En Los años invisibles, un grupo de adolescentes de buena familia ve cómo un futuro brillante se desmorona a sus pies. Una novela generacional sobre las incógnitas e incertezas del paso a la adultez.
Veintiún años después y en otro hemisferio, dos amigos de la adolescencia se reúnen para revisar su pasado común, el pasado que uno de ellos está transformando en una novela. Así entablan una conversación implacable sobre la verdad de aquella época.
Andrea y Julián, con los nombres falsos usados en esa ficción, beben y hablan mientras cambian de bares en Houston. A medida que pasan las horas el encuentro saca a la luz aquel marzo trágico que ninguno pudo olvidar, y que marcó para siempre a su grupo de amigos de clase acomodada en Cochabamba, la ciudad de la que querían irse y a la que no piensan volver.
La nueva novela de Rodrigo Hasbún nos sumerge en el tiempo silenciado de la adolescencia. Los años invisibles es una indagación sobre el pasado y cómo lo recordamos, sobre el lugar inexpugnable que tiene en el ahora.
Rodrigo Hasbún is a Bolivian novelist living and working in Houston, Texas. In 2007, he was selected by the Hay Festival as one of the best Latin American writers under the age of thirty-nine for Bogotá39, and in 2010 he was named one of Granta’s Best Young Spanish-Language Novelists. He is the author of three novels, two volumes of personal essays, and three collections of short stories, two of which have been made into films. His work has appeared in Granta, McSweeney’s, Zoetrope: All-Story, Words Without Borders, and elsewhere. Affections received an English PEN Award and has been published in twelve languages.
Rodrigo Hasbún nació en Cochabamba, Bolivia, en 1981. Ha publicado los libros de cuentos Cinco, Los días más felices y Cuatro, un volumen de relatos reunidos titulado 15, las novelas El lugar del cuerpo, Los afectos y Los años invisibles, y las colecciones de textos de ocasión Las palabras y Los murmullos. Fue parte de Bogotá 39, así como de la selección de «Los mejores narradores jóvenes en español» elaborada por la revista Granta. Recibió el Premio Unión Latina a la Novísima Narrativa Breve Hispanoamericana por el cuento “Familia”, y con guiones de su co-autoría dos de sus textos fueron llevados al cine. Su obra ha sido traducida a doce idiomas.
Los años invisibles (2019) puede parecer en principio otro relato más de adolescentes marcados por un hecho trágico. Sin embargo, la manera de narrar de Rodrigo Hasbún (1981-) lo convierte en algo intenso e íntimo donde resulta fácil dejarse llevar.
Los protagonistas, adolescentes de clase alta sudamericana, viven en un mundo irreal que no es capaz en absoluto de prepararles para la auténtica vida y donde se ven abocados, irremediablemente, a un futuro de fracasos. Porque hay pocos de ellos que logren salir airosos de ese rito de paso hacía la madurez, en un relato donde se suceden abuso, violencia, racismo, violación, engaño, hipocresía, insensibilidad, injusticia, venganza, suicidio, etc.
¿Y cómo entender la historia? ¿Sencillamente como una huida hacia el abismo resultado de un inevitable incumplimiento de las expectativas juveniles o también como una crítica a esa clase social que se cree afortunada, pero que vive de espaldas a la realidad de un país y de un mundo notablemente más duro y complejo? Cada lector tendrá su opinión. En cualquier caso, queda claro la fragilidad de esa situación y el caos emocional en el que quedan inmersos los jóvenes cuando se produce cualquier ruptura.
El autor realiza un magnifico uso de recursos: lenguaje preciso, sin digresiones innecesarias, un apacible estilo resaltado por un tono de ingenuidad, puntos de vista distintos, escenas a futuro (la destreza de las hermanas con la pistola) y, sobre todo, los tiempos narrativos elegidos, acertados, que dotan a los acontecimientos de dos distintas perspectivas marcadas por los años y muestra sus consecuencias en los protagonistas.
En conclusión, una emotiva historia bien contada, ¿qué más de puede pedir? Leer algo más de Hasbún.
