Ogni mattina a Jenin
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Read between October 26 - October 29, 2025
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Nel maggio del 1948 gli inglesi lasciarono la Palestina e i profughi ebrei che vi erano entrati a frotte si autoproclamarono stato ebraico, cambiando il nome del paese da Palestina a Israele. Ma ‘Ain Hod era vicino a tre villaggi che formavano un triangolo non ancora conquistato all’interno del nuovo stato, e il destino della gente di ‘Ain Hod si unì a quello di ventimila altri palestinesi che ancora si aggrappavano alle loro case. Respinsero gli attacchi e proposero una tregua, chiedendo solo di continuare a vivere sulla loro terra come avevano sempre fatto. Avevano sopportato molti padroni – ...more
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La vera causa della morte fu un colpo d’arma da fuoco. ‘Ain Hod si stava popolando di artisti ebrei venuti dalla Francia e si stava guadagnando la fama di essere un paradiso isolato dal mondo. Durante il suo primo viaggio, Yehya era stato visto da uno di quei coloni ebrei e, quand’era tornato, i soldati in attesa gli avevano sparato perché stava violando la proprietà altrui. Quando la famiglia preparò il suo corpo per la sepoltura, trovò tre olive nella sua mano e alcuni fichi dentro alle tasche. Yehya era morto con un sorriso sul volto e per tutti quella fu la prova che era salito felicemente ...more
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Perché un uomo non poteva camminare sulla sua proprietà, andare alla tomba di sua moglie, mangiare i frutti del lavoro di quaranta generazioni di antenati, senza pagare con la vita? Per qualche motivo quella brutale domanda non era ancora stata introiettata dai profughi, che invece si erano smarriti nella vasta eternità dell’attesa, aggrappandosi ad astratte risoluzioni internazionali, alla sopportazione e alla resistenza.
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Perfino i compatrioti palestinesi, nelle città della Cisgiordania ancora non espugnate, li consideravano con disprezzo dei “profughi”.
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“Se dobbiamo essere dei profughi, non vivremo come cani” venne dichiarato. La morte di Yeyha spinse tutti nel campo a rimboccarsi le maniche. Un febbrile senso di orgoglio avvolse Jenin e ci si diede da fare per istituire delle scuole, specialmente femminili. Nel giro di un anno la comunità di profughi costruì un’altra moschea e tre scuole, e in tutto questo Hassan ebbe un ruolo centrale ma discreto, tenendosi ai margini della quotidianità ma continuando a scrivere laboriosamente lettere e documenti.
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Dalia non trovò la volontà di infliggere alla bambina punizioni corporali come aveva fatto con Yussef. Lasciò Amal ai suoi capricci ribelli, guardandola come se contemplasse un’emotività ardente che l’aveva abbandonata da tempo per ritornare, dieci volte più forte, nella figlia. Il destino era stato perverso in questo, perché Dalia non aveva difese contro la vitalità sfrenata. Imparò a essere una madre stoica e a comunicare le richieste e le offerte della maternità con diverse gradazioni di silenzio. A questo taciturno distacco, la piccola oppose impulsività e insolenza, mescolate a effusioni ...more
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Da piccola ho passato molto tempo cercando di pensare a mamma come a Dalia, la beduina che un giorno aveva rubato un cavallo, che coltivava le rose e i cui passi tintinnavano. La madre che conoscevo era una donna dura, imponente e severa, che faticava tutto il giorno facendo le pulizie, cucinando, infornando e ricamando thobe.
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Ricordo bene quel giorno. I lenti colpi del pettine di mamma che scendevano dalla cima della testa fino alle punte dei miei lunghi capelli neri. L’approvazione sul suo volto quando, prima che desse il segnale d’inizio, le dissi che ci sarebbero serviti più asciugamani. Le piaceva trasmettere competenze e prevenire debolezze. Tutto il resto, gli abbracci e i baci che agognavo, li teneva chiusi tra le mascelle serrate e nella presa delle dita che sfregavano contro il suo palmo destro.
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Adesso, la mia vita prima della guerra mi ritorna in ricordi avvolti dalle braccia di papà e profumati dal tabacco della sua pipa. Avevamo poche cose e pochissime necessità. Non ho mai visto un parco giochi e non ho mai nuotato nel mare, ma la mia infanzia è stata magica, sotto l’incanto della poesia e dell’alba. Non ho più trovato un luogo sicuro come l’abbraccio di mio padre, quando nascondevo la testa nella cavità del suo collo e delle sue spalle robuste. Non ho più conosciuto un momento più dolce dell’alba, che arrivava con l’odore di tabacco al miele e mela e le splendide parole di Abu ...more
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Mentre osservavo il nuovo paesaggio costellato di torrette di controllo israeliane erette in fretta e furia, sentii gli anni comprimersi in settimane come in un incubo terribile e senza fine. Pervasi dal sapore terroso della morte, quei giorni si conficcarono nei miei ricordi come particelle di polvere insanguinata, come l’odore dolciastro della vita in decomposizione e della terra bruciata. Ci spostavamo, ma senza andare da nessuna parte. Guardavamo, ma la realtà ci offuscava la vista. Inalavamo ed espiravamo la polvere della carneficina, ma non respiravamo. Mentre la folla cresceva, guardavo ...more
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Durante quella settimana vedo parole famigliari infrangersi come cristallo e riassemblarsi in spiriti maligni che artigliano la mente, lacerandola. “Esempio” non era che un bruscolino. L’avevo sentita e pronunciata un’infinità di volte: “per esempio”. Questa parola così insignificante e banale invade i giorni felici della mia infanzia e ruba il ricordo delle partite a calcio insieme al piccolo Jamal, che ora gli ebrei trasformano in un “esempio” davanti ai miei occhi.
