovono silenziosi singoli personaggi in un monologo che per ogni capitolo si raccontano, mettendo a nudo il rapporto con questo uomo anziano, che ritorna dopo essersi fatto una nuova famiglia e in attesa di un nuovo figlio, e di questo strano divorzio che sembra così vicino, quasi si tocca eppure sfugge. La prima cosa che colpisce è questo flusso di parole continuo. All’inizio mi ha spiazzato e ho pensato che fosse perché nel primo capitolo è un bambino a parlare, Gadi, il nipotino che si sveglia nel cuore della notte per conoscere questo nonno che viene da lontano, che aspetta un regalo che il vecchio non ha mai comprato, troppo legato ai suoi problemi. Gadi che bada alla sorellina in un modo tutto suo, incoscientemente consapevole direi, pronto ad intervenire ai suoi piagnistei, si sente grande e aspetta. Crea un legame con Yehudà fatto di piccole cose, una passeggiata, un trenino, e capisce che il nonno ha il potere di farlo parlare, anche di quello che lui non sa. Seguono il genero Kedmi, cinico e con la sindrome del faccio tutto io frustrato da questo accordo di divorzio che segue e anche a lui sfugge; e la timida nuora Dinah, che nella scrittura riversa le sue frustrazioni, con il marito, con i genitori. Anche lei attende, spera che qualcosa cambi nella sua vita. Assa, il figlio che ha seguito le orme del padre, che in un tira e molla di sentimenti lo disprezza per quella considerazione che ha sempre voluto e che il padre non gli ha mai elargito, nella sua vita, nei suoi studi. E pur odiando questo cerca ancora la sua approvazione. Zwi, il figlio omosessuale che conosciamo attraverso il delirio del suo amante, Refael Calderon, in una notte insonne, e poi in un’ora travagliata trascorsa dal suo psicanalista. La sua natura lo rende fragile, ma si nasconde dietro una barriera in cui fare il gradasso lo protegge. Yael, la figlia. “Io sono colei che mette insieme questa storia, che gelosamente la custodisce. Io che non dimentico, io che ricordo per tutti. Invece di pensare io ricordo”. Na’omi la moglie, che svela la sua doppia personalità durante la cerimonia del divorzio. Un’altra “lei” lo ha accoltellato. E il conflitto, che a prima vista sembrava sedato adesso è evidente. E infine lui, il patriarca. Tutto viene da lui e tutto torna a lui. In una linea di demarcazione che è proprio questo divorzio, sembra spezzarsi il legame fra la vecchia e la nuova vita dell’uomo. Ma proprio quando è lì a contare le ore, non vede l’ora che tutto questo finisca e che possa tornare a casa, riscopre un legame che adesso sente forte, fortissimo, con i suoi figli, con i nipoti, persino con la moglie che forse non ha compreso. E chissà… Attraverso una prosa curiosa, con poca punteggiatura, in un flusso di coscienza interminabile come un vulcano in eruzione la caratterizzazione dei personaggi funziona e le parole scandiscono i giorni e poi le ore di questo viaggio.
This novel was my introduction to Yehoshua and I was intrigued and engaged by it, not so much for the story of family dysfunction but for the style and structure in which the author chooses to make his characters come alive.
Nine distinct voices cover a day for each of the nine days leading to Passover, nine voices of family members culminating in the voice of the protagonist Yehuda, who has returned from the US to Israel to divorce his “mad” wife who once tried to kill him. As I progressed through the novel I got the impression that there was more than a mad (she is schizophrenic) wife here, that all these flawed characters were quite mad in their own ways, physically, emotionally, sexually and legally. Yehoshua experiments with a variety of styles to deliver the voices: sentences without punctuation, sentences with some punctuation, one-sided dialogue, poetic monologues, dialogue-only chapters, and “straight” narrative just when you think you are going off the edge yourself. The varying degrees of freneticism, the sweating of the small stuff, the obsessions and the guilt are sharply drawn, and the nine different angles gives this story depth beyond what one expects.