“Tutto ciò che entra a far parte del passato diventa irreale, una menzogna che alcuni a volte condividono. Le persone che eravamo laggiù somigliano poco alle persone che siamo qui oggi. Le persone che eravamo laggiù non avrebbero mai immaginato le persone che siamo qui oggi.” […] “Ciò che definisce quello che finiamo per diventare è ciò che non vediamo arrivare, gli imprevisti sono ciò che incide di più.” “È il passato… È quello che non si può vedere, quello che c’era e oggi non c’è più…”
Forse per questo quelli dell’adolescenza sono anni invisibili? Non solo invisibili agli altri (perché il tempo della giovinezza è un circolo chiuso e impermeabile al mondo adulto), ma soprattutto invisibili a noi stessi che viviamo una sorta di eterno attimo presente e non siamo in grado di immaginare il futuro, non sappiamo ancora dove ci porteranno le conseguenze delle nostre azioni e delle nostre passioni. Non sappiamo che persone diventeremo, che cosa sarà davvero a determinarci, a dirigere il corso della nostra vita. Quello che eravamo diventa a poco a poco fantasmatico, irreale, il disegno artificiale che la nostra memoria compone, combinando i diversi frammenti in un puzzle ordinato eppure sghembo, una narrazione che si puntella soprattutto sulle ombre e sulle mancanze, su ciò che non è stato e che poteva essere. Che poteva essere differente, distante da ciò che è ora, come se potessimo guardarlo attraverso una infinita teoria di sliding doors.”
Poi ci sono le conseguenze inimmaginabili di quello che viene prima di noi, che non conosciamo e non possiamo controllare e che invece ha un peso determinante: “Sono i nostri genitori che ci preparano a credere se meritiamo di essere amati o meno, a tollerare o no gli abusi, ad aspettarci molto o poco dalla vita. Questa è l’eredità più grande che ci lasciano. E la maggior parte dei genitori lo fa malissimo. Per questo il mondo fa schifo.”
E ancora. In modo potente e intrinsecamente drammatico avviene l’incontro con la parte più indifesa di sé attraverso l’incontro con l’altro: il vero e costante rischio a cui la vita ci sottopone sempre, ma il potenziale di questo rischio è massimo quando si sperimenta per la prima volta. “Siamo così fragili, così vulnerabili. Un solo episodio, pochi minuti, può bastare a rovinarci per sempre.” Quando avviene nell’adolescenza il solco è tracciato una volta per tutte. Darà frutto e porterà linfa vitale oppure esalerà veleno e destino di morte.
Certo, per tutti c’è una sola meta e si chiama consapevolezza ma forse, a voler essere amari come è questo magnetico romanzo di Hasbun, dovremmo chiamarlo in modo più preciso disincanto.
E allora:
“Che cosa sogneremo quando tutto diventerà visibile?“ Chi troveremo dall’altro lato delle cose quando non avremo nulla da nascondere?”
quando anni fa a buenos aires ho visitato la fundación proa, mi sono ritrovata in mezzo a una torma di liceali di una scuola femminile. tutte bionde, tutte ricche, tutte un po' annoiate, parecchie avevano accorciato di brutto la gonna della divisa e strappato i collant all'altezza del ginocchio (ho capito dopo che i collant strappati andavano di modissima e se non te li strappavi eri una povera sfigata). ce le ho avute davanti ad ogni pagina. spero che a loro sia andata meglio.
Gli anni invisibili, ovvero della fatica di diventare adulti. Ultimo anno delle superiori. Una classe di adolescenti sul trampolino della vita, accumulano esperienze, pensando di essere pronti al salto, che li faccia approdare nella età adulta.
Uno di loro, ventuno anni dopo, prova a scrivere di quell'ultimo anno. Perché avere quarant'anni è l'età giusta per vedere con lucidità ciò che è successo ventuno anni prima: «È come quando arrivi in una città nuova. I primi giorni ti accontenti dell’ovvio, di quello che vedono tutti gli altri, di quello che dicono valga la pena di vedere. Nella vita ci metti quarant’anni a tralasciare le apparenze. Quarant’anni è il tempo che ci metti a toglierti la benda, ad aprire finalmente gli occhi.»
Due di loro si ritrovano ventun'anni dopo per fare il punto della situazione, per vedere quanto dista ciò che sarebbero voluti diventare da ciò che sono: "Ciò che abbiamo intorno non è Cochabamba e ormai abbiamo quasi quarant’anni, l’età in cui la maggior parte delle persone si guarda indietro e scopre che avrebbe potuto fare tutto meglio, che il gioco era già serio allora. O almeno questo succede a chi, come me, non ha avuto figli, a chi si impegna a essere ancora figlio e basta."
