Un bene al mondo racconta di un paese sotto una montagna, a pochi chilometri da un confine misterioso. Un paese come gli altri: ha poche strade, un passaggio a livello che lo divide, e una ferrovia per pensare di partire. Nel paese c'è una casa. Dentro c'è un bambino che ha un dolore per amico. Lo accompagna a scuola, corre nei boschi insieme a lui, lo scorta fin dove l'infanzia resta indietro. E ci sono una madre e un padre che, come tutti i genitori, sperano che la vita dei figli sia migliore della loro, divisi tra l'istinto a proteggerli e quello opposto, di pretendere da loro una specie di risarcimento. Ma nel paese, soprattutto, c'è una bambina sottile. Vive dall'altra parte della ferrovia, ed è lei che si prende cura del bambino, lei che ne custodisce le parole. È lei che gli fa battere il cuore, che per prima accarezza il suo dolore. Un bene al mondo è una storia d'amore e di crescita di un'intensità e di una poesia travolgenti. È una storia universale, perché racconta quanto può essere preziosa la fragilità se non la rifiutiamo. Basta cercarsi su una mappa, disseminare parole per trovarsi, provare altre strade e magari perdersi di nuovo.
Scrittore e giornalista italiano. Autore di romanzi e racconti, ma anche di reportage, opere teatrali e traduzioni di opere dal francese e dall'inglese. Nel 2002 pubblica il suo primo romanzo, Morto un Papa. Nel 2008 vince il Premio Super Mondello, il Premio Recanati e il Premio Brancati con il romanzo Se consideri le colpe . Nel 2011 vince il Premio Bagutta con il romanzo Ogni promessa.
È un libro scritto con parole fatte di purezza. Un libro fatto di emozioni, che si legge con emozione.
È un libro che ricorda le incisioni rupestri: semplici, essenziali, eppure complesse e piene di mistero (perfetta la bella tavola di Mara Cerri in copertina). Un libro all’apparenza bidimensionale, pieno di profondità (anche in questo caso è perfetta la bella tavola di Mara Cerri in copertina).
Mara Cerri e Magda Guidi: Via Curiel.
È una storia di come si sopravvive all’infanzia più che una storia di formazione. O iniziazione. È una storia che sembra una favola. Ma non lo è, anche se si nutre di simboli, archetipi, allegorie, metafore.
Mara Cerri e Magda Guidi: Via Curiel.
È una storia che parla di un piccolo paese. E parla del mondo intero. È una storia costruita con parole fatte di solo ventuno lettere, ma sembrano di più, perché le parole appaiono infinite, anche se Bajani come un mantra ripete spesso le stesse.
Mara Cerri e Magda Guidi: Via Curiel.
È una storia che trasmette il suono di qualcuno che cerca di non far rumore. È la storia di un dolore, che è il dolore di tutti. La storia del dolore di un bambino, che è il dolore di tutti i bambini, e di tutti gli adulti.
Il dolore ha le sembianze di un animale domestico: quattro zampe, muso, coda, si direbbe un cane. Può essere docile o rabbioso, spelacchiato o folto, più grande o più piccolo, ubbidiente al guinzaglio o recalcitrante. Tutti hanno un dolore, tranne la madre, che lo ha perso, ed è rimasta con gli occhi vuoti, incapace di emozione. Il cane dolore non ha colore: o meglio, il suo colore è assenza di colore.
Mara Cerri e Magda Guidi: Via Curiel.
Parole di stupore, meraviglia, di silenzio e indicibile. Parole gentili.
Un giorno sarai abbastanza grande da ricominciare a leggere le favole. C.S. Lewis.
Sembra una favola, ma in realtà non è così. È un libro sul dolore e sulla paura. Scrive Emanuele Trevi nell’introduzione, a proposito di Andrea Bajani e del suo Un bene al mondo, ripubblicato dopo sei anni da Feltrinelli (la prima edizione è di Einaudi):
[Bajani] “Aveva in mente un bambino, un bambino che ha per compagno il suo dolore. Noi diciamo che il dolore “si cova”. Ebbene, allora il dolore si può anche allevare: come fosse un cagnolino fedele, un compagno di vita inseparabile. Questa del dolore/cane è una bella metafora, abbastanza duttile da permettere significative variazioni (non tutti i dolori sono adorabili come quello del bambino, proprio come esistono cagnolini inoffensivi e cagnacci feroci). Ma è una metafora stramba, e veramente fiabesca, perché non è più solo una cosa che designa meccanicamente un’altra. O meglio, la prima volta che Bajani la usa, funziona come una normalissima metafora, che dovrebbe durare il tempo di un lampo, rivelare qualcosa e poi sparire.”
