Si può essere madri di figlie e figli che si scelgono, e che a loro volta ci hanno scelte? Si può costruire una famiglia senza vincoli di sangue? La risposta è sì. La queerness familiare è ormai una realtà, e affrontarla una necessità politica, come lo è quella di un dialogo lucido e aperto sulla gestazione per altrə, un tema che mette in crisi la presunta radice dell'essere donne. Interrogarci, discutere intorno a questa radice significa sfidare il concetto di normalità e naturalità a cui siamo abituati. Michela Murgia lo ha fatto per anni, nei suoi libri e sui social, e nelle ultime settimane di vita ha raccolto i suoi pensieri per donarci questo pamphlet densissimo e prezioso, in cui ci racconta - partendo dall'esperienza personale - un altro modello di maternità, come si possa dare la vita senza generare biologicamente, come i legami d'anima possano sommarsi ai legami di sangue. Pagine straordinarie che ci permettono di entrare nelle infinite sfaccettature degli affetti e di comprendere come aprire all'altrə non riduce ma amplifica l'amore.
Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972 ed è stata a lungo animatrice in Azione Cattolica. Ha fatto studi teologici ed è socia onoraria del Coordinamento teologhe italiane. Ha pubblicato nel 2006 Il mondo deve sapere che ha ispirato il film Tutta la vita davanti e nel 2009 il bestseller Accabadora, vincitore del Premio Campiello 2010.
È un libro postumo. Lo ricorda Giammei, in nota di curatela, e se ne scusa più volte Murgia, consapevole del progressivo e rapido esaurirsi delle sue risorse. Poiché a lei è mancato il tempo e il curatore ha optato, come è giusto, per un intervento conservativo con poche innovazioni personali, in Dare la vita manca quella coerenza precisa, tagliente e circolare a cui Murgia ci aveva abituato nei suoi precedenti pamphlet. Si avverte che la prospettiva finale sull'opera, quella conclusiva, non è stata la sua: laddove il rispetto filologico ha imposto al massimo un paio di punti, tra i pur spesso compiuti scampoli testuali, lei per certo sarebbe intervenuta per legare di più le parti e per rendere più fluido il passaggio da una riflessione all'altra, così che su quello scorrere leggero si incidesse il pensiero. Non è una critica questa. Riconoscere la sua assenza, in questo non-finito così lontano dal suo modo acuto di manovrare le frasi, mi ha commosso: mi ha intenerito la sua tenacia, questa convinzione così radicata nel proprio messaggio da voler impiegare davvero fino all'ultimo la sua vita per piantare questo seme. Poco importa se in quelle ultime pagine dettate manca la sua meticolosa, quasi esegetica, attenzione per la Parola - dall'etimologia al simbolismo, dalla pronuncia all’intenzione -; poco importa se distrutta dal dolore le è sembrato più incisivo ricorrere a una parolaccia piuttosto che a un'ulteriore trappola logica. È toccante, e potente, questa impellenza di lottare ancora, in e nonostante la morte.
Per ignoranza, poiché all’epoca non aveva ancora deciso di rendere pubblica la sua vita privata, avevo accolto la sua decisione di definirsi queer in modo tiepido. Mi sembrava una scelta facile, la sua, una rivendicazione ingiusta, persino un’appropriazione indebita. Mi dicevo che doveva essere una banalità per lei, e un po’ la odiavo per questo, sicura nella sua bolla di affetti e di privilegio, decidere per sé questa parola. Sapevo che era ingiusto, da parte mia, e che non spettava a me valutare il suo queer: eppure non riuscivo ad accettare, per invidia o gelosia, che sulla sua bocca risultasse così semplice quel grumo con cui io ho dovuto fare a pugni per troppo tempo. Nel corso dell’ultimo anno, ovviamente, ho capito d’essere in errore. Murgia ci ha mostrato la fatica, attiva e costante, che le è costato costruirsi la sua famiglia, nonostante le norme della nostra società. Ho visto la dedizione, ho percepito la grande umanità della sua apertura assoluta, del suo mettersi a disposizione, del suo dare la vita (alla grande comunità figliale che le se è raccolta attorno, sì, ma anche la propria stessa per la sua lotta politica). Il privilegio se lo è preso, con forza e caparbietà, venendo dal niente. Lei che ha più volte rinnegato il viaggio dell'eroe di tanta letteratura e mitologia, è diventata eroina a suo modo, seguendo nuovi paradigmi e nuove idee. Facendo casino.