È la storia di Ladislao che scopre che cosa sia l'amore con la sua professoressa di inglese Joan, fino a perderla, fino a farsi male, in modo irreversibile, senza alcuna possibilità di guarigione: "È questo l’amore? Ma è davvero possibile cominciare ad amare così presto e senza alcuno sforzo? Cinque o sei incontri sono più che sufficienti a far vacillare quel che c’era prima? Quel che c’era era troppo debole o è la scossa ad avere una potenza colossale? Entrambe le cose? Nessuna delle due?"
È la storia di Andrea e Humbertito che non riescono a vedere il confine tra l'amore e la violenza: e precipitano anche loro verso il baratro, senza alcuna possibilità di ritorno. "Questo forse ti sembrerà stupido, ma sono i nostri genitori che ci preparano a credere se meritiamo di essere amati o meno, a tollerare o no gli abusi, ad aspettarci molto o poco dalla vita. Questa è l’eredità più grande che ci lasciano. E la maggior parte dei genitori lo fa malissimo. Per questo il mondo fa schifo."
Un solo atto di violenza e non ci si riprende più: "Questa è una di quelle cose che ti cambiano la vita, se ti scopano contro la tua volontà anche trent’anni dopo ne patirai le conseguenze. Siamo così fragili, così vulnerabili. Un solo episodio, pochi minuti, può bastare a rovinarci per sempre."
Bastano ventuno anni per riportare alla memoria tutto quello che si è vissuto in quell'ultimo anno di scuola? Bastano davvero ventuno anni per ripulirsi la coscienza e alleggerirsela dal senso di colpa? "Il senso di colpa è fatto degli stessi rifiuti di cui è fatta la memoria, nessuna delle due cose serve a nulla."
Oppure al di là di tutto, quel futuro sognato è solo un'illusione pesante che schiaccerà quel presente fino a spalancare le porte della disperazione? "Al di là delle gioie inaspettate e della gratitudine finale, al di là delle silenziose promesse di nuovi amori, al di là di tutte le bugie e perfino al di là dei ricordi e della loro risonanza e della loro luce, Ladislao non sa che la tristezza e la depressione diventeranno costanti in lui e che i fantasmi non se ne andranno e anzi diventeranno sempre più fastidiosi. Non sa che, motivato da quella somma incerta di sensazioni, un anno e mezzo prima di compiere quarant’anni deciderà di abbandonare per sempre la realtà saltando dall’undicesimo piano."
Ventuno anni fa, i protagonisti avevano diciassette anni. Sono l'ultima generazione cresciuta senza internet. Quella degli anni '80-'90. Sono la generazione della nostalgia, su cui speculano le grandi multinazionali.
Hanno solo diciassette anni. Hanno subito un trauma. Ma la loro età non permette loro di non guardare con ottimismo al futuro. Sarà la vita che poi fornirà loro, quando avranno quarant'anni, una lente per voltarsi indietro, sulle ceneri di quel passato da cui non sono più risorti: "Ha diciassette anni e le cose sono andate male in quegli ultimi giorni ma forse inizieranno a migliorare. Come miglioreranno non lo sa ma la cosa più importante è quella possibilità."
Tra 3 e 4 stelle: mi hanno dato fastidio, un po', i termini in inglese, sparsi qui e là nel testo. Non mi riferisco ovviamente ai versi delle canzoni citate.
Esta novela explora la adolescencia como un territorio habitado por las preguntas más decisivas y las más hermosas. Es una mirada que revisa y cuestiona tanto el pasado como la memoria, buscando cada una de las partes cuya suma será una tragedia. Además de contar una historia llena de imágenes hermosas y momentos dolorosos, Hasbún maneja el lenguaje con una precisión y una claridad llenas de sensibilidad poética. Da gusto leerlo.
Esta novela también es una invitación a la (re)lectura de los cuentos en los que aparecen estos mismos personajes.
Gli anni invisibili" sono quel tempo di transizione tra la giovinezza e l'età adulta in cui spesso non ci rendiamo conto di ciò che stiamo facendo. Per impulsività, per la voglia di bruciare le tappe, per incoscienza....