Questo libro così poetico e delicato mi ha profondamente commossa. Parla a ciascuno di noi, parla al nostro dolore che, pur sembrando sopito, è sempre attivo
“Se fosse una favola per bambini, dovrei farla finire con una vita che inizia. Finirebbe cioè con un nuovo C’era una volta. Ci sarebbe un letto d’ospedale, e accanto un dottore e degli infermieri. Sopra il lettino ci sarebbe una donna che soffia e che grida, che grida e che soffia. La donna sarebbe forse la stessa che stava appostata dietro la finestra a guardare la neve, ma forse no, e d’altra parte non è una cosa che possiamo sapere. Un passo più in là ci sarebbe l’uomo e l’uomo le terrebbe la mano soffiando ogni volta che soffia la donna. Poco oltre, dietro un vetro, ci sarebbero il dolore dell’uomo e quello della donna. Agiterebbero entrambi la coda e guarderebbero quella scena appannando il vetro con il respiro. Se questa fosse una favola per bambini, a un certo punto, anche se non del tutto inaspettato, farebbe capolino un bambino. Sarebbe mattina presto, e fuori ci sarebbe una città o forse un paese. Dentro la città, dentro una stanza, piangerebbe il nuovo bambino, piangerebbe la donna sdraiata, piangerebbe l’uomo che le tiene la mano. Sarebbero tre pianti tutti diversi, ma in fondo sarebbe lo stesso. Sarebbero tutti e tre disperati, sarebbero tutti contenti. Oltre il vetro, i loro dolori guairebbero appena per non svegliare il nuovo bambino. Accadrebbe così che all’alba di un giorno qualsiasi l’uomo e la donna diventerebbero un padre e una madre, e il bambino un bambino. Farebbero tre sorrisi e sarebbero tre sorrisi diversi. Poi il bambino vedrebbe i due dolori scodinzolare accanto alla culla. Forse li troverebbe belli, forse li troverebbe brutti. Forse desidererebbe averne uno per sé e piangerebbe per questo. Forse la madre glielo darebbe per consolarlo. Forse invece lo prenderebbe in braccio e l’accarezzerebbe. Forse non penserebbe a niente, più probabilmente penserebbe ad altro. Ma certo è che se fosse una favola per bambini quello sarebbe un inizio, e questa sarebbe la fine. Ma questa non è una favola per bambini, e qui seduto al tavolo c’è un uomo che scrive. Accanto a lui c’è una finestra. Oltre la finestra c’è una città qualsiasi, come tutte le città. C’è una strada, una piazza, un bar, una chiesa, un cimitero e una ferrovia. E ci sono anche dei boschi, un fiume e delle montagne. Lungo quel fiume l’uomo ogni giorno va a camminare. Segue il corso dell’acqua e all’imbrunire torna indietro. Spesso è da solo, a volte gli corre dietro il suo dolore. È un dolore ordinario, quello dell’uomo, talmente comune che a volte qualcuno gli fischia credendo sia il suo. È un po’ spelacchiato, ha il muso di un cucciolo ma la stazza di un dolore molto più grande. A volte, purtroppo, il dolore aggredisce e l’uomo non sa mai come chiedere scusa. Per questo non sempre lo porta con sé. Per questo tutti i giorni quest’uomo si siede al tavolo, accanto alla finestra, apre un quaderno, apre una pagina nuova, e ce lo fa correre dentro.”
Ci sono stati anni in cui ho scritto un sacco di lettere non spedite. Aspetta, in realtà è un po’ più complesso di così: all’inizio vergavo lunghissime missive e le piazzavo dentro una scatola di legno che, qualche anno prima, doveva aver contenuto due bottiglie di quello buono. Chissà se era contenta, quella scatola, del suo passato di contenitore di vini pregiati e del suo presente composto da parole indirizzate e non consegnate. Non glielo ho mai chiesto.