La porzione sulla GPA, quella conclusiva, è lucida e rigorosa, per certi versi quasi neutrale e indigesta: rivendica, sostanzialmente, che chi è al governo governi e legiferi. Con la prima parte di questo testo, invece, mi ha impartito l’ennesima, e spero non ultima lezione [confido nelle molte carte che si è lasciata alle spalle e in Giammei]: alla fine lei, per cui avevo alzato un sopracciglio confuso e giudicante, mi ha restituito su carta la definizione di queer che sento più vicina alla mia. "Queer è abitare sulla soglia delle identità".
Murgia generosa. Spero che nel posto in cui sei arrivata, se ne hai coscienza, tu mi abbia perdonato. Se è così, non dovrei più scrivere nulla. Sai che a volte nello sconforto di quello che ci circonda, alzo gli occhi e ti cerco. A volte ti invoco, per raccogliere le forze, in un gesto che rubo alla religione e che rendo blasfemia: tienimi una mano sulla testa, ti dico, come diceva mia nonna. Non capisco, davvero, il perché di questo affetto. Forse è perché tante volte hai saputo dire al momento giusto quello che io avevo bisogno di sentire. Come oggi, mentre ti leggevo ad alta voce, solo in casa, nel capitolo Al queer non si comanda. Ho pianto come un bambino. Ne avevo bisogno. Grazie.
“A chi amo, a chi scelgo, voglio offrire una sola rassicurazione: quella di non dover mai fingere di non essere chi è”
‘Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo, e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia: la voglia di sceglierti ogni giorno in modo differente, come diversa sono io ogni mattina quando apro gli occhi’
Tra i tanti argomenti politici per cui Michela Murgia si batteva quello della figliazione d’anima e quindi della famiglia Queer è quello che mi ha sempre toccato maggiormente. In un paese in cui io, omosessuale, per diventare padre dovrei andare contro la mia natura, dove la gestazione per altri è reato universale e l'adozione impossibile, sentirmi dire che potrei essere padre in una forma diversa, quella d'anima appunto, è una speranza e un regalo immenso. La figliazione d'anima non l'ha certo inventata Murgia, era un usanza sarda ma anche di tutto il Mediterraneo, che però col tempo è andata a perdersi. Michela in questo libro preziosissimo, un regalo che ci ha lasciato dettandolo a voce nei suoi ultimi giorni di vita, ci dà uno sguardo nuovo (o forse antichissimo) sulla famiglia e sui rapporti famigliari, su quello che lo Stato vuole che sia la Famiglia e quello che invece potrebbe essere. Oggi sono 5 mesi che non c'è più ma Michela Murgia è più viva e luminosa che mai.
Forse l’ho detto anche in altre occasioni, ma mi colpisce sempre la lucidità con cui Murgia scrive(va) saggistica. Credo sia la specie letteraria che più le si addice(va), e questo breve volume postumo è ancora una prova parlante del suo genio, oltre che una grande lezione di stile.
Come in God save the queer, il saggio parte dal significato della parola “queer” per esplorare la famiglia queer: e cioè quel tipo di famiglia in cui le definizioni tradizionali sfumano, per dare luogo alla vera libertà di espressione dei rapporti famigliari, vissuti come intenzioni mutevoli e non come fissi legami di sangue.
