Chiamarlo vocabolario è davvero poco, perché in queste 101 voci di dialetto napoletano Erri De Luca innesta la cultura e la storia di un’intera città e dei suoi abitanti, con la penna e lo sguardo che invece sono solo suoi. Lo fa liberamente, muovendosi da una parola all’altra in maniera apparentemente casuale – “a schiovere”, come si dice a Napoli, a vanvera –, eppure tutto si tiene perché quelle parole si fanno racconti. Così la voce “Maruzze” (lumache) dà il la per una pagina sull’arte di scherzare con la fame e la miseria di Totò e Eduardo De Filippo; l’“Artéteca” (esuberanza) ci fa sentire la densità umana e “l’aria ispessita” di Napoli; una parola rara del dialetto, “Sbafantiello”, rievoca la canzone ’O guarracino, e sembra quasi di sentirla nelle orecchie, questa canzone celeberrima e anonima, come se l’autore fosse il popolo napole-tano tutto. Proprio come era stato, ricorda De Luca alla voce “Iamm’”, per Le quattro giornate di Napoli, il film di Nanni Loy sull’insurrezione popolare che cacciò i nazisti alla fine del settembre del 1943, dove mancano i titoli di coda con i nomi degli attori, proprio a significare che la rivolta era stata anonima e di “Il grido Iamm’ sulle barricate e altrove non ha bisogno di aggiungere nomi”. A ciò si uniscono i ricordi dell’autore, come la volta in cui suo padre riuscì a pescare “un purpo” e nel mostrarlo a sua madre l’animale le imbrattò d’inchiostro il costume nuovo... il padre, “conoscendola, si dette alla fuga senza neanche supplicare una scusa. E il po-lipo approfittò della crisi coniugale per rientrare in acqua”. Ad accompagnare le parole e i racconti, usciti sull’omonima rubrica settimanale del “Corriere del Mezzo-giorno”, i disegni al tratto di Andrea Serio. Un regalo per i napoletani e per tutti, perché Napoli è un ombelico della terra, nodo di nascita e di separazione da un vulcano.
Upon completing high school in 1968 Erri De Luca joined the radical left-wing movement Lotta Continua. After the organization's disbandment he worked as a blue collar at the Fiat factory in Turin and at the Catania airport. He also was as a truck driver and a mason, working in job sites in Italy, France and Africa. He rode relief convoys in Yugoslavia during the war between 1993 and 1999.
He is self-taught in several languages including Ancient Hebrew and Yiddish.
De Luca is a passionate mountain climber. A reclusive character, he currently lives in a remote cottage in the countryside of Rome.
Although he never stopped writing since he was 20, his first book is published in 1989, Non ora, non qui (Not now, not here). Many more books followed, best sellers in Italy, France and Israel, his work being translated and published in Spain, Portugal, Germany, Holland, USA, Brazil, Poland, Norway, Danmark, Romania, Greece and Lithuania. He has himself translated several books of the Bible into Italian like Exodus, Jonah, Ecclesiastes, Ruth, and explored various aspects of Judaism, as a non-believer.
In France, he received the France Culture Prize in 1994 for Aceto, arcobaleno, the Laure Bataillon Award in 2002 for Tre cavalli and, also in 2002, the Fémina Étranger for Montedidio, translated in English as God's Mountain. He was a member of the jury at the Cannes Festival in 2003.
Erri De Luca writes regularly for various newspapers (La Repubblica, Il Manifesto, Corriere della Sera, Avvenire), and magazines.
In questo breve dizionario composto da cento uno (perché i numeri pari non dicono nulla) espressioni napoletane ho ritrovato moltissime espressioni salentine, a conferma del fatto che il Sud ha una Storia comune, nel bene e nel male.
Queste voci sono il pretesto per raccontare storie “a schiovere”:
“Modo di dire che indica l’effetto di certi acquazzoni che per il vento cadono di traverso, di sghimbescio. A schiovere va col verbo parlare. Chi parla a schiovere lo fa senza intenzione, intervenendo da importuno. Chi invece interrompe un interlocutore, alza la voce, come nei battibecchi televisivi, è un disturbatore e non merita l’estemporaneo e innocuo spunto di chi parla a schiovere. Nei temi in classe non mi veniva quasi niente da scrivere sull’argomento richiesto, allora divagavo per raggiungere il minimo formato obbligatorio. Commento dell’insegnante insieme al voto insufficiente era: a schiovere, cioè uscito fuori tema.”
Un libro utile a chi è del Sud per affondare nelle proprie radici e a chi è del Nord a familiarizzare con questa cultura così ricca e variegata.
È un dizionario con 101 espressioni napoletane che fanno da pretesto al racconto di aneddoti, poesie e canzoni napoletane dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Ogni termine è solo il pretesto di un racconto, di una curiosità, di un ricordo dell'autore, di una poesia di Salvatore di Giacomo, di una commedia di Eduardo o di Totò, così... buttati a casaccio, "a schiovere" per l'appunto. Sono avvantaggiata perché anche nei passaggi dialettali capivo e ricordavo anche io i suoni dell'infanzia e le voci dei nonni, però allo stesso tempo sono rimasta affascinata dal trovare il senso più profondo della voce "sciuliariella"del dialetto partenopeo e so che vorrei trattenere tutto in me, ricordare a memoria, trovare nuove parole da legare all'infanzia e al "tiemp che pass primm e mo'". Stupendo. Ne farei un calendario.
Il va’ vatténne napoletano, con l’accento spostato sulla penultima sillaba, mi suona più perentorio e urgente. È il comando imposto dalla necessità che ha trascinato i nostri emigranti al di là di oceani e mari. Va’ vatténne è l’esilio forzato o volontario di chi si è estratto da Napoli come un dente dalla sua gengiva. Tolte a viva forza, quelle radici non si possono impiantare in un’altra gengiva, un’altra bocca, un’altra parlata. Restano a traballare all’asciutto. Compiuto l’atto di separazione col timbro di va’ vatténne sul biglietto di partenza, la città non lascia il posto vuoto. Napoli rimpiazza, non sente la mancanza di nessuno dei suoi che se n’è andato.]
[È la maniera con cui mi vengono le storie, sbucate alla rinfusa da un guizzo di ricordo. Anche le circostanze della mia stessa vita stanno sotto la sigla a schiovere, dove niente è accaduto per progetto, invece sotto impulso di avvenimenti vari. Concludo questi centouno vocaboli estratti dal mio giacimento napoletano. Ringrazio chi mi chiede di proseguire, ma rispondo che da ospite devo lasciare la tavola finché ancora gradito. Qui termina il mio vocabolario a schiovere.]
Simpatica raccolta di termini napoletani, di cui si spiega etimologia, significato e si racconta un aneddoto relativo alla vita dell'autore. Carino, di facile lettura e che fa sentire un po' a "casa" per chi è di napoli o Campania.
Questo dizionario è un viaggio indietro nel tempo.
Sono stato ricondotto ad un mondo di parole, espressioni e momenti conviviali che, da Napoletano all’estero, porto dentro di me con la nostalgia e la tristezza che tipicamente accompagnano i ricordi felici.
Una buona iniezione di tradizione napoletana. Libro che tende a ripetersi, e a ripetere concetti già espressi altrove dall'autore. Una veloce lettura per un pomeriggio.
Una lettura deliziosa e divertente per rispolverare parole ed espressioni della mia terra.
Mi ha fatto tanta simpatia, a volte avrei voluto ulteriori approfondimenti. Moltissimi vocaboli li conoscevo, alcuni invece sono stati una scoperta anche per me.