In alcune vacanze basta una settimana per memorizzare le espressioni più frequenti, imparare a dire correttamente "Grazie" e "Buongiorno", o addirittura arrischiarsi in una breve conversazione. In altre, le parole si aggrovigliano in oscuri ghirigori, lasciandoci smarriti e incapaci di proferire alcun suono. È questo l'effetto che suscita un primo confronto con l'alfabeto islandese. Composto di trentadue lettere, in buona parte simili alle nostre, si differenzia per le impronunciabili ð, Þ e la æ o l'assenza della c, la w e la q, e quella contestatissima della z, esclusa dall'alfabeto con una legge nel 1973. Come se non bastasse, questo sciame di grafemi si coagula in lunghissime espressioni intellegibili e declinabili secondo complessi casi grammaticali. Un incubo per qualsiasi turista, ma anche per studenti volenterosi come il giornalista Brendan Glacken, che nel saggio La terribile lingua islandese «La gente decide di imparare l'islandese per ragioni diverse, la maggior parte delle quali altamente discutibili». Per Leonardo Piccione confrontarsi con l'islandese è stata una necessità. Arrivato sull'isola per un breve viaggio, è stato affascinato dai panorami, dalla lentezza del tempo, dalle nuvole veloci al punto da trasformarla in sua dimora elettiva. In questa insolita esplorazione, la lingua, i suoi proverbi, le vertiginose costruzioni sintattiche e le bizzarre scelte onomastiche si riflettono nella letteratura, nella visione del mondo e nelle abitudini quotidiane degli islandesi, diventando l'ago magnetico da seguire per orientarsi tra i vulcani e i ghiacci di uno dei paesi più a nord del pianeta.
Che ritratto meraviglioso dell’Islanda. Quando ho iniziato a leggere questo libro, non avevo assolutamente idea del mondo che avrei scoperto. Mi aspettavo un’analisi linguistica di come se ne trovane tante in libri simili. E invece mi sono persino commossa (caro Leonardo, se intervisti Stefansson giochi facile eheheh). Si parte delle parole ma si arriva all’anima di quest’isola, un an'anima davvero profonda.
“L'Islanda è una versione estesa della vetta del monte magico di Stefánsson. È una vacanza di sole, la gelateria di quartiere dove rifugiarsi d'estate. È quanto di più simile conosca alla realizzazione di un'utopia collettiva: un'isola che brucia, rimanendo incombusta.”
L'Islanda è una vacanza di sole (sólarfrí), un giro in macchina per la gelateria di quartiere (ísbíltúr). È quanto di più simile ci sia a un'utopia colletiva: un'isola che brucia, rimanendo incombusta (óbrennishólmi).
Un viaggio nella lingua islandese curioso e affascinante. E che alla fin fine ci insegna che Ekki er sjórinn sekur þó syndi ei allir fuglar.
«Cos’altro c’insegna la provvisorietà di quest’isola se non che la nostra esistenza è un lampo, il lume del semaforo che fugacemente rifulge tra il verde e il rosso?»