Colpisce particolarmente l’analisi del lavoro delle donne badanti (straniere in Italia), e del tempo, moneta di scambio classista, in quanto chi se lo può permettere lo acquisisce per poi delegarlo a qualcuno che, per necessità, di quel tempo non può usufruire: è questa la stessa logica secondo la quale vengono regolati i rapporti di GPA (gestazione per altr*), nonché l’adozione dei figli, sempre costosissima.
Finché non smetteremo di concepire i rapporti figli-genitori in questo modo sbagliato, a partire dalle istituzioni statali (aspra la critica della Destra vs. la famiglia queer) e finendo con noi stessi, e finché non democratizzeremo davvero il processo di adozione e tuteleremo la GPA (altro che vietarla per legge), un’evoluzione non sarà possibile mai.
Insomma, dobbiamo vederci chiaro, liberare la mente dai pregiudizi, proteggere – esattamente l’opposto di ciò che al momento avviene nella nostra società.
Questo libro è in un certo senso il testamento di Michela Murgia, scomparsa lo scorso 10 agosto 2023, in seguito a una malattia terminale.
In questa raccolta, Michela parla dell’essere madri che prescinde dall’aver generato un figlio. Affronta l’argomento prima di tutto dal punto di vista linguistico
“Stato interessante. Attraverso questo eufemismo sin dall’Ottocento ci si riferisce con inspiegabile pudore all’esperienza della gravidanza. È un termine curioso. Da un lato sottintende che tutti gli stati di vita della donna che non implicano l’essere incinta siano privi di interesse.”
Per poi arrivare al tema della famiglia e della coppia. In termini binari, sia la famiglia sia la coppia hanno generato tanta sofferenza. Basti pensare alle separazioni
“Lo strazio delle separazioni, che già non sono facili da affrontare, è peggiorato esponenzialmente dall’aspettativa che non dovessero verificarsi, che siano il fallimento di una vita, qualcosa che infligge una ferita insanabile, specie alle vite di chi fa l’investimento emotivo maggiore (indovina chi).”
Se invece si adotta un punto di vista non binario (0-1, vero-falso), allora si può approdare a legami più maturi e a scelte più consapevoli
“La queerness, che è una pratica della soglia, fa il contrario: accoglie il cambiamento come strutturale. Se non cambia, anzi, se finge di non cambiare, il rapporto si allontana da quel che ci insegnano le esperienze queer e nasconde al proprio interno strumenti di oppressione dell’altrə. Il mutamento è l’unica possibilità di sopravvivenza dell’energia vitale che ognuno di noi coltiva intimamente.”
Michela non c’è più fisicamente: il suo pensiero libero resta e continua a scuotere chi la legge.
A tutti coloro che amano…
“Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo, e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia: la voglia di sceglierti ogni giorno in modo differente, come diversa sono io ogni mattina quando apro gli occhi.”
Michela Murgia estrae dal cappello argomenti etici problematici, in maniera talmente argomentativa da farli diventare sentenze quasi inattaccabili. Sono per certo scelte e posizioni radicali, rispetto alla mentalità comune o tradizionale, alcune di queste risultano difficili da digerire e paiono tranchant anche a me, che appartengo alla comunità LGBTQIA+ e proprio retrivo non mi ritengo. Sta proprio - però - qui il merito, che è anche uno degli intenti dichiarati del libro e dell’autrice: scatenare dubbio, ragionamento e discussione, non sedersi su posizioni tradizionali e predefinite, mettere in discussione e creare un movimento continuo, che corrisponde poi al concetto spiegato di “queerness”.