There is also a strong indictment of the one who not only deserts his spouse but also leaves the Promised Land. Yehuda, abandons his mentally ill wife and grown-up family in Israel and takes up with a much younger woman in America and is about to have a child with her, and his behaviour raises conflicted feelings among his adult children, grandchildren and children-in-law. Asi, the intellectual and sterile son, hates his father (probably for Dad’s fertility) while his wife Dina is attracted to the old man, Tsvi the other son is out to swindle Daddy, and Ya’el, the faithful daughter, is killing her father because she does not offer an opinion, while the jester in the family, Kedmi, the lawyer husband of Ya’el, is trying to profit from the divorce. Only Naomi, the mad wife, withholds judgement and longs to be forgiven for letting the other voice in her head take over and wield the knife on that pivotal day that split the family apart. Yehuda himself is a self-pitying drama king, who is willing to bare his chest and reveal his wound to any stranger. And as we all know, there is no real return for those who flee the coup, even though reparations are made, and Yehuda’s battle to jettison his “baggage” and retain a hold on his homeland leads to his unravelling.
The land of Israel also reveals itself to us as the family moves between Haifa, Tel Aviv and Jerusalem, each city distinct in its topography and climate, coming across as an undefined land, a melting pot of many cultures, fears, and ideas, glued only by the Jewish tradition and the threat of attack from the outside world.
This is a strong character story and a good model to demonstrate writing style and versatility. I think I will be picking up more of this author’s work in the future.
Pensa tu per me... pensate voi tutti, pensi perfino il cane, io sorveglio il ricordo"
La cosa che più mi impressiona dei romanzi che ho letto di Yehosua (questo e "L'amante") è la sua capacità di cambiare registro, ad ogni personaggio cui dà voce tramite le sue opere.
Pare quasi che le persone, le voci che rappresenta si impossessino della mente, del cuore, della penna dello scrittore e si rivelino. Per quello che sono i loro tormenti. Le loro ossessioni. Le loro paure. Le loro nevrosi.
Qui più ancora che ne "L'amante" è come ci venisse aperta una breccia nella testa delle voci narranti attraverso cui il lettore penetra e assimila emozioni, sensazioni, stati d'animo, personalità e carattere . Dal punto di vista stilistico, la resa è ottenuta con un linguaggio in cui la punteggiatura è completamente assente e ogni personaggio ha una modalità esclusiva e peculiare con cui esprimersi e rappresentarsi.
La vicenda si compie in 8 giorni. Un divorzio, uno scioglimento di un legame. Un uomo (padre e nonno) si separa dalla moglie apparentemente pazza. Ma non solo. Si separa dai suoi figli. Dalla sua casa. Dalla sua patria.
"A mezzanotte vostro padre sarà sulla rampa di lancio divorziato divorziante. Una visita vortice ma il nodo si è sciolto. Sì, errori, ma la corda è tagliata. Da qui in poi oblio"
"Fra qualche ora sarai tu a levarti in volo sopra le nuvole sbarcherai in un mattino grigio e straniero dentro una grande cucina americana piena di luce in un sobborgo tranquillo. Una Diaspora calma e fredda. Il vecchio israeliano ritorna depone silenzioso il suo nome disponibile accanto al grande e candido ventre."
Legami che si sciolgono. Legami nuovi che aspettano. Ma lo scioglimento dei nodi non è semplice. E nel tentativo di slegarsi, l'uomo si ritroverà sempre più avviluppato nel nodo che vuol recidere. E i legami nuovi che lo attendono saranno più 'sani' di quelli contratti nel passato? E a poco a poco la follia che sembrava contraddistinguere la madre e moglie, è come se si spandesse e inquinasse tutti i personaggi che stanno in questa storia. Più la madre acquista consapevolezza di sé, grazie alla frattura dei legami, più i famigliari che rimangono in essi invischiati virano, sbordano, escono dai confini della liceità, della normalità.
E par dire il nostro Yehousha, se non si ha la forza di recidere ciò che fa soffrire, la strada è inevitabilmente tracciata. E non può che esservi un tragico epilogo.
“A Late Divorce”, by A.B. Yehoshua, is a novel that was translated from the Hebrew by Hillel Halkin. The story line revolves around Yehuda and his wife Naomi.
Yehuda has traveled from America, back to his homeland of Israel, in order to obtain a divorce from his wife, Naomi, so he can marry a forty-something, pregnant woman. Here is where the tour-de-force begins. “A Late Divorce“, in my opinion, has a dual purpose, and is a true tour-de-force novel with its story lines regarding family dynamics, within the tapestry of the State of Israel, a country whose own threads encompass its own state of dynamics, culturally, emotionally, physically and geographically. Obtaining the divorce requires strength, and is no easy feat for Yehuda, and his determination has thrown his family members into a state of emotional turmoil, through the family's own comical tactics. Yes, comical, because within the
The book takes place over a period of nine days that lead up to the Passover celebration. Each day (a chapter in the book) is devoted to one family member’s perspective, not only on the divorce, but family life in general, and how they remember Yehuda’s time spent with them. Yehoshua is masterful in his ability to get inside the human mind, and see life through nine family members, each bringing a different analysis to the current familial situation.