Sulla scatola avevo scritto, con un Uniposca rosso che profumava di adolescenziale indelebilità, “Lettere non spedite”. Poi, un paio di anni dopo, con un pennarello nero ugualmente definitivo avevo corretto “non” con “mai”, è quella era diventata la scatola delle “Lettere MAI spedite”. La correzione mi aveva fatto sentire sovranamente intelligente, e un po’ triste.
Scrivevo lettere alla compagna del liceo che mi piaceva un po’ ma non volevo lo sapesse, all’allenatore della mia squadra di calcio che aveva sbagliato formazione, al prof che mi ha stampato ma mi ha fatto amare la lettura, al cantante pavanese che sembrava leggermi dentro, a un amico lontano.
Poi, inevitabilmente, l’inchiostro si è seccato, i pensieri sono diventati confidenze da scambiare al telefono o davanti a uno spitz, muscoli e ossa hanno fatto la loro parte e io ho cominciato a muovermi. Ogni tanto, mi domandavo dove fossero finite quelle parole, se si sentissero sole.
Adesso so. So che si sono mosse fra paese e città, seguendo i binari. So che si sono accucciate vicino a un dolore spelacchiato, facendogli compagnia. So che sono volate di qua e di là, attraverso finestre aperte e portoni chiusi, sfiorando tetti e balconi, piazze e chiese.
Lo so grazie a un romanzo straordinario. Lo so grazie ad Andrea Bajani, che con Un bene al mondo ha raccontato di un Amore, di molti dolori, di vere Vite con una struggente dolcezza e una coraggiosissima trasparenza.
È il mio primo libro dell’anno, e non potevo cominciare meglio.
“A volte, purtroppo, il dolore aggredisce e l’uomo non sa mai come chiedere scusa ”
Ne Un bene al Mondo, Andrea Bajani esamina e a suo modo insegna ad amare il dolore. Lo fa a attraverso una scrittura poetica, quasi fiabesca anche se fiaba non è, capace di trasportare in un altro mondo, di far dimenticare il tempo
C’è un bambino senza nome che ha un dolore – ereditato a sua volta dal padre – che lo accompagna come un cane fedele (così lo rappresenta il narratore ) attraverso tutta la sua infanzia fino all’età adulta.
Lo alleva, è "un dolore da cui non voleva mai separarsi" perché lo consola dagli attacchi del violento dolore paterno e dal vuoto emotivo della madre, che invece il suo dolore l’ha perso e adesso non prova più niente
Ë il suo compagno invisibile, che si accuccia ai suoi piedi, sta al suo fianco quando gioca al parco e lo farà fino a quando incontrerà colei che a sua volta porta con sé la sua tristezza.
Un Bene al Mondo ha una forza potente e misteriosa come quella dei sogni, e racchiude un ricco simbolismo “La sbarra del passaggio a livello si sollevava, e al di là c’era il mondo della bambina sottile. Il resto erano silenzi, parole, e i dolori che correvano nei prati.”
Il bosco il cimitero la ferrovia il passaggio a livello che divide il piccolo paese e ancora lo zainetto, le chiavi di casa, il guinzaglio, la buca delle lettere. Perché dentro “le lettere, non aveva paura il bambino e non aveva paura neppure il suo dolore.”
Un Bene al Mondo abbraccia in maniera ipnotica fantasia e realtà, luce e buio, inizio e fine alla ricerca di una possibile felicità, attaccandosi alla vita, cercando di colmarne i vuoti.