Questo di Rodrigo Hasbún è un romanzo generazionale sulle incognite e le incertezze del passaggio all'età matura, fatta di scelte e priorità, errori e traguardi. Ventuno anni dopo, due amici Andrea e Julián si incontrano in un bar di Houston per rivedere il loro passato entrando in una conversazione implacabile sulla verità di quel tempo. Cosa non sappiamo di coloro che conosciamo? Il personaggio onnipresente invisibile quasi cristallizzato nella narrazione, è la distanza, quella tra la Cochabamba degli anni Novanta e la Houston attuale, tra l’adolescenza e l’età adulta ancora confusa, tra la finzione e la realtà. La distanza è come uno sguardo penetrante che permette di vedere le cose da lontano e meglio, è la testimonianza che le parole sopravvivono alla prova del tempo.
“È come quando arrivi in una città nuova. I primi giorni ti accontenti dell’ovvio, di quello che vedono tutti gli altri, di quello che dicono valga la pena di vedere. Nella vita ci metti quarant’anni a tralasciare le apparenze. Quarant’anni è il tempo che ci metti a toglierti la benda, ad aprire finalmente gli occhi”
Muy buena novela de Rodrigo Hasbún, ya me enamoré de su escritura en su anterior gran novela; Los Afectos. Ahora en Los Años Invisibles nos lleva a la Cochabamba de los años 90, a las vidas de compañeros de curso de un colegio de ricos donde el desenfreno, la pérdida de la inocencia y el grunge de fondo teje una muy buena historia.
Quando GR inserirà i mezzi voti, non sarà mai troppo tardi. Questo ad esempio è un 3 ½ pieno. Soprattutto se dopo tre pagine leggo i nomi di Cassavetes, Jarmusch, Wong Kar-Wai e Mekas, nonché Spielberg (anche se non proprio in senso positivo). La storia è su due livelli temporali diversi, ma è molto coesa e fa perno su un avvenimento nella vita di un gruppo di ragazzi di Cochabamba (Bolivia) che viene svelato solo alla fine e che tiene il lettore praticamente incollato dalla prima all'ultima pagina (l'ho divorato in mezza giornata, merito anche di una scrittura molto asciutta). Nel passato i protagonisti sono sedicenni alle prese con i primi amori, le prime delusioni, i primi problemi veri, ma con un'idea di futuro ricca di speranze e progetti. Nel presente i protagonisti sono quarantenni che inevitabilmente fanno un primo bilancio della propria esistenza, condizionata da quell'avvenimento che li ha marchiati per sempre. Non bisogna avere paura del futuro, dice "la ragazza che nel libro si chiama Andrea", piuttosto del passato. E a fine lettura anche io mi sono guardato indietro e nonostante non abbia (fortunatamente) trovato alcun momento così cruciale e violento come quello descritto nel libro, ho constatato con amarezza di avere come tutti a questa età qualche piccolo rimpianto.
Con «Gli anni invisibili», Rodrigo Hasbún risveglia il passato, che è quello dei suoi personaggi, ma anche di tutti noi, e lo fa alternando una certa inconsapevolezza che non sta mai ferma un attimo, così come la sua scrittura, alla presa di coscienza che inevitabilmente arriva solo anni dopo, per insegnarci che di quel tempo svanito, in realtà, restano le cicatrici.
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Di questo libro mi è rimasto impresso il meccanismo narrativo: il disvelamento progressivo di una tragedia passata che aleggia ineluttabile nel tono malinconico della narrazione, come un viaggio a ritroso verso una catarsi rimandata troppo a lungo. Un rewind esistenziale che non mi è dispiaciuto affatto, anzi era da un po' che non leggevo un sudamericano capace di non sprofondarmi nella noia di un'atmosfera anacronistica tutt'altro che affascinante!
La contemporaneità dell'opera di Rodrigo Hasbun si riflette anche nella lingua parlata dai personaggi che, infarcita di termini inglesi riportati anche in traduzione, ci immerge nell'ambiente in cui vivono questi ragazzi di buona famiglia che sembrano sfuggire alle miserie del proprio paese, proiettandosi idealmente verso gli Stati Uniti.