Cercando di uscire dall’emotività che mi tocca quando parlo dell’autrice, soprattutto a pochi mesi da una scomparsa che mi ha molto turbato, mi impegno nell’essere obiettivo: questo pamphlet non è organico, appare frammentario e suddiviso in brevi capitoli non troppo approfonditi. Molte affermazioni appaiono categoriche e dogmatiche senza che sia adeguatamente costruito il percorso induttivo adatto a giustificarle e sostenere alcune delle più dirompenti (queer è questo, se non ti comporti così sbagli, se non attui questo stile di vita non ti puoi definire queer e non stai vivendo appieno tu, chi ti è vicino e i tuoi legami). Attribuisco la responsabilità alla curatela di Giammei che ha fatto a mio parere un errore macroscopico: sentendosi forse insicuro, non volendo porsi in primo piano nello scrivere una prefazione all’opera, ha preferito spiegare la genesi del libro in una (anche troppo) breve postfazione. Sono quindi arrivato alla fine del libro con una sensazione di parziale delusione, scoprendo solo allora (dopo averlo però intuito nello scorrere delle pagine), che si tratta di un’antologia di frammenti scritti in vari momenti, negli ultimi 7-8 anni. Sarebbe stato fondamentale, per giustificare la frammentazione, la frettolosità di alcune sezioni e il mancato approfondimento, premettere il racconto della genesi dell’opera: la mancanza di struttura e la non proprio ineccepibile argomentazione di alcune tesi (tra cui alcune sulla gravidanza surrogata) ne sarebbero risultate meglio comprensibili. Questa non è un saggio completato da Michela Muggia sull’argomento, è una raccolta di pensieri e bozze formulati negli anni su alcuni argomenti, e così sta in piedi e si fa più interessante. Non è paragonabile e non va proposto come un’opera omogenea, completa ed elaborata (come la splendida narrativa di “Tre ciotole” o l’elaborata saggistica di “Stai zitta” o “L’inferno è una buona memoria).
Nel mio piccolo mondo personale non aggiunge nulla al testamento profondo e sofferto lasciato da “Tre ciotole”, anche se mi rimane la gioia di leggere alcuni pensieri sparsi di questa sorella maggiore, che mi ha guidato per anni e mi ha dimostrato - ancora una volta - che meraviglie può fare un cervello in fiamme che non accetta di limitarsi, o a maggior ragione di essere limitato.
Mi fa strano pensare che non leggerò più qualcosa di nuovo di Michela Murgia e me ne rattristo, anche quando i suoi messaggi sono così diversi da quelli a cui sono abituata ne riconosco il carisma e la potenza sviluppati attraverso la semplicità di linguaggio e una modernità ideologica oltre ogni tempo. La sua formazione molto cattolica viene sfidata e ribaltata in tutto il corso della sua troppo breve vita, questo pamphlet è solo una summa dei suoi interventi più recenti ed era dentro di sé da prima che diventasse scrittrice "Dare la vita" è un respiro nell'aria stantia della società patriarcale che ci accompagna fin dai tempi biblici. La Murgia sperimenta in prima persona la filiazione d'anima e la queerness, sfidando la concezione tradizionale della famiglia basata sul sangue. La sua prospettiva non è solo un'apertura mentale, ma una vera e propria ribellione contro il vecchio concetto di Dio, Patria e Famiglia. Il suo tocco innovativo si allarga poi nell'analisi sulla gestazione surrogata e si sofferma sulla mancata regolamentazione di questa pratica, evidenziando l'importanza di discutere apertamente di temi che la società spesso preferisce ignorare. "Dare la vita" è un invito ad abbracciare la diversità familiare. Michela Murgia ci dona con il suo testamento morale la mappa di un territorio inesplorato, invitandoci a riconsiderare le fondamenta delle nostre convinzioni e a esplorare nuove prospettive sulla vita e la famiglia. Ci manca tanto la sua voce.
Un anno senza Michela Murgia, Un anno in cui Michela Murgia ha continuato a splendere, sempre più attuale.
******** febbraio 2024
"Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo, e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia: la voglia di sceglierti ogni giorno in modo differente, come diversa sono io ogni mattina quando apro gli occhi"
Eccoci, Michela. Sono incappata in questo strano cortocircuito per cui non leggo i tuoi libri, che giacciono sul comodino o nel reader, per il gusto di sapere che ho ancora qualcosa di tuo da leggere. Così, invece di scrivere le sensazioni che mi ha suscitato quest'ultimo, mi ritrovo a scriverti come se fossi un'amica e mi sento pure un po' stupida e impostora. Eppure...