Er zijn van die boeken die je direct meezuigen in het verhaal en waarbij je baalt als je de laatste bladzijde gelezen hebt. Het hoogste goed van Andrea Bajani is er daar wat mij betreft één van! Een prachtig, ontroerend en emotioneel verhaal over een jongen en zijn verdriet. Je volgt de jongen op zijn weg door het leven, terwijl zijn verdriet niet van zijn zijde wijkt en over hem waakt. Op zich is het op een vrij afstandelijke manier geschreven, zo heeft bv niemand een naam in het boek, maar toch raakte het verhaal mij diep. Juist datgene wat niet verteld wordt maakt dit verhaal zo indrukwekkend. Je leeft mee met de jongen, met het meisje en zelfs met het verdriet. De schrijfwijze is erg prettig, het boek deed mij denken aan 7 minuten na middernacht van Patrick Ness en Het kleine meisje van meneer Linh van Philippe Claudel. Mocht je één van deze boeken met plezier gelezen hebben, dan is dit boek zeker een aanrader! Ook een groot compliment aan de vertalers van dit boek. Dit boek is zo prachtig geschreven dat het staat of valt met de vertaling.
Vreemd, maar heel bijzonder. Personages zonder naam. Iedereen heeft een verdriet en neemt dat met zich mee. Het heeft verschillende vormen. Prachtige poëtische zinnen geven je stof tot nadenken. Bijzonder, maar erg vreemd.
"Un bene al mondo" è la storia di un bambino e del suo dolore. Una storia scritta nel linguaggio semplice ma poetico delle fiabe e, come tutte le fiabe, ha una morale: dobbiamo amare il nostro dolore, prendercene cura, lasciarlo andare e tornare nella nostra vita accogliendolo con affetto, pronti ad ascoltare ciò che ha da raccontarci e a trarne insegnamento. Un dolore trascurato, rinchiuso, negato, non amato può diventare un mostro feroce e incontrollabile, pronto a ferire noi stessi e chi ci sta accanto.
Un bene al mondo è un romanzo terapeutico, una seduta di psicanalisi concentrata in un centinaio di pagine. È un libro semplice e necessario, che consiglio a tutti quelli che ogni giorno si svegliano con loro dolore accanto.
Una buona idea non basta a fare un buon libro: la bella suggestione allegorica iniziale (un mondo in cui le persone si portano in giro e devono prendersi cura del proprio dolore come di un animale domestico) è trascinata da subito senza fantasia, risultando presto didascalica e quindi stucchevole. Tre stelle solo per la citazione leopardiana del titolo P.S. Emanuele Trevi nell’introduzione non ironicamente inserisce questo libro nella stessa risma della Recherche di Proust in quanto a ispirazione: e questo è tutto quello che ho da dire sull’autoreferenzialità dell’intellighenzia romana
Een verhaal over het verdriet van de mens, ditmaal in de vorm van een hond. En in dit verhaal heeft de jongen overal zijn verdriet mee. Het is een mooi, beeldend verhaal waarbij je regelmatig tristesse en een soort van 'ontheemding' ervaart. stemt tot nadenken... https://www.vpro.nl/boeken/artikelen/...
Metafora che regge per il suo fascino per le prime dieci pagine, poi diventa ai miei occhi di una monotonia pazzesca. Mi sono annoiato tremendamente e ho faticato a portarlo a termine pur trattandosi di poche poche pagine. Uno stile stantio che vuole mantenere la semplicità di uno sguardo bambino con una ripetitività snervante. Profondamente deluso.
Sono riuscita a concluderlo perché è un libro molto breve. Se fosse stato più lungo lo avrei mollato dopo aver letto "il suo dolore" per la centesima volta in tre pagine. Volevo anche, disperatamente, cercare di capirci qualcosa in più. Non è successo. Resta la storia di traumi, paure e sofferenze ma in una sorta di chiave onirica (e molto monotona). Comprendo il potenziale ma non fa per me.