4,5 ⭐️ Vite giovani che respirano, che pulsano, che si mescolano e si legano quelle raccontate da Rodrigo Hasbún; gli anni invisibili, quelli dell’adolescenza, dove tutte le strade sembrano aperte, dove tutto sembra possibile, dove la spensieratezza e le sfrenate passioni scorrono nelle vene come linfa vitale. Pagina dopo pagina, la curiosità di sapere quanto terribile è stato quel mese di marzo trascina il lettore fino all’ultimo giro, in cui la verità viene svelata con una forza indescrivibile. Una prosa ammaliante quella di Hasbún, la sua limpidezza è perfezione.
La scrittura di Hasbún rende questo romanzo dalla trama se vogliamo abbastanza semplice, in una bella storia. Che si apre in Bolivia, dove nell'arco di un mese succede qualcosa che sconvolge la vita di alcuni adolescenti. Ladislao, timido cinefilo col sogno di diventare un grande regista (sta lavorando al video musicale del gruppo dell'amico Julián), si innamora della sua prof. di inglese. Andrea, invece, si reca dal dottor Angulo: ha scoperto di essere incinta e vuole abortire mentre i genitori non sono nel Paese. Venti anni dopo uno scrittore che sta lavorando a un romanzo sulla sua adolescenza, incontra la donna che nel romanzo ha chiamato Andrea in quel di Houston, Stati Uniti. Lo scopo, almeno quello dichiarato, è cercare delle risposte a quello che è success veramente alle vite reali di coloro che nel romanzo sono destinati a diventare personaggi. E che non hanno avuto un finale felice. Non nel romanzo, meno che meno nella vita reale. La nostalgia canaglia per quello che è l'adolescenza e per quei giorni che saranno per sempre importanti, anche se quando sei un ragazzo non lo sai.
2 días y 155 páginas después. El primer libro que leo del autor y que encontré casi por accidente un lugar que vende libros (de remate), cómo había leído otro de la serie que promociona Alfaguara, pensé que sería una buena opción. Y claro que lo fue, es esos libros de los que no esperas mucho y terminan por asombrarte. Y ha sido de mis favoritos este año, poco a poco, se va pavimentando el camino de los mejores de este año.
Es raro que una trama me emocione o me sorprenda, pero aún se pueden leer cosas diferentes, escribir una novela dentro de una novela puede ser retador, pero el autor acá lo hace excelente. Jugando con espacios y tiempos. Tuve una gran conexión, porque conocí Cochabamba (muy rápido) y eso siempre ayuda a darle más realidad. Es una cara desconocida y contra todo pronóstico de Bolivia.
Haciendo una pequeña introspección creo que disfruto muchísimo el realismo de Latinoamérica, es probablemente mi género favorito sobre muchos otros. Ame esta historia y me la acabé en dos días. Ahora quiero leer más del autor.
La clase alta, al igual que el proletariado, es igual en todas partes del mundo. Y aunque el escenario de esta novela es Cochabamba, Houston, en donde un escritor rememora su pasado a través de una conversación a raíz de la novela que escribe sobre su adolescencia; puede ser cualquier parte del mundo y latinoamericana. Un accidente reúne a todas y todos sus personajes, para que vayan cavilando a cada momento en sus vidas; la memoria colectiva en torno a un hecho. Rodrigo Hasbún encadena su relato en torno a retazos de recuerdos, diálogos punzantes y una narrativa que nos conmueve a pesar de la historia que nos irá develando al avanzar en su lectura. Son de esas lecturas con las cuales puedes conectar con una anécdota, una canción, un hecho en particular que nos transporta a las mismas vivencias de su protagonista. Este escritor boliviano nos deja rememorando nuestro pasado y querer rescatar esa memoria que de vez en cuando se asoma por la ventana para recordarnos quienes somos. Una lectura que te atrapara desde su primera página.
Novela corta del boliviano Hasbún. El autor logra en pocas páginas generar tensión y que nos preocupemos por la historia de unos chicos de Cochabamba, que como todos los adolescentes, quieren encontrar un espacio en este mundo.