È commovente pensare che tu abbia trovato il modo per far assemblare questo pamphlet e che tu abbia anche scritto fino all'ultimo, nell'urgenza di lasciare un'eredità importantissima: instillare il dubbio, far nascere domande, dibattiti, esercitare il diritto a pensare diversamente e a non essere d'accordo ma aprendo la mente al dialogo costruttivo.
Centoventotto pagine in cui si sono amalgamati il concetto di queerness e la necessità di nuovi modelli familiari, la libertà di autodeterminazione delle donne, la GPA, il diritto all'aborto, l'adozione, le questioni di classe e sociali cui tutto è collegato, la responsabilità politica e collettiva, l'inadeguatezza del concetto di normalità, l'urgenza di mettere in crisi e ridisegnare i rapporti di potere e di forza, le riflessioni sulla fedeltà e sull'affidabilità.
Leggere questo tuo ultimo libro apre la mente, grazie per queste nuove domande e spunti di riflessione.
Manca il tuo acume, il tuo sguardo trasversale, la tua capacità di porre domande scomode e aprire a concetti diversi. Manchi, ma sei sempre qui.
L'ultimo lavoro di Michela Murgia ha confermato quanto mi mancherà la sua penna, quanto vorrei avere ancora e ancora quella sensazione di farmi stupire dalla sua intelligenza e perfino di sentirmi piccola dinanzi alla profondità dei suoi ragionamenti. Questo libro, oltre a farmi riflettere su una marea di questioni più attuali che mai, mi ha anche commosso, nell'inconsueta velocità di alcuni discorsi che sembrano stranamente solo abbozzati, spettro di una corsa contro il tempo che, lei sapeva, non avrebbe mai potuto vincere; mi ha commosso nella caparbia volontà di lasciarci ancora una testimonianza, in realtà un seme per discorsi che, forse, non basterebbe una vita intera a sviscerare.
Murgia riprende il tema della maternità, fil rouge declinato in tante diverse modalità delle sua intera produzione letteraria e lo collega ai concetti di "queerness", di "famiglia allargata", di "maternità surrogata", di "filiazione d'anima" a lei tanto cari. Con lei ci interroghiamo su definizioni, legislazioni mancate, diritti, doveri e su quanto in realtà sia libero l'amore materno e filiale che rifugge ogni gabbia in cui la società odierna tenta di rinchiuderlo.
I temi sono tanti, forse troppi per un numero così esiguo di pagine,ma la sua voce resta tonante e, per me, fondamentale.
Grazie Michela per continuare a farmi aprire la mente, un pezzetto alla volta.
Il libro è diviso in due parti: la prima è dedicata al racconto dell'esperienza personale di vita dell'autrice, che inscrive le proprie relazioni affettive all'interno della categoria "queer". La seconda parte è dedicata alla GPA (gestazione per altri). Si percepisce, soprattutto nella seconda parte, la fretta, l'urgenza di fermare un pensiero, di sconfiggere il tempo che corre senza pietà. Segnalo che la critica ha messo in evidenza diverse inesattezze di informazioni e di dati come pure, più in generale, si è discusso (autorevolmente e, a parer mio, fondatamente) della "appropriazione" di categorie della comunità LGBTQIA+. Al riguardo rimando, per un primo spunto e per riferimenti bibliografici utili per approfondire, all'articolo scritto da Leone Orvieto per la newsletter di The Period (che, in generale, consiglio molto). In fin dei conti, il libro "servirà alle persone etero più che alla comunità", come detto da Alessia Crocini (Presidente Famiglie Arcobaleno) in una diretta on line di commento, sempre per The Period. Al contempo, escluderei una mala fede dell'autrice che, semplicemente, mi sembra abbia cercato di dare un nome ad un'esperienza di vita" ai margini", mai troppo di qua né di là. E alla fine, forse, sarebbe stato meglio parlare solo di "legami d'anima", usando il linguaggio di quel mondo cattolico da cui Murgia, in fondo, proviene (la capisco, perché è anche il mondo da cui vengo io). L'ultimo capitolo mi ha commosso perché, alla fine dei conti, emerge una persona che ha fatto davvero del proprio meglio e ce l'ha messa tutta. Perciò, dico io, va bene così. P. S. I libri che ti lasciano con delle domande sono sempre meglio di quelli che ti imboccano delle apparenti risposte. Perciò, consiglierei comunque la lettura.