For some, the situation is unbearable, and for others, daily verbal assaults and torture is a way of life, thinly disguised as joking. We have the character of Gaddi on Sunday, a seven-year old, and grandson of Yehuda. We are privvy to his thoughts within his racing mind, and Yehoshua is ingenious in the way he presents Gaddi, unarticulated, fast talking, thoughts running from one subject to the next. Yet, within his immaturity, we also see a Gaddi who seems persceptive, and a child who exhibits emotions turned inward.
Monday brings us Yisra’el Kedmi, Yehuda’s son-in-law, married to Ya’el. He is called Kedmi, as he feels one Israel is enough. Kedmi is more of an “out-law” than an in-law. He is the “jokester”, the one who demonstrates passive-aggressive behavior through his obnoxious and snide remarks. Yet, he might just be the sanest of the bunch. It’s all up to the reader.
Tuesday is Dina’s day. She is Asi’s wife, and Asi is the son of Yehuda. She is an only child of Hungarian parents, who are Hasidic Jews, who are constantly at her for not having children. Dina is an aspiring writer. Her writing is her family, each page is like one of her children.
Wednesday is Asi’s voice, one that is told in an environment of familial sadness. Asi has a passion for 19th century terrorists and their history, and he lectures at the university. He has a compulsion that is harmful to himself, and it began when he was a child. Asi acts openly superior to his wife, Dina, and treats her as if she is a child. He has yet to fulfill his marriage by having sexual relations with Dina.
Thursday we hear a one-sided conversation that Refa’el Calderon has with Tsvi. Tsvi is Yehuda’s son, and Refa’el is Tsvi’s current lover. Not only is the conversation one-sided, but so is the relationship, as Tsvi treats Refa’el with extreme disrespect. Refa’el is of Sephardic Jewish heritage.
Friday is the day that Tsvi meets with his therapist, right before Shabbat evening prayer service begins. He is an extremely manipulative person, and is always looking for an easy and quick way to make money, even if it is at another’s expense. He has convinced his mother not to sign the divorce agreement until she is given the entire share of the apartment that she and Yehuda own. Tsvi lives in Tel Aviv.
Saturday is not only the Sabbath, but is a day that takes place three years into the future. We are seeing the day through Ya’el’s mind and eyes, as she tries to focus on the past and remember what events occurred. What tragic incident happened that has caused her to block her memory of the day. Ya’el has been the quiet force in the family, always trying to please everyone. Also, in this chapter we are introduced to Connie, who was Yehuda’s bride-to-be, and their son.
Sunday is the day of the Passover Seder, and we meet Naomi, Yehuda’s wife. She has been confined to a mental hospital ever since she stabbed Yehuda. She has been labeled as crazy, although I am not so sure that she is. She has many coherent and cognizant moments, more than other family members.
Monday is Yehuda’s story, his memories and perspectives. We begin to see the overall picture in this chapter more clearly. And, we realize who is manipulative, and who is trying to drive the other to madness. The greed and guilt combine, bringing out emotions that were harbored and festered to a crescendo of an ending.
The stories within the chapters of “A Late Divorce” are a metaphor for dysfunctional family relationships and interactions, and a metaphor for the daily lives and dynamics that make up the fabric of Israel’s very core. We see the comparison through Yehoshua’s characters.
“A Late Divorce” is a story filled with sadness and humor, both. Yet, the sadness is dominant, as each family member tries to heal the family as a unit, as a whole, and put it back together, failing in their endeavors. There is never peace, in any situation, and each family member is constantly on guard, often on guard for the unknown and unseen forces, as if awaiting disaster. Each voice is a thread in the fabric of the whole, the complete tapestry is told with the incomparable voice and brilliance of A.B. Yehoshua. He is masterful in his word visuals, and brings incredible insight into the human mind and emotions, blending both in a concise and astute vision of both family and the State of Israel.
La storia si snoda in nove nove giorni, la durata della permanza in Israele di Yehudà Kaminka, rientrato in patria dall'America per sciogliere ogni legame con Na'omi, sua moglie. Una dolorosa ricerca di sé e di un motivi qualunque per non chiudere definitivamente il matrimonio, mentre figli e moglie lo tengono a distanza. I giorni finiscono con la Pasqua, il passaggio ineluttabile tra passato e futuro.
