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Il sistema educativo giapponese 1945/2002

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Negli anni Ottanta il sistema educativo giapponese riscuoteva le lodi degli osservatori stranieri per la sua straordinaria efficienza e perché forniva un alto livello di educazione a tutte le classi sociali, contribuendo alla prosperità economica e allo sviluppo di tutto il Paese.

Tuttavia in Giappone, già in quegli anni, emergevano come argomento di discussione sui media alcuni elementi negativi del sistema (programmi di studio eccessivamente standardizzati, natura estremamente competitiva degli esami di ammissione all'università, violenza crescente nelle scuole), e la riforma del sistema educativo divenne un problema prioritario quando, nel novembre 1982, si formò il primo Gabinetto di Nakasone Yasuhiro. Da allora quasi ogni governo giapponese ha tentato di realizzare una riforma educativa, ma fino al 2002 è stato impossibile portare a compimento questi tentativi, a causa del disaccordo tra i partiti politici sull'opportunità di emendare la Legge Fondamentale sull'Educazione del 1947. Mentre esperti e pubblica opinione dibattevano sulle cause del tracollo del sistema educativo, e a partire dalla metà degli anni Novanta venivano introdotte nel sistema parziali e insufficienti modifiche, i problemi si sono ingigantiti (delinquenza giovanile, violenza, bullismo, rifiuto e fobia della scuola, problemi di salute fisica e mentale, incapacità di comunicare, demotivazione allo studio, calo del rendimento scolastico).

96 pages, Paperback

First published July 31, 2003

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About the author

Daniela De Palma è nata nel 1956, si è laureata in Lettere presso l’Università di Roma “La Sapienza” (1979), dove ha conseguito anche il diploma di perfezionamento in Scuola orientale (1986). Dottore di ricerca in Storia e istituzioni dell'Asia e dell'Africa moderna e contemporanea (1989); esperta di Storia del Giappone, è stata professore a contratto sostitutivo di Storia del Giappone contemporaneo presso l’Università di Roma “La Sapienza” dal 1995 al 2008. Ha al suo attivo periodi di ricerca presso le più prestigiose università giapponesi (Università del Tôhoku, di Tôkyô, di Kyôto, Teikyô) e varie pubblicazioni, tra cui: Storia del Giappone contemporaneo, 1945-2000 (Bulzoni, 2003) e Il Giappone contemporaneo. Politica e società (Carocci, 2008).

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November 4, 2015
Allora, questo l'avevo cominciato per la mia tesi quinquennale sui fumetti giapponesi. Avevo letto ciò che m'interessava e poi l'avevo piantato lì, sommersa da altri tomi da leggere.

Ieri mi è ricapitato tra le mani e ho finalmente deciso di finirlo.

Sono 83 paginette di testo con interlinea doppia (sì, a volte sembra di leggere una tesi) in cui l'autrice presenta il sistema scolastico giapponese, dalla rivoluzione Meiji (1868) in poi, passando per l'occupazione americana fino al 2002.

Una cosa che a me ha sempre affascinato è che il Giappone ha sempre avuto percentuali di alfabetizzazione più alte di quelle italiane nonostante un sistema di scrittura tra i più difficili al mondo. Perfino nel 1868, quando il 43% degli uomini e il 15% delle donne sapevano leggere e scrivere. Riporto da Wikipedia:
All'indomani dell'unificazione, nel 1861, l'Italia contava una media del 78% di analfabeti con punte massime del 91% in Sardegna e del 90 % in Calabria e Sicilia, bilanciata dai valori minimi del 57% in Piemonte e del 60% in Lombardia. Nello stesso periodo - 1850 - le percentuali di analfabeti in Europa erano del 10% in Svezia, del 20% in Prussia e Scozia, del 75% in Spagna e del 90% in Russia.

Oppure, quella stortura che è la scuola di sabato. Perfino in Giappone, nel 2002, si è passati alla settimana da cinque giorni. In Italia, invece, si continua imperterriti con la settimana da sei, quando in tutto il mondo il sabato è dedicato allo sport.

La De Palma si sofferma su quelle che vengono generalmente reputate le distorsioni del sistema educativo giapponese, vale a dire:

☠ l'importanza del curriculum scolastico, dove anche l'asilo frequentato può determinare la possibilità di frequentare un'uni di prestigio in futuro;

☠ il sistema di valutazione, basato non solo sui voti ma anche sul carattere e la personalità degli studenti;

☠ gli esami di ammissione, che richiedono agli studenti sono un nozionismo per lo più inutile;

☠ la discriminazione economica, per cui i figli delle classi più abbienti hanno molte più possibilità di successo;

☠ la violenza giovanile;

☠ il bullismo;

☠ il "rischio salute", visto che gli studenti studiano troppo e non hanno tempo per fare sport o uscire all'aria aperta.

Riportando i giudizi di esperti del settore, alla fine l'autrice si chiede come mai - nonostante sia ben chiare che il sistema sta fallendo - nessuno sia ancora riuscito a cambiare le cose. La studiosa individua tre motivi principali:

☁ l'influenza del confucianesimo, perché il pensiero del confucianesimo impone una forte disciplina sugli studenti e quale maggiore disciplina dell'obbligo di memorizzare caterve di dati inutili? Oltre a questo, la memorizzazione non richiede un intervento personale dello studente, che non è mai richiesto di esprimere il suo parere personale.

☁ Ai datori di lavoro, tutto sommato, fa comodo avere dei dipendenti che non sono abituati a pensare con la loro testa.

☁ I doposcuola privati, gli insegnanti privati, le fabbriche di materiali scolastici... tutta questa gente vedrebbe una diminuzione degli introiti se davvero si cominciasse a dare meno importanza alla scuola.

Sarà.

Con il Giappone ho un rapporto complicato. I tre mesi che ho passato ad Ōsaka li ho patiti proprio tanto. Ero sola, ero illetterata e quel poco di giapponese che avevo imparato prima di partire non serviva. Allo stesso tempo, sono quasi vent'anni che leggo manga. OK, non sempre condivido la rappresentazione delle ragazzine giapponesi però, sì, ancora li leggo.

Ma a leggere questo libro mi son sentita fortunata ad essere italiana. Il nostro sistema avrà storture proprie però almeno l'individualità è tollerata meglio che in Giappone. E poi, sì, ci sono esami ma non da perderci la testa. O meglio, io non l'ho mai persa per un esame. Anche perché la mia memoria è buonissima quando non serve, ma non è mai riuscita a memorizzare una poesia che sia una...
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