Riflessione lucida, commovente, attuale, immensamente ricca. Alcuni passaggi mi hanno trovata in disaccordo, altri perplessa, altri ancora forse nemmeno li ho del tutto capiti, ma ogni sua parola è preziosa per il coraggio e la forza che trasmette.
Il patriarcato - un sistema di poteri patogeno dove le persone sono ruoli inamovibili, le relazioni dispositivi di controllo, i corpi demanio pubblico e i legami familiari meccanismi di deresponsabilizzazione.
La queerness è la scelta di abitare sulla soglia delle identità (intesa come maschera di rivelazione di sé), accettando di esprimere di volta in volta quella che si desidera e che promette di condurre alla più autentica felicità relazionale. […] È una scelta radicale di transizione permanente, attraverso la quale chiunque può decidere di non confinare sé e chi ama (non solo chi desidera sessualmente) in alcuna definizione finale.
"Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio per sognare orizzonti anche più ambiziosi di quelli che riesco a immaginare io. La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino"
Una breve riflessione su cosa voglia dire dare la vita secondo Michela Murgia ma in verità secondo molti di noi nel 2024. E' stato bello poter rileggere sue riflessioni e ritrovare l'acume con cui osservava e analizzava il mondo.
Sicuramente un libello che fa riflettere e da leggere. Personalmente non sopporto il fatto che Murgia inserisse la cristianità ovunque, su alcune questioni la mia lunghezza d'onda è davvero diversa.
È triste e doloroso sapere che questo lavoro, a parer mio il migliore di Michela Murgia, sia uscito postumo, ma ciò non ne sacrifica l’importanza e il valore, anzi, ci ricorda la grandezza di Murgia. Questo è un 𝙥𝙞𝙖𝙩𝙩𝙤 che consiglio a occhi chiusi, dove in un primo momento viene affrontato l’𝙞𝙣𝙜𝙧𝙚𝙙𝙞𝙚𝙣𝙩𝙚 della genitorialità (con un focus particolare sulla maternità) ma presto lo sguardo si amplia per parlare di quanto sia complesso portare avanti una certa idea di famiglia e di relazioni, in un’ottica non solo di queerness ma anche di libertà e di apertura in generale, autodeterminandosi in una società che non è ancora pronta ad accogliere le scelte altrui. Davvero interessanti, poi, i passaggi che toccano l’etica e la morale, come ad esempio quelli sulla differenza di età tra Michela Murgia e i suoi “figli adottivi”, non vista di buon occhio per motivi che possiamo ben immaginare.
⇨ CONCLUSIONI:
“Dare la vita” contiene così tanta 𝙢𝙖𝙩𝙚𝙧𝙞𝙖 𝙥𝙧𝙞𝙢𝙖 che l’unica cosa sensata che si possa fare è 𝙖𝙨𝙨𝙖𝙜𝙜𝙞𝙖𝙧𝙚 ogni parte del suo 𝙢𝙚𝙣𝙪’ senza giudizi e sovrastrutture, sforzandosi di capire ciò che magari non ci appartiene ma che deve con urgenza essere riconosciuto in un tempo che, per fortuna, sta cambiando, anche se purtroppo non ancora tutte e tutti noi con lui. Se ne esce senz’altro più ricche e ricchi.