Analisi minuziosa di grande introspezione psicologica su una famiglia disfunzionale e la sua crisi, metafora della situazione israeliana (scritto intorno agli anni '80 del secolo scorso); alla voce di ogni personaggio è dedicato un capitolo, in un turbine di sensazioni che a volte mi hanno infastidita ma rimangono sotto pelle senza darti scampo.
Dopo avermi folgorato con L'amante, Yehoshua se possibile mi folgora ancora di più con questo secondo romanzo della sua trilogia. Gli ambienti, le dinamiche, le tematiche e le scelte narrative e stilistiche sono le stesse del romanzo precedente, ma dentro c'è un intero mondo sì da poter concludere che sono due romanzi simili, ma anche due romanzi completamente diversi. Il divorzio tardivo del titolo è quello del vecchio Yehudà, tornato in Israele solo per chiudere i rapporti con la moglie e la sua variegata famiglia; inutile dire finirà con lo stringere ancora di più quei legami. Come in una progressione gerarchica, la prima voce è quella del piccolo Gadi, nipote del vecchio, primo vero contatto umano di Yehudà in terra di Israele, appena destatosi dal sonno confuso del jetlag. Dopo di lui toccherà ai genitori, risalendo la gerarchia familiare, per poi estendersi a fratelli, zii, mogli, nuore e amanti.
This is my favorite Yehoshua book and one of my all-time favorites.
Yehoshua wrote book in an extremely interesting style that is sophisticated and engaging at the same time.
The story is simple. A man moved to the US years before leaving his family in Israel. He is now back to get a divorce from the wife to be able to remarry.
It is all about the characters. The feelings: the feeling of being trapped. The feeling of panicking for getting older. the feeling of being young and confused. of being sick and afraid. All those feelings jump at you from every page. It is an amazing book.
This is a fascinating novel and one especially for readers who like to be challenged. It takes place over 10 days in Israel - when the father of three grown children returns from America to seek a divorce from his wife. The chapters are narrated by the various characters and in a stylistic variety of ways: there is stream-of-consciousness, one-sided conversations, interwoven stories, etc. Sometimes without much of the punctuation we are used to. It took me a page or two to get into the rhythm, but Yehoshua is worth it. He's one of Israel's preeminent novelists, and though I've known of his work for some time, I've only just begun reading him. He's quickly become one of my favorite novelists. For those looking to expand their reading beyond America, I highly recommend him. If you are looking for an easier introduction to him, I highly recommend The Extra.
Diverso dagli altri romanzi di Yehoshua. La capacità dello scrittore di rendere la psicologia dei personaggi, qui tocca vette di perfezione. Egli riesce a farci entrare nella mente dei protagonisti, parla con le loro voci. Si fa bambino, donna, vecchio restando sempre assolutamente credibile. Sospeso fra realismo e momenti onirici, trovo questo romanzo imperdibile se amate lo scrittore.
Ah, la scrittura di Yehoshua. Assomiglia alla casa in cui e di cui conservate i ricordi più belli. Al di là delle storie che racconta, al di là delle domande che nascono scorrendo le righe, le pagine, i capitoli sento di essere descritta. E quando si è de-scritti si è a casa.
In briciole. Perfetto se state cercando: - Una dramma famigliare che dura dieci giorni, non dieci generazioni; - Una famiglia disfunzionale che farà sembrare la vostra quella del Mulino Bianco; - Un corso di scrittura formato romanzo.
Sì ma che succede? Yehudà Kaminka deve tornare in Israele per divorziare dalla moglie rinchiusa in manicomio: aspetta un bambino dalla compagna negli Stati Uniti ed è deciso a costruire la sua vita oltreoceano. In Israele però non c’è solo la moglie che lo aspetta. Tre figli con sposi, figli e compagni raccontano i rapporti schizofrenici di una famiglia dove la comunicazione è così scarsa che i personaggi non sono nemmeno capaci di essere onesti con loro stessi. Sullo sfondo, una Patria che non riesce a essere Patria, dove ogni tensione psicologica è anche tensione sociale.