Un bene al mondo è come una canzone di sole tre note. E il fatto che le note siano solo 9 e che all’interno possa risuonare una infinita possibilità di suoni è già un mistero affascinante. Ma ci sono quei pezzi, quelle ariette con solo due, tre note, che ti dicono tutto. E che non vogliono dire di più. Perché quel tutto lo dicono profondamente. Con il tocco giusto. Con le giuste pause e i giusti silenzi. Ci sono cose così semplici da lasciare esterrefatti. Questo é l’effetto di alcune parole di questa favoletta. Ad un tratto non ci puoi credere. Ti ha toccato quella corda e pensi “ma davvero ha detto quello che ha detto? Ma davvero lo ha detto così?” Era davvero così facile creare questa immagine, questo suono? Questa musica? Balla incerto spesso poi il prosieguo. Perché è difficile danzare con la stessa leggiadria in equilibrio sempre nel medesimo filo. Ed è ancora più difficile quando al bambino ti impone di sostituire l’uomo. Perché è come se in quelle immagini, disegnate con quei tratti, un bambino con un dolore lo arrivi a concepire, un uomo con un dolore no. A meno che non sia quello rabbioso del padre. Che storia è un bene al mondo e il perché di quel titolo, lo devo ancora capire. Ma il suono candido delle parole semplici che ha utilizzato mi sono rimaste dentro, perché è come se qualcuno leggendo dentro ad un’anima pura ne declinasse i desideri. E forse un bene al mondo è la destinazione di quei desideri. Racchiude tutto quello che in fondo, senza orpelli e senza costrizioni, desideriamo e riteniamo di meritare di avere. Ecco. Vorrei essere stata Bajani per dire tutto questo a modo del suo bambino: prendere la parola “bene” farne una maniglia e abbassarla per aprire il suo mondo.
Ik heb dit boek mogen lezen voor de leesclub van Bol.com. En wat heb ik ervan genoten! Ik vind het een prachtige poëtische vertelling. De schrijfstijl die zo kunstzinnig is, de metaforische omschrijving van het verdriet, alles draagt er aan bij dat het verhaal mij diep heeft weten te raken.
“Want komma’s waren als met je ogen knipperen: ze verleenden de dingen even respijt van het aldoor bekeken worden.”
Het boekje is dun, telt 143 pagina’s. Toch is dit zeker naar mijn inziens voldoende voor het vertellen van dit verhaal. Naderhand gaf het mij het gevoel een veel dikker boek gelezen te hebben. De manier van schrijven vereist je volledige aandacht, alleen op die manier kunnen de mooie zinnen tot je door dringen. Je vertellen wat ze te vertellen hebben.
“Tegenover hem produceerde zijn vader iets als een glimlach. De jongen liet die op de grond vallen, in de hoop dat hij in duizend stukjes zou breken.”
Het hoogste goed is een aanrader voor lezers die houden van een mooie vertelling met inhoudt. Eén waarbij je na gaat denken, tijdens en na het lezen. Tijd neemt om datgene wat je gelezen hebt te laten zakken.
“Want zelfs een woord houdt op met leven als het niemand heeft om iets tegen te zeggen.”
Un bambino e il suo dolore vivono in un paesino di montagna vicino al confine di stato. Sono indivisibili. Il dolore lo segue e lo accompagna sempre come un cane fedele. Un romanzo che narra la solitudine, la paura, l'infelicità familiare attraverso gli occhi del piccolo protagonista che, suo malgrado, cerca di affrontare la vita con timida rassegnazione ma anche con coraggio. Sarà sua compagna per un breve periodo la bambina sottile, anche lei sfortunata e con il suo carico di dolore. Un romanzo profondamente metaforico e a tratti poetico che scava dentro le nostre ferite e che che ci ricorda che bambino non fa rima né con spensieratezza né con ingenua e assoluta felicità. Particolare ma profondo.
"Un bene al mondo" di Andrea Bajani Questa non è una favola per bambini, come scrive l'autore. Questa è la storia di ognuno di noi e del proprio dolore. Un dolore che può essere dolce, timido, mansueto, indispensabile. Un dolore che può diventare feroce, distruttivo, incontrollabile. Le parole di questo libro, prima di arrivare al cervello, arrivano al cuore e lo fanno battere più forte, arrivano allo stomaco e lo stringono in una morsa, continuano a rimbalzare, a rincorrersi, ad assumere significati sempre diversi e sempre uguali. E' un libro bellissimo.
noioso. super ripetitivo. sì, ho capito l'allegria, ma non si possono basare così tante pagine attorno ad una medesima metafora che smette di essere interessante dopo la quinta pagina e diventa ridondante. non sono riuscita a finirlo.