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Questo libro è il manifesto e il testamento di Michela Murgia, ma anche un invito a tuttə ad aprire la propria mente e analizzare le proprie certezze sulla famiglia da un punto di vista nuovo e, a tratti, anche rivoluzionario - addirittura impensabile, inedito. Una riflessione lucida e approfondita sul ruolo della donna, della madre biologica e di quella intenzionale in relazione a stato e società, sull'intersezionalità, sul significato dello stato di famiglia biologica e famiglia non tradizionale. Credo di aver sottolineato quasi tutti i passaggi del libro.
È vero, questo libro è molto sintetico ma credo che, alla luce del fatto che è stato scritto correndo letteralmente contro il tempo, non sia il caso di avere pretese, sicuramente se non ci fosse stato il tumore ci avrebbe comunque regalato una lettura sul tema magari più completa ed approfondita.
Grazie di tutto Michela, ci mancherai come l'ossigeno.
È il primo libro della Murgia che leggo, e penso non sarà nemmeno l’ultimo. Ho condiviso dall’inizio alla fine il pensiero del libro e voglio riportare qua una frase che mi ha colpito più su tutto: “Ed è autodeterminazione il pensiero che mi impedisce di percepirmi pienamente Donna se non divento anche Madre?”
"Ma io glielo dirò lo stesso, perché per una madre ogni silenzio di verità è un aborto, ogni sacrificio di memoria è una rosolia dell’anima che genera figli deformi dentro, incapaci di ricordo, a basso quoziente di libertà."
Un saggio come saggia era Michela Murgia: diretta, logica, profonda. Il saggio da leggere per capire che la soglia è una pratica ed è il luogo più intellettualmente onesto e aperto dove stare.
È il mio primo libro di Michela Murgia, e sicuramente non sarà l'ultimo. Un pamphlet molto "denso", che parla splendidamente di queerness e di GPA, alimentando la riflessione in chi legge. Scorrevole e profondo.
È stato tanto difficile per me leggere questo libro... E concluderlo. Ho avuto paura che si portasse via con sé le parole di Michela Murgia per sempre. Michela Murgia c'è, il lavoro enorme di A. Giammai di ricomporre è fenomenale, ed era molto difficile. Ho pensato che straordinaria eredità quella di avere insegnato a intrecciare; Murgia lo ha fatto tutta la vita con le parole, ricamare e intrecciare, ricamare e intrecciare e a questo giro ha detto: "Tieni Alessandro, te l'ho ricamato... ora sta a te il compito di intrecciarlo!". E lui lo ha fatto, e non lo nasconde, ce lo dice con umiltà "mi perdonerete ho dovuto accedere alla memoria, all'archivio... " ebbene è stato eccelso.
Non è un libro passato e ripassato agli occhi dell'analisi, questo mi ha messo malinconia, si vede l'intermittenza, ed è logico che si veda, a meno che non siamo tuttə capaci di scrivere questo libro in 6 settimane così, per spiegare una cosa che nessuno ha mai neanche pensato.
Non fa sempre i voli pindarici e meravigliosi che solo Murgia sapeva fare con le parole, questa volta attraversa strade più brevi, scorciatoie informali, perché ciò che conta a questo giro non è più come dirlo, ma l'urgenza di dire. E con questo non voglio dire certo che sia mal scritto, ho seriamente riso quando ha scritto che "di cosa pensano i bambini non è mai fregato a nessuno una beata minchia". Ho sorriso con un po' di dolore al cuore, perché in 6 mesi quella frase forse sarebbe stata sviluppata, portata a nuovi orizzonti come faceva lei.. Ma il tempo è balordo e qualcosa si è dovuto mozzare. Ma va bene, anzi benissimo, francamente.