Questo è il primo libro del 2022 scelto dal mio gruppo di lettura. Non conoscevo Yehoshua e mi sono affidata a chi me lo ha presentato come un autore da “dramma familiare”. Il punto è che Un divorzio tardivo è stato molto di più. Sono entrata nel libro aspettandomi un solido malloppo ottocentesco, ma quello che ho trovato è stata una lucidissima analisi delle disfunzioni di una famiglia israeliana degli anni ’80 raccontata a 10 voci, 10 timbri diversi l’uno dall’altro che aggiungono un livello alla comprensione dei personaggi. Assa racconta di se stesso in terza persona, come a volersi allontanare dal presente. Calderon e la sua ansia sono raccolti in un dialogo dove possiamo leggere solo le parole di Calderon. Del piccolo Gadi conosciamo il flusso di pensieri, intuitivi, curiosi e senza un briciolo di punteggiatura. Praticamente un corso di scrittura a soli 12€.
Lo stile.Ho trovato questa recensione del 1984 apparsa sul NYT[link] e, con sorpresa, l’autore ha sottolineato le influenze di Joyce e Svevo sul libro. Dico con sorpresa perché, per quanto riesca a vedere il collegamento, il funambolismo di Yehoshua ha reso le voci di tutti i suoi personaggi singolari e non riconducibili a un’influenza precisa. Non mi capitava di leggere tanto equilibrio da tempo (leggere recensione di Ragazza, Donna, Altro[link] per credere). E tutto in un potenziale caos di personaggi. Credo l’ingegno di Y. stia stato anche quello di far raccontare a ogni personaggio uno e un solo giorno, così da riservare per loro e le loro psicosi spazio e dignità. Si entra in ogni capitolo come in dormiveglia: servono diversi minuti per capire chi sta parlando e di cosa. Ma quando arriva la luce, ogni tratto è chiaro e ripreso anche dai successivi capitoli (e quindi dalle altre prospettive). Pensiamo a come Yehudà vede il genero Kedmi: tutti, lettore compreso, sono spinti a provare una naturale antipatia per lui, ma solo il capostipite si permetter di dare giudizi inequivocabili su di lui.
La Patria. I miei amici che hanno letto Yehoshua si aspettavano di trovare scene dal conflitto israelo-palestinese, ma di battaglie non ce ne sono. O meglio, sono tutte sotterranee. L’autoesilio di Yehudà, il razzismo non poi tanto velato di Kedmi, il bisogno di Assa di utilizzare la Storia come scienza che spiega il mondo. Yehudà, nel suo capitolo, non fa altro che ripetere quanto la “Patria non ha saputo essere Patria” come se la promessa di felicità di Israele fosse stata tradita. Allo stesso tempo però, è lui che sente di aver tradito la moglie Na’omi, deludendola per non essere impazzito con la stessa…gravità con cui è impazzita lei. E quindi, il colpevole chi è? C’è una sovrapposizione tra la Patria, in guerra, confusa, indecisa sulla forma e sul futuro, e l’ex moglie, una lucidissima schizofrenica capace di uccidere per incomunicabilità? Io penso di sì. Yehudà, fuggendo, ha tradito Patria e Amore, che, nella visione di Yehoushua, non potevano che vendicarsi. Forse a voler risanare lo strappo ci penserà il piccolo Moses, il figlio che Yehudà aspetta negli USA.
Famiglia? No, grazie. Perdete ogni speranza di trovare un personaggio che non vi farà venire i nervi. E no, non è una cosa necessariamente negativa. Perché non mi capitava dai tempi di T2 di trovare personaggi così rotondi, meschini e vivi. Ognuno di loro ha un tratto specifico, un tratto smattato che lo separa dagli altri e definisce il suo comportamento. Oltre ai diversi stili, le nevrosi si amplificano grazie all’incastro di voci e le diverse prospettive. Prendiamo Assa e Dina: sono giovani, intelligenti e potenzialmente pieni di vita. L’intelligenza di lei è chiara al lettore, ma le continue interruzioni della narrazione dovute alle sue ambizioni letterarie raccontano la sua volubilità e la totale incapacità di concentrarsi. Combo perfetta per Assa, che ha una soglia della tolleranza praticamente inesistente nei confronti del presente, tanto da doversi raccontare un ipotetico futuro descritto da un suo ipotetico biografo. L’unica comunicazione possibile tra questi personaggi, come fra tutti i personaggi di “Un divorzio tardivo” è la mancanza di comunicazione. Sembra quasi che la famiglia, e l’incapacità di comprendersi come esseri umani, siano l’unico vero nemico di fine secolo.