De las mejores historias que leí este año Me dejó enganchadisima desde el principio. Sobre todo "el chismesito" ☕ Es la historia de unos adolescentes de 17 años relatada a partir de una novela escrita por uno de los personajes muchos años después. A "la que llama Andrea" esta pasando por una situación complicada en su familia, su relación y su vida personal, y "el que llama Ladislao" se enamoró de una maestra. Estos dos acontecimientos resumen todo el desarrollo de la historia la cual incluye amigos, música, alcohol, abuso, violencia, primeras veces, y un sin fin de situaciones que podría titular como ADOLESCENCIA. Mil millones de veces recomendado. Y sobre todo me hubiera gustado leerlo antes que "15" del mismo autor, ya que varios personajes regresan en este su último libro publicado y ahora todo tiene un sentido diferente. Lo cual me da pie para releerlo 😊 Amé, amé, amé 💕
Recomendación de un gran amigo. Primer encuentro con un autor que me intriga y que, por este libro, tengo ganas de seguir leyendo. Cinematográfico y humano.
Rodrigo Hasbún convierte la adolescencia en un territorio de memoria quebrada, deseo incierto y silenciosa tragedia. Ambientada en la Cochabamba de los años noventa, la novela sigue a un grupo de jóvenes de clase alta atrapados entre el privilegio y el vacío, en una época marcada por el desenfreno y la pérdida de la inocencia. A través de personajes como (la que llamo) Andrea y (el que llamo) Ladislao, el autor retrata con agudeza cómo las primeras fisuras vitales se convierten en cicatrices duraderas, sin necesidad de caer en el dramatismo ni en la nostalgia fácil.
Narrada a partir de fragmentos y con saltos temporales, la estructura refleja la naturaleza discontinua de la memoria. Hasbún entrelaza escenas aparentemente menores, diálogos cargados de tensión y momentos suspendidos que, juntos, arman una historia íntima y conmovedora. Ejemplos como la escena futura de las hermanas con la pistola revelan el impacto a largo plazo de esos años y muestran la destreza del autor para manejar los indicios y los tiempos narrativos sin perder coherencia emocional.
El lenguaje de Hasbún es preciso y contenido. Cada frase parece medida con la sensibilidad de quien sabe que lo más importante a veces se sugiere más que se dice. Esa economía expresiva permite una conexión profunda con el lector, que encuentra en el relato no solo una historia ajena, sino un espejo íntimo: una anécdota, una canción, un recuerdo capaz de resucitar emociones dormidas.
Aunque el final puede resultar abrupto, para que al autor le urge cerrar la historia, responde a la lógica de un relato que trabaja desde lo incompleto. Hasbún busca abrir preguntas y dejar huellas, dejar un espacio para la propia reflexión. Los años invisibles no solo se lee: se recuerda, se escucha como un eco de algo vivido. Al acabarlo, invita a releer los otros libros donde reaparecen sus personajes, ampliando un universo literario hecho de gestos mínimos y revelaciones silenciosas.
La abrí para chequear el primer par de párrafos y ver si me jalaba y me la terminé leyendo de un tirón durante toda la mañana. El clímax es en realidad algo anticlimático y aún no siento por qué era importante la trama de Ladislao ni cómo se justifica toda la anticipación trágica que estructura las partes futuras, pero no quita que me haya enganchado con fuerza y que ello me haya hecho disculpar como sin darme cuenta los defectos mencionados (habría que añadir algunos diálogos deslucidos que no están a la altura de los momentos más logrados, habría que añadir la rapidez con que transcurre todo en una novela que tenía para ser el doble de larga). Debe ser la frescura del estilo de Hasbún, el dinamismo ligero, pero no por ello carente de ambición. Resulta bastante agradable y da en suma una historia cercana, incluso con su retrato melodramático de la adolescencia de por medio. Muy recomendable.
I was sold this book as "way better than Ohio" and it wasn't. This was just like every other book with a similar plot. It's too short and despite being set in Bolivia, it could have been set anywhere else without changing anything in the plot. If you want to read about high school and memories stick with Ohio.
Es un libro muy fuerte, pero en mi opinión, necesario. Así sea para sensibilizar ante eventos muy violentos, traumáticos, y también para quitarnos la venda de tantas cosas que normalízanos aún en nuestra sociedad hoy día y no debería ser. El libro es una invitación a no dejar pasar los años de manera invisible. Si bien no podemos controlar el impacto de la vida y decisiones de otros sobre la propia, tenemos cierto margen para luchar por construir a pesar de, algo que haga sentido.
Gran libro, con emociones vibrantes. Lástima que el autor usa los mismos personajes que ya ha usado en varios cuentos, lo cual me parece repetitivo y hasta ciclado. De no ser por eso le hubiera dado 5 estrellas.