Se questa fosse una favola inizierei dicendo C’era una volta una bambina che leggendo questo libro si accorse di aver trovato pezzi di un puzzle che già conosceva ma che non ricordava più. E che il bambino di questa storia con il suo dolore come compagno fedele, sarebbe stato l’amico della bambina e allo stesso tempo la bambina stessa. Gli direi che anche io mi ero presa il dolore del mio papà e alla bambina dal dolore spelacchiato le dedicherei poesie come il bambino ha fatto, perché anche io so cosa significa avere un papà nel cimitero. Se questa fosse una favola, questo libro sarebbe l’aiutante magico della bambina che sono, che mi avrebbe accompagnato in questo dolore in un tempo indefinito, oltre l’inizio e la fine di questa lettura. Ma questa non è una favola e quello che posso dire è riduttivo difronte la grandezza di quest’opera.
È un libro magico perché i simbolismi si incastrano dentro ma non trovano sempre un nodo da sciogliere, non sempre riescono ad essere spiegati nel modo in cui racconteremo di una notizia del giorno. E questo è un grande talento, perché l’autore ha scritto con il linguaggio del dolore e dell’amore, e se la vita di ognuno potesse raccontarsi lo farebbe quasi sicuramente in questa poetica. Questo libro è un viaggio nella vita di una persona tra tante, di cui mai conosceremo il nome, perché quel bambino e quella bambina erano tutti ed erano noi. Sono tutti e sono noi. Perché il dolore viaggia e ciò che siamo stati non va mai via, ci rincontra nei sogni e ci porta nei paesaggi che abbiamo visitato. Perché il dolore è fedele ed è testimonianza d’amore e per questo, questo dolore assomiglia ad un cane. Scodinzola, gioca, si accuccia, aspetta che da sotto al tavolo noi gli diamo pezzi di cibo, può ringhiare e graffiare e anche attaccare violentemente, perché i cani amano senza chiedere nulla in cambio, amano incondizionatamente e senza limiti, e così il nostro dolore ama, dalla parte più profonda di noi, come il bambino ha fatto, ci prende per mano e ci porta negli abissi e nei nostri abissi interiori troviamo sempre qualche perla.
Questo libro è una perla speciale e consiglierei a chiunque di regalarselo e goderselo. Una volta terminato ero piena e leggera, commossa, triste e felice. E sicuramente profondamente ma profondamente grata. Lo custodirò nel mio cuore.
Una favola cupa, che in realtà è la vita. In questa storia un bambino affronta ogni giorno, insieme al suo dolore, che è descritto come fosse una bestia da accudire e da tenere a bada. Con lui la bestia cresce, impara, conosce persone che saranno il sostegno per la convivenza e la sopportazione della vita. Secondo il pensiero del bambino, solo senza cedere mai allo sconforto possiamo sopravvivere e convivere con quello che è una parte di noi. Il dolore è parte del nostro essere, non esisterebbe la vita senza di lui, a volte anche quello degli altri viene a farci visita e la condivisione può alleviare la sofferenza. Bello questo libro, ha una cadenza incessante, è lento e inesorabile. Affascina questa delicata cattiveria che è il dolore che ognuno ha. Mancano i nomi dei personaggi, così come una collocazione spazio temporale, ma tutto è avvolto da una vena di tristezza vivida. L'inizio sorprende, poi ci si abitua. Più volte ho riletto alcune frasi perché possono assumere più significati. Un libro che mi ha colpito per le sue descrizioni del dolore come compagno, per come viene rappresentato, per l'epilogo che non lo cancella mai, e l’unica consolazione è uno stato di attenuazione del male. "Il dolore del bambino sapeva bene che un dolore senza padrone è solo uno spreco nel mondo. �� una nuvola che non si svuota di pioggia, è un pensiero che non pensa nessuno, una bicicletta legata a un palo per sempre."
Ho ascoltato questo libro letto da Michele Bravi e la sua dolce voce lo ha reso ancora più intenso ed emozionante. Il mio dolore non è mansueto ma io me lo porto dietro comunque e lo faccio tacere ogni giorno litigandoci e terminando le mie energie . Da oggi proverò ad accudirlo e imparare da lui a vivere, ad essere parte del suo mondo come lui lo è del mio!