La conclusione. Dopo aver praticamente divorato tre quarti di libro, ho avuto molta difficoltà ad arrivare alla fine. Dopo una certa pace malinconica, le riflessioni finali di Yehudà si impennano fino a portarlo davanti il suo destino in un modo ridicolo, spogliato di tutta la gravitas che il personaggio aveva avuto finora. E se il nostro ragionamento di prima tiene (Yehudà è il vero colpevole di tradimento), ho trovato la punizione di Yehoshua troppo “crudele”. Quell’escalation di follia e nevrosi forse vuole mostrare quanto anche Yehudà meritasse di stare in manicomio, ma è uno scivolone rispetto all’equilibrio precario di cui parlavo prima. Questo certo non mi impedirà di consigliarlo a tutte le persone che conosco.
קצת מאוכזבת שלא כתבתי התרשמויות במהלך הספר, אבל לא הייתה הסיטואציה המתאימה ולמעשה ההנאה היא המשמעותית גם אם נאבדו מחשבות בדרך. ספר טוב. פשוט ספר טוב, ומיוחד מאוד, ספר מעורר מחשבה, מסוג הספרים שאופן הכתיבה משמש חלק יפיפה ומשמעותי מהעלילה - סוג הספרים המוכיחים את גדולתו של הכותב מעבר למקוריות הרעיון ודווקא בביצועו. ברבדים המצויים בבחירת הכתיבה ו״מחשבות״ הכותבים השונים. כמו אצל גרוסמן אך באופן אחר. כמראה זהו הוםי הא.ב יהושעי! בקיצור, התחברתי. ההתחלה הייתה נהדרת, וגם הפרק של אשתו של הבן, וכן האב עצמו (אם כי פחות) הפרק האחרון - עפתי. התחכום על התחכום, שיח עם הקוראים, אבל יותר מזה - זה פשוט היה מעניין. מי היה חושב על נקודת המבט של כלב. ועשוייה ככ בטוב טעם. 👌🏻 עוד נדבך שאני תמיד מעריכה טמון בתחושה כי ניתן להמשיך להתעמק ולקרוא שוב שוב, למצוא התגלויות נסתרות, אך גם בקריאה סוחפת ראשונית המון רבדים פרושים לפנייך. לא יודעת עוד לאן להרחיב. רצוי שאתעד עוד מחשבות שאני יודעת שהיו לי. אחפש המלצות לספר הבא שלו הרצוי - כי אין לי כוונה לחרוש על עיוור על כולם, מה שגם אני צריכה לקרוא גם סופרות. זה מביש. זהו לבנתיים. 9/10.
Escritor nuevo y me gusto. Un hombre de 60 y + regresa a Israel para divorciarse de su esposa, en Estados Unidos de donde viene lo espera su nueva pareja que está embarazada. Como si no fuera suficiente el argumento, resulta que la esposa está internada en un lugar para enfermos mentales a consecuencia de ciertos síntomas que culminaron con un intento de acuchillar al marido. Tienen 3 hijos ya adultos. Una historia que se va construyendo y contando alrededor de este hombre que llega para enfrentar a una familia desperdigada, donde muchos temas son vedados, y con personajes complejos que van cobrando vida, adicional a la familia núcleo, existen más personajes entrañables que te dejan su impresión. Una historia muy bien contada, cuyas últimas páginas te tienen de un hilo.
This entire review has been hidden because of spoilers.