Me encantó el cambio de ritmo en la narración, el final donde todas las historias se encuentran y te hacen volar la cabeza los distintos cierres. Excelente libro.
Libro que me dio mucho que pensar en mi adolescencia, en lo que desaparece porque no nos atrevemos a contar, lo que se vuelve invisible porque demasiado doloroso, lo que queda justo bajo piel y va aflorando en los momentos más inesperado.
Non è possibile imparare cosa sia la vita prima dei 40 anni, questo è il tempo che ci mettiamo a vedere la vita per com'è davvero. Un racconto della forza delle donne e della debolezza degli uomini...
Me gustó mucho. Al principio se me hizo como Poeta Chileno, pero la verdad es que es bien distinto. Se me hace un poco extraño cómo el autor mete la crítica social, pero tal vez tenga que ver con hasta dónde puede llegar ese discurso en un colegio cuico.
Chi sono gli adulti che si incontrano vent’anni dopo i fatti di quel marzo lontano? Quanta strada hanno dovuto percorrere per lasciarsi alle spalle la Bolivia, ammesso che abbiano potuto farlo per davvero?
Non sappiamo nemmeno i loro veri nomi, solo quelli usati nella finzione narrativa, nel romanzo che uno dei due sta cercando di scrivere per scacciare via i fantasmi del passato.
Ventun anni o cento o mille, non fa differenza: tutto ciò che entra a far parte del passato diventa irreale, una menzogna che alcuni a volte condividono. Le persone che eravamo laggiù somigliano poco alle persone che siamo qui oggi. Le persone che eravamo laggiù non avrebbero mai immaginato le persone che siamo qui oggi.
Ma se, appunto, di finzione si tratta, di menzogna che diventa distorsione, non sappiamo nemmeno quanto si discosti dalla realtà, quanto sia amplificata.
Anche perché, quando si è così giovani, pieni di vita e di futuro davanti, non sono già di per sé le emozioni amplificate quasi fino a scoppiare? A sfuggire al controllo? Non è tutto più vivido, più grande? Più doloroso?
Ne “Gli anni invisibili” quello che è successo allora si mescola a ciò che si racconta nel presente. Punto focale, sul quale l’autore si sofferma, è che quello che siamo oggi è inevitabilmente una conseguenza di quello che abbiamo vissuto, provato, sentito, nel nostro passato. Possiamo tentare di togliere delle macchie ma non le cicatrici che segnano la nostra pelle.
Segni che non vanno via, ed è per questo motivo che “quella che nel libro chiamo Andrea” non si toglie mai gli occhiali da sole. Domande che fanno rimanere svegli, ed è per questo che l’uomo che nel libro viene chiamato Ladislao non fa altro che provare a distanziarsene, sia a livello fisico che emotivo, convinto che metterle nero su bianco possa bastare.
Mi hanno colpito in particolare alcune pagine de “Gli anni invisibili“, verso la fine, quando quello che viene chiamato Ladislao individua un momento preciso, un punto di svolta, da cui partono tutti gli interrogativi. Gli “e se” che tanto logorano, non cambiando mai il risultato. Quel ragazzo era ignaro di tutto quello che sarebbe successo, convinto che la vita avrebbe imboccato una precisa strada.
Quanti di noi possono dire di aver realizzato ciò che sognavano da adolescenti? Che il percorso che eravamo convinti di percorrere, sia stato lo stesso su cui poi si sono davvero mossi i nostri passi?
Forse non è nemmeno giusto individuare un punto di svolta, uno soltanto, ma di certo ognuno di noi avrà un momento a cui tornare con la mente per ripensare a come sono andate le cose da quell’istante in avanti.
“Gli anni invisibili” di Rodrigo Hasbún è un romanzo asciutto e spietato, che non fa sconti ma che, alla fine, concede uno spiraglio di speranza. Perché il momento per ricominciare non si sa mai quando arriverà, ma conviene non farselo scappare.
Así es como Hasbún te lleva por este relato de adolescencia íntimo y que se mira desde los propios personajes en la adultez. De cierta forma podemos estar ahí con cada uno de ellos, en sus emociones y en las acciones que arrastran al suceso del que nos tiene colgados con un gran sentido de la tensión.