Poi sono arrivata al capitolo PROMETTO DI NON LASCIARTI MAI, e l'ho letto tre volte. La prima nell'ottica relazionale della mia vita, la seconda in quella queer, la terza come una frase tra me e lei, tra lei e i suoi figli, e mi ha impartito l'ennesima lezione, l'ennesimo schiaffo, l'ennesimo risveglio. Mi sono scese, due poi tre poi molte lacrime, e ho chiuso il libro un istante per prendere fiato. 'il mutamento è l'unica possibilità di sopravvivenza dell'energia vitale che ognuno di noi coltiva intimamente. Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia". Potevi darmi maggiore lezione di libertà relazionale Michela Murgia? Ci avevo pensato spesso, ma vederlo così nero su bianco scritto da lei è stato potente proprio.
Arrivata ad ALTRE MADRI ho finalmente capito. Conoscevo già questo testo, qui esteso, inedito, e da sarda mi ha letteralmente asfaltato. E per un attimo ho visto questa sostanza mutevole, eterea di cui era fatta Murgia, e mi sono sentita così fiera, così orgogliosa, così fortunata ad avere incrociato il suo cammino. Quella figlia, quella sorella, quella madre eravamo tuttɜ, ci siamo statɜ sempre lo sappiamo, in un viaggio eterno e mutevole che ci sorprende ad ogni incarnazione.
Michela Murgia ha solo cambiato forma, si è plasmatə in migliaia di altrə figliə in una forma nuova di materno che non ha mai attraversato la mente di altrə prima d'ora. Una mama 'e anima, o una mama 'e spiritu, immortale al tempo.
E ho concluso il libro, tenendolo sulle mie gambe in silenzio per un attimo, al buio, con una sensazione eterea e silenziosa d'amore, di gratitudine immensa per Michela Murgia.
"La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino."
Lavoro postumo brevissimo, a tratti ovviamente anche incompleto, in cui Michela Murgia parla di famiglia, relazioni, femminismo, etica, amore e tanto altro. Leggere queste pagine adesso, immaginando le condizioni in cui le ha scritte, le rende più preziose e allo stesso tempo mi impedisce di essere obiettiva. Perchè Murgia manca e mancherà sempre.
Necessario. Necessario. Necessario. Come da ogni parola di Murgia, da questo libro scaturiscono più domande e riflessioni ché risposte. Ma solo così si contribuisce al cambiamento perpetuo.
«Dimmi che ami quello che di me cambia di continuo, e io potrò continuare a darti quello che di me davvero non cambia: la voglia di sceglierti ogni giorno in modo differente, come diversa sono io ogni mattina quando apro gli occhi.»
Bello ma non bellissimo ottimo spunto di riflessione ma la scrittura troppo pesante visto che per il discorso di inclusività ogni parola viene troncata con o/a E questo rende difficile la lettura e manca di scorrevolezza, il tema Beh è un tema importantissimo e la Murgia non si smentisce mai però a livello grafico non mi è piaciuto lo stile con questo tipo di punteggiatura
Incredibile Michela Murgia. Assurdo pensare che tante delle riflessioni di questa ultima fatica siano state messe su carta il 7 agosto 2023: soli tre giorni prima della sua morte. Ingiusto pensare che questa mente brillante ci sia stata strappata così presto, che ingiustizia. Michela Murgia mi manca tanto, tantissimo. Invincibile nella sua voglia di lotta, indimenticabile.
to feel seen, for once. michela non ti ringrazierò mai abbastanza per aver dato voce a molti dei miei pensieri anche questa volta e, soprattutto, per avermi dato in qualche modo speranza, in questo stato in cui non vedo mai un futuro, se non di solitudine.
Incipit Se mi dessero cento euro per ogni volta in cui ho cercato di spiegare a gente confusa ma sinceramente interessata cosa significhi il termine queer nell’accezione in cui l’ho usato io per riferirmi alla mia esperienza familiare, sarei una donna ricca. Continua su Incipitmania
Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio per sognare orizzonti anche più ambiziosi di quelli che riesco a immaginare io. La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino. (Citazione)