I am ending my “Israeli literature” period with quite a strange novel. Story of Kaminka returning to Israel to get a long-overdue divorce from his wife who attempted to murder him. The numerous narrators (I counted 9) makes the reader search for a clue at the start of each chapter. The effect is fabulous though - Yehoshua plays with the characters and the reader, using extreme technics: no punctuations, dialogue limited to one of the protagonist. I also enjoyed the ambitious range of characters providing unique entries into contemporary Israel. A demanding ready but really worth it
Il libro aveva iniziato a entusiasmarmi. In un secondo momento stava iniziando ad annoiarmi. E poi, ecco di nuovo che le sue pagine riescono a stuzzicare la mia curiosità. La capacità di questo libro di attirare o smorzare l’attenzione del lettore non risiede nella trama che, di per sé, sembra essere particolarmente semplice, con degli intrecci che sembrano non portare a sviluppi veramente interessanti e che abbiano ripercussioni sul leitmotiv della fabula. Invece, la capacità di suscitare qualcosa nel lettore risiede nel modo di esporre l’intera situazione. Il libro è diviso in più capitoli e ad ogni capitolo corrisponde uno stile diverso in quanto afferisce a un personaggio ben preciso con una sua psicologia determinata. Ognuno di questi personaggi è accomunato da vincoli di parentela e viene messo in mezzo alla storia del divorzio dei capostipiti di questa famiglia. Tra le righe di una “normalissima” storia di divorzio si ritrovano comunque svariati temi tra cui uno dei temi ricorrenti nella letteratura di Yehoshua: la sua critica alla formazione dello Stato israeliano. Sembra essere quasi una stranezza visto che un ebreo critica l’istituzione dello Stato che doveva riunire la comunità ebraica nel paese biblico d’origine, eppure è illuminante allo stesso tempo, dato che ci dà una visione d’insieme sulla realtà da tenere in considerazione, anche con riguardo alla situazione politica mondiale contemporanea. A prescindere dal tema della formazione a tavolino dello Stato israeliano, Yehoshua cerca di scavare la psicologia dei suoi personaggi portando a galla temi scottanti come l’outing dell’omosessualità, la scoperta della stessa tendenza sessuale da parte di coloro che non riescono ad accettarsi pienamente così, nonostante intorno a sé vi siano altri che li accettano con tranquillità; così come il senso di inadeguatezza che un bambino robusto può avvertire nei rapporti con i suoi coetanei; oppure ancora, come esistano delle frizioni e dell’incomunicabilità che si manifestano non solo tra estranei ma anche tra appartenenti a uno stesso nucleo familiare. Tramite l’uso di più personaggi, quindi, l’autore riesce a sviluppare vari temi che ruotano intorno e prendono vita dal nucleo pulsante di tutto il libro, che come suggerisce il titolo riguarda un divorzio. Sarò breve: ritrovo molto interessante l’uso di vari stili narrativi per caratterizzare al meglio ogni personaggio, di cui si evidenziano punti di forza ma soprattutto debolezze e problemi, e in certi casi anche la qualità di trovare modi per risollevarsi dal circolo delle proprie vicissitudini. Ritrovo lodevole anche la trattazione di temi che sembrano non avere attinenza con l’argomento del libro, ma che riescono ad essere introdotti in modo non troppo forzato all’interno della cornice narrativa. È un libro che, come ho detto ad inizio recensione, non mi ha molto entusiasmato in determinati punti, in certi altri mi ha invece spinto a continuare la lettura. Non è una delle opere migliori che abbia fatto nel 2015, ma merita pienamente le sue 4 stelle.
"Perché basta che una persona ti dia la sua pena e il suo sentimento e allora anche la cosa più strana del mondo sembra così umana."
Dopo avermi folgorato con L'amante, Yehoshua se possibile mi folgora ancora di più con questo secondo romanzo della sua trilogia. Gli ambienti, le dinamiche, le tematiche e le scelte narrative e stilistiche sono le stesse del romanzo precedente, ma dentro c'è un intero mondo sì da poter concludere che sono due romanzi simili, ma anche due romanzi completamente diversi. Il divorzio tardivo del titolo è quello del vecchio Yehudà, tornato in Israele solo per chiudere i rapporti con la moglie e la sua variegata famiglia; inutile dire finirà con lo stringere ancora di più quei legami. Come in una progressione gerarchica, la prima voce è quella del piccolo Gadi, nipote del vecchio, primo vero contatto umano di Yehudà in terra di Israele, appena destatosi dal sonno confuso del jetlag. Dopo di lui toccherà ai genitori, risalendo la gerarchia familiare, per poi estendersi a fratelli, zii, mogli, nuore e amanti. Nette sono le coordinate spaziotemporali in cui si svolge la storia: i nove giorni che precedono la Pasqua. Esaltando il piacere dello sperimentalismo del primo libro, a ogni personaggio è associato un giorno e uno stile diverso, sì da restituire una summa narrativa che sembra voglia esser una summa della vita umana. Feroce come una testata è il flusso di coscienza che si impone all'inizio del romanzo, il cui affollarsi di pensieri rappresenta al meglio l'attività mentale del piccolo Gadi; un flusso di coscienza che, seppure annacquato, non scompare mai dalla pagina, configurandosi definitivamente come tratto caratteristico della scrittura di Yehoshua. I capitoli femminili sono i più tumultuosi, il flusso continuo di parole congestiona la pagina, si accanisce su se stesso e impone un ritmo frenetico e concitato. Altri capitoli si presentano, all'opposto, del tutto privi di un tale maelström narrativo, riducendosi a un dialogo botta e risposta tutt'altro che semplice e lineare; singolare è la scelta, nel capitolo dedicato a Rafael, di scrivere un dialogo omettendo però del tutto le risposte dell'altro interlocutore, lasciando che il lettore sprofondi in quei vuoti silenzi. Non si pensi però che il piacere del gioco narrativo esaurisca la grandezza del romanzo. Non si può tacere la finezza dell'introspezione psicologica, incastonata nella cornice della complessa realtà israeliana; Yehoshua si muove dentro e fuori l'essere umano, in lungo e in largo Israele, tracciando la geografia dell'esistenza umana. Nell'affollarsi di cose, pensieri, strade, emozioni mal identificate, sentimenti repressi, Yehoshua pone le coordinate della vita umana e impone la sua scrittura, la sua idea di letteratura. E quando fa dire a un suo personaggio: cose, oggetti, realtà fisica e solo dopo estrarne idee o simboli. Questa è letteratura, non si può che essere d'accordo.
