A new, comprehensive survey of Sugimoto’s five-decade career, from grand dioramas and seascapes to eerie portraits of wax effigies and more Through his expansive exploration of the possibilities of still images, Hiroshi Sugimoto has created some of the most alluringly enigmatic photographs of our time―pictures that are meticulously crafted and deeply thought-provoking, familiar yet tantalizingly ambiguous. Hiroshi Time Machine is a comprehensive survey of work produced over the past five decades, featuring selections from all of Sugimoto’s major series, as well as lesser-known works that illuminate his innovative, conceptually driven approach to making pictures. Texts by international writers, artists and scholars?including Geoffrey Batchen, Edmund de Waal, Mami Kataoka, Ralph Rugoff, Lara Strongman and Margaret Wertheim?highlight his work’s philosophical yet playful inquiry into the nature of representation and art, our understanding of time and memory, and the paradoxical character of photography as a medium so well suited to both documenting and invention. Hiroshi Sugimoto (born 1948) has exhibited extensively in major museums and galleries throughout the world, and his work is held in numerous public collections, including the Metropolitan Museum of Art, New York; Museum of Contemporary Art, Tokyo; National Gallery, London; National Museum of Modern Art, Tokyo; Smithsonian, Washington, DC; and Tate, London, among others. Sugimoto divides his time between Tokyo and New York City.
21 luglio 2007. Mi trovavo a Codroipo, già all’alba in attesa, con qualche altro scapestrato folle come me, del concerto di Björk che si sarebbe tenuto quella sera. Il mio primissimo concerto di Björk. Pretendevamo la prima fila e non ci saremmo mossi. La security, su suggerimento “dell’artista” premiò la nostra resistenza con un braccialetto che ci avrebbe assicurato l’accesso prioritario sottopalco. Sembrava un sogno.
Per ingannare il tempo delle ore restanti al concerto, un giro a Villa Manin. Posto incredibile. C’era pure una mostra, di un fotografo giapponese che all’epoca non conoscevo. Me ne sono innamorato al primo sguardo. La gestione delle luci, dei vuoti, gli orizzonti del mare ridotti a una linea di confine tra scuro e chiaro, i cinema deserti. Sono rimasto a osservare quelle opere per ore.
Poi il rumor che correva tra gli astanti della mostra: “non stanno facendo entrare più nessuno. Björk sta facendo il soundcheck. Può accedere al parco solo chi è già dentro”. Mi precipito fuori ovviamente. Dal punto del parco della villa dove mi trovavo, lei era un puntino lontano. Vestita casual, con i capelli legati in una coda di cavallo. Provò un paio di volte “Army of Me”. Ero elettrizzato.
Quando guardo le foto di Sugimoto, ritorno per forza di cose a quella giornata. È da tempo desideravo un libro retrospettiva che ne racchiudesse i lavori maggiori. Ora c’è ed è meraviglioso.