In queste pagine straordinarie, frutto di lezioni tenute dalla Arendt negli Stati Uniti a metà degli anni Sessanta, il lettore può cogliere l'avvio di quella riflessione sulla banalità del male complementare, ma non contrapposta, a quella sulla «radicalità del male», sviluppata negli anni della stesura de Le origini del totalitarismo e può risalire inoltre alla fonte di quei pensieri che nel volgere di qualche anno porteranno l'autrice alla composizione de La vita della mente . E se anche Eichmann è citato solo una volta e di passata, è ovvio che egli sta sullo sfondo e rappresenta il caso esemplare, e al contempo estremo, che orienta la requisitoria arendtiana contro le concezioni teologiche e metafisiche del male. Con la chiarezza dell'intento didattico, la Arendt inaugura qui la sua interrogazione, in chiave decostruttiva, delle eterne questioni che riguardano il rapporto dell'io con se stesso. È la prima volta che queste appassionanti riflessioni vengono presentate in forma autonoma; in Italia sono altresí contenute all'interno di Responsabilità e giudizio (Biblioteca Einaudi 2004).
Hannah Arendt (1906 – 1975) was one of the most influential political philosophers of the twentieth century. Born into a German-Jewish family, she was forced to leave Germany in 1933 and lived in Paris for the next eight years, working for a number of Jewish refugee organisations. In 1941 she immigrated to the United States and soon became part of a lively intellectual circle in New York. She held a number of academic positions at various American universities until her death in 1975. She is best known for two works that had a major impact both within and outside the academic community. The first, The Origins of Totalitarianism, published in 1951, was a study of the Nazi and Stalinist regimes that generated a wide-ranging debate on the nature and historical antecedents of the totalitarian phenomenon. The second, The Human Condition, published in 1958, was an original philosophical study that investigated the fundamental categories of the vita activa (labor, work, action). In addition to these two important works, Arendt published a number of influential essays on topics such as the nature of revolution, freedom, authority, tradition and the modern age. At the time of her death in 1975, she had completed the first two volumes of her last major philosophical work, The Life of the Mind, which examined the three fundamental faculties of the vita contemplativa (thinking, willing, judging).
È uno di quei libri che prendo in mano quando ho bisogno di dare e darmi una risposta lapidaria che definisca “lo scandalo” del cambiamento dei “mores della morale” in nome della ragion politica a cui basta escogitare e applicare una norma per rendere illecito ciò che prima non era nemmeno pensabile con la categoria della leceità. Certo è vero che un aiuto me lo può dare la memoria non necessariamente frutto dell’esperienza: la shohà, per esempio e le modalità con cui questa fu messa in atto, con un mattoncino alla volta. Senza turbare più che tanto la buona coscienza dei tedeschi, quasi una medicina omeopatica o un vaccino. Ecco lo scandalo. Dei tredici punti del CODICE di comportamento che le Ong devono rispettare nel salvataggio dei migranti in mare ne riporto le più scandalose:
• Non entrare nelle acque libiche, "salvo in situazioni di grave ed imminente pericolo" e non ostacolare l'attività della Guardia costiera libica. Tradotto: lasciare nelle mani dei libici i disgraziati già imbarcati dai mercanti di schiavi per essere rinchiusi nei loro centri di detenzione e tortura.
• Non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione. Tradotto: lasciare in mare libico canotti sgonfiati con donne e bambini a bordo. Senza contare che i neri giovanottoni sono anche loro carne umana.
• Non fare comunicazioni per agevolare la partenza delle barche che trasportano migranti. Inutile tradurre.
• Ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, "eventualmente e per il tempo strettamente necessario", funzionari di polizia giudiziaria che possano raccogliere prove finalizzate alle indagini sul traffico.
Tutte norme contro la persona umana. Ci sono ragioni per cui uno stato, che si è fatto sostituire dalle ong (per definizione umanitarie ), debba redigere, senza pudore, tale regolamento che va contro le regole riconosciute dal “Codice della navigazione" nei suoi articoli Art. 489 - Obbligo di assistenza, Art. 490 - Obbligo di salvataggio? E soprattutto cosa li fa attaccare compunti la Morale, qualsiasi cosa ci sia nella nostra testa che ci faccia riconoscere il bene dal male? Può una regola siffatta esigere obbedienza da parte di chi non la ritiene giusta e che solo i razzisti, espliciti o meno, vi vedono o la “giustezza” o peggio ancora dichiarano che essendo legge di stato loro preferiscono l’obbedienza al sabotarla? È questa la perla del cardinale presidente della Cei: tale e quale il comportamento di Pio XII. Nessuno venga a dirmi che non si possa giudicare “amorale” questo comportamento: noi distinguiamo il bene e il male avendo in mente alcuni eventi e alcune persone. Nessuno venga a dirmi di non poter scegliere con chi stare perché c’è una legge che sta al di sopra delle mie scelte. L’indifferenza, che maschera sentimenti innominabili, è il pericolo maggiore.