“Allora abbiamo percepito il silenzio nella stanza, e quei quattro che ci guardavano stupiti. Un divorzio la vigilia di Pasqua, poche ore prima del seder, un divorzio rustico, nella biblioteca di un manicomio paesano, tutto avvolto di verde e di fiori, a bella posta ho riempito la stanza di fiori.”
Yehudà Kaminca, ebreo over sessanta di origine russa, vive negli States con una giovane compagna dalla quale aspetta un bambino: nella speranza di poter dare una risistemata alla sua nuova vita, torna in Israele dopo diversi anni per concludere l’atto di divorzio dalla moglie Na’omi, che anni prima lo aveva accoltellato ed è per questo ricoverata in ospedale psichiatrico. Yehudà si fermerà in Israele solo pochi giorni nella settimana che precede la Pasqua e, oltre a mettere in ordine i propri affari burocratici, incontrerà la propria famiglia: Yael, la figlia primogenita, sposata ad un avvocato maneggione, presuntuoso e superficiale con il quale ha due bambini, Gari e Rakefet; Zwi, single e omosessuale, senza né arte né parte; Assi, cinico professore di storia sposato alla bellissima e romantica Dina, aspirante scrittrice. Saranno questi, ed anche altri, i personaggi cui Yehoshua affida il compito di delineare la trama, cimentandosi in un romanzo circolare, nel quale ognuno racconta un pezzetto della storia dal suo punto di osservazione: nove capitoli, nove giorni, nove narratori, ognuno con le sue nevrosi, ognuno con le sue paure, con le sue aspirazioni (diversi di loro vorrebbero essere scrittori) e le sue fantasie. La famiglia Kaminca regala così una scena teatrale formidabile. Ognuno si esprime o ricorrendo al monologo interiore oppure parlando a un interlocutore del quale però non sentiamo le parole. Lo stile è talmente particolare da prendere spesso il sopravvento sulla storia narrata: una scrittura sapiente, molto nervosa - a tratti nevrotica. In diversi punti, il romanzo pare scritto come se si trattasse della trascrizione di un testo raccontato a voce, in fretta. Poca punteggiatura, molti a capo, flussi di emozioni. Ho avuto ad un certo punto un dubbio: questo cambiamento di registro è vera abilità oppure il riflesso di una incapacità di tenere lo stesso ritmo per un intero romanzo (corposetto, peraltro)? Dubbio fugace, il libro è bello e l’autore molto abile nel gestire un meccanismo narrativo che fa lavorare il lettore, rendendolo più attivo e partecipe. Non avevo mai letto Yehoshua e mi ha affascinato.
Excellent writing! The style and technique were very unique, with each chapter being written from the point of view of another character, and in fluent stream of consciousness. It made you see the same issues from different points of view and appreciate the characters connotations and opinions.
This style along with the very touching, mysterious and ever entangling storyline makes this one a home run. In a nutshell, an old Israeli is coming back from America to get a divorce from his wife, after many years. His children, who live in Israel, help the couple with the process even though the reason for the sudden divorce, and the circumstances for the original estrangement are not clear to the reader. page by page, family secrets and motives are peeled away, and the complicated relationships between them all unveil.
It is amazing how much the writer had to SAY. About God, Love, Family, ambition and disappointment from all of the above. It is both obvious and hidden. I personally found myself thinking about the book a lot between reads. Enjoying the underlying messages and truths about life.