“A volte, purtroppo, il dolore aggredisce e l’uomo non sa mai come chiedere scusa. Per questo non sempre lo porta con sé. Per questo tutti i giorni quest’uomo si siede al tavolo, accanto alla finestra, apre un quaderno, apre una pagina nuova, e ce lo fa correre dentro.”
La delicatezza con cui Bajani racconta la convivenza di ognuno con il proprio dolore è disarmante. Ci si ritrova immobili, indifesi e fragili davanti al bagaglio di ferite che ciascuno porta con sé ogni giorno, consapevolmente o meno. Non ci sono parole per descrivere questo libro, l'impressione è che le abbia usate tutte l'autore. È il primo libro che ho letto nel 2023 e l'ho concluso con le lacrime agli occhi. L'audiolibro su Storytel, a cui ha prestato la voce Michele Bravi, è una chicca che consiglio.
Un libro poco conosciuto che meriterebbe, da un lato, una cassa di risonanza maggiore — dall'altro, una creatura delicata, con il naso umido e gli occhi liquidi e curiosi, che forse non è così attrezzata per correre fuori nel mondo. Una storia, come dice Emanuele Trevi nell'introduzione, destinata a essere eterna, tenera e spietata, un Barone Rampante ma con le zampe, la storia dei nostri dolori di carta e di cuore, misteriosa e segreta e forse così elementare da poter essere vista solo con gli occhi di un bambino.
Ho avuto la sensazione che fosse troppo lungo pur essendo breve. La metafora del cane dolore perde tutta la sua potenza per la quantità esasperante di volte in cui viene ripetuta. Ci sono passaggi molto toccanti e poetici, ma la sensazione che ho avuto io nel leggerlo è quella di trovarsi ad avere a che fare con un potenziale non esplorato e castrato dalle ripetizioni che, se fino ad un certo punto fungono benissimo nel loro rappresentare la monotonia e la staticità del paese, diventano veramente faticose da reggere. Poteva essere un bellissimo racconto breve.
Ho trovato questo libro finanche più bello ed emozionante de "L'anniversario", una meravigliosa "favola per adulti" dallo stile magico ed evocativo. La metafora del dolore / cane è gestita con consistenza e originalità, e spiega con parole dolci scenari altrimenti indigeribili per crudeltà. Mi piace davvero come il tutto sia mantenuto in questo registro sognante da favola, ma chiaramente rivolto agli adulti. Colpisce molto vicino casa e mi ha emozionato parecchio. Non posso che consigliarlo a tutti coloro i quali si interessino alla emotività di chi è ferito, del suo punto di vista psicologico, e della vita, terrificante, di una provincia che è il mondo, piccolissimo e asfissiante, di molti di noi.
Un bene al mondo è una fiaba per adulti, breve e intensa, che racconta il dolore come una presenza fedele con cui imparare a convivere. Bajani usa una scrittura poetica e delicata, capace di rendere leggeri anche temi difficili come la depressione, la fragilità e le ferite familiari.
La storia del bambino, del suo dolore e dell’incontro con la “bambina sottile” ha un valore universale e parla a tutti, mostrando come la vulnerabilità possa diventare una risorsa.
Un libro toccante e ben scritto, che resta dentro e invita ad accettare il proprio dolore senza vergogna.
Il dolore come amicizia, il dolore per leggere le trame di un mondo piccolo. Ho capito solo da pochi giorni che un dolore costante può, non solo renderti più forti, ma rendere ridicole delle situazioni per cui prima avresti sofferto. Come potrei definire il dolore? Il dolore è una specie di armatura rivestita di spine all'interno e che sembra essere indistruttibile all'esterno. Non ho ancora finito il libro,dopo l'ultima pagina, scriverò ancora.
Il dolore non è un cane da ammaestrare con cui conviverci nelle varie fasi della vita. Il dolore ha radici profonde dentro di te e non lo potrai mai trattare come un cane. Devi imparare a conviverci, a fare in modo che le sue radici profonde si integrino profondamente con il tuo essere, facendone parte esso stesso. Esercizio stilistico ben condotto all’inizio, poi ridondante e ripetitivo. Va letto per l’idea di base, che comunque non condivido. Libro freddo.