Ecco, per questo l’ho riletto: nessuno può dare una risposta netta alla domanda” cos’è morale o no” se non nei termini del superamento dell’Io, quell’Io che storicamente e filosoficamente ha dato del filo da torcere tranne che al fondamentalista Yehoshu'a, l’uomo del noi: parola di atea.
All'inizio della lettura ero molto soddisfatto, introduceva questioni molto interessanti, introduceva il modo in cui a suo tempo si parlava di morale, introduceva il modo in cui l'occidente si pone nei confronti del male. Dell'inizio mi è rimasto il concetto riguardo a come le persone giustifichino le malefatte in base al contesto, "l'avresti fatto anche tu al suo posto". Dunque da qui si cade inevitabilmente nel relativismo della suddetta morale: se dipende dal contesto, che cosa è il male? Che cosa è il bene? L'opera analizza e prende spunto per i suoi ragionamenti il pensiero di molti filosofi (Kant, Socrate, Platone, Aristotele, Agostino e soprattutto Nietzsche), è difficile starle dietro in alcune parti (soprattutto quelle Kantiane poiché egli ha creato un proprio modo di vedere le cose, l'uomo) se non si conoscono gli autori che usa per la trattazione dell'argomento. Verso la metà (seconda metà) dell'opera diventa davvero estremamente astratto il ragionamento, utilizza termini del linguaggio prettamente filosofico e le sue deduzioni in alcuni punti del discorso non mi sono parse né chiare né così strettamente logiche e contingenti alle preposizioni di partenza; forse è un mio problema poiché non sono uno studente di filosofia e non comprendo alcune conclusioni inevitabili per chi ha un certo modo di vedere le cose. Mi è poco chiaro il ragionamento che abbia fatto sull'estetica e le conclusioni morali a cui sia giunta da quest'ultimo, anche qui probabilmente mea culpa, non ho mai letto la "Critica del Giudizio" di Kant. Apprezzo però comunque il significato di quello che dice, trovo all'interno della sua conclusione finale un vantaggio molto pratico ed un realismo spiccato. L'idea, di allontanarsi dal male semplicemente allontanando chi o cosa ci sembra che non rispecchi ciò che noi vogliamo per il mondo, ed avvicinando chi o cosa si adegua di più al nostro desiderio di bene, mi sembra davvero interessante, rispecchia a pieno l'altra analisi interessante che fa all'inizio (ed alla fine) Hannah Arendt quando parla della personalità degli uomini ed è un ottimo modo per combattere l'ignavia che alberga nel mondo la quale è forse il motivo per cui il male (seppur soggettivo, ma abbastanza riconoscibile) riesce a prender piede. Darei quattro stelle probabilmente se avessi a pieno potuto comprendere alcuni ragionamenti o non mi fossi annoiato per la vacuità dal mio punto di vista di alcune analisi che forse hanno senso solo per un corso universitario di filosofia, d'altronde il libro altro non è che proprio una serie di lezioni di questo tipo.
Difficile staccarsi da questo libro e non leggerlo tutto d’un fiato. All’interno di queste lezioni Arendt riflette e fa riflettere sulle origini del male, facendo incontrare Socrate, Kant e Nietzsche con Paolo e Gesù di Nazareth, lasciando alcune domande aperte e volutamente senza risposta alcune. Partendo dall’individuo singolo per arrivare alla comunità, i concetti di giudizio, volontà e azione vengono considerati non solo per le loro conseguenze/derivazioni ma anche per la loro eventuale assenza.
Primo libro della Arendt che leggo. Ovviamente è solo un'introduzione ai suoi studi riguardo la morale, la volontà ed il giudizio. Ciò nonostante è una bella introduzione, dove vengono sollevate diverse questioni interessanti.