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Come può una parte del mondo abbandonare il mondo? Come può l’umidità lasciare l’acqua?... Ciò che ti ferisce, ti santifica... Le tenebre sono la tua candela. I tuoi limiti, la tua ricerca. Potrei spiegarlo, ma romperebbe la copertura di vetro sul tuo cuore, e sarebbe irreparabile. Ti bastano queste parole, o devo stillare altro succo da tutto questo?
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La durezza trovò un terreno fertile nei cuori dei palestinesi e i germi della resistenza si radicarono nella loro pelle. La sopportazione diventò una caratteristica distintiva della comunità dei profughi. Ma il prezzo che pagarono fu l’annientamento della loro dolce vulnerabilità. Impararono a esaltare il martirio. Solo il martirio offriva la libertà. Solo nella morte potevano essere invulnerabili a Israele. Il martirio diventò il rifiuto supremo dell’occupazione israeliana. “Non fargli mai capire che ti hanno ferito” era il loro credo.
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Una porzione di carne tenera e liscia mi era stata strappata via da un fianco. Gli angeli bigotti che siedono sulle spalle delle persone per controllare e riferire i peccati a Dio mi tormentavano con i loro “Te l’avevo detto,” e mi convinsi che l’orrore che mi sfregiava il corpo fosse una punizione per aver peccato masturbandomi. Mi chinai umilmente davanti a quegli angeli compiaciuti e maliziosi, piegandomi con mestizia a un eterno purgatorio.
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Non avevo altri sogni a parte quello di sentirmi libera e amata come mi succedeva durante quelle albe insieme a mio padre.
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Là, sulla gommapiuma a colori sgargianti del suo materasso, per terra, contro la parete spoglia e crepata della nostra piccola baracca, in quell’improvvisata nazione di dimenticati, mamma era morta da sola.
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Come avevo potuto dimenticare quel giorno e perché mi tornava in mente adesso, alla morte di mamma? Dalia mi aveva voluto bene. Come avevo potuto metterlo in dubbio?
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Ma Hajj Salim la mise in maniera diversa. “Tuo padre avrebbe voluto questo per te” disse, facendo appello alle mie corde più sensibili. “Sappiamo tutti che hai ereditato l’amore di tuo padre per i libri e credo che tu sia troppo avanti per trarre altri benefici dalle nostre scuole.” Poi dispensò la sua frase di rito, quella che ormai era diventata il suo marchio di fabbrica: “L’ho visto con questi occhi”. Partì con un monologo che allora ascoltai con impazienza, ma a cui avrei ripensato molti anni dopo come all’insegnamento più saggio che abbia mai ricevuto da un altro essere umano. “Nasciamo ...more
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Il tempo che trascorsi insieme a mio zio quella sera è uno di quei momenti che, con il passare degli anni, si tingono sempre più di meraviglioso. ‘Ammu Darwish riempì quelle tarde ore con le storie della sua giovinezza insieme a papà, di mio nonno, mia nonna e i miei bisnonni. Quella sera mi sentii vicina a papà come non mai, e decisi quindi che sarei andata a vivere con mio zio anziché all’orfanotrofio di Gerusalemme o a casa di Khaltu Bahiya. Quando glielo dissi, il volto di ‘Ammu Darwish si chiuse e un intrico di rughe gli segnò gli angoli degli occhi. “Guarda qua” disse, indicando la ...more
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Ho sempre trovato difficile non commuovermi alla vista di Gerusalemme, anche quando la odiavo – e Dio sa quanto l’ho odiata, per il suo immenso costo di vite umane. Ma la sua visione, da lontano o da dentro il labirinto delle mura, mi trasmette sempre un senso di dolcezza. Ogni centimetro di questa città racchiude i segreti di civiltà antiche, le cui morti e tradizioni sono impresse nelle sue viscere e nelle macerie che la circondano. I glorificati e i condannati hanno lasciato le loro impronte sulla sua sabbia. È stata conquistata, distrutta e ricostruita così tante volte che le pietre ...more
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Nel tentativo di procedere con passo sicuro in una vita che vacillava d’incertezza, imparai a venire a patti con il presente recidendo inconsapevolmente i legami d’affetto con il passato. Essendo cresciuta in un panorama di sogni improvvisati e astratti desideri patriottici, tutto mi sembrava transitorio. Non si poteva fare affidamento su niente, né sui genitori, né sui fratelli o le sorelle, né sulla propria terra. Nemmeno sul proprio corpo, visto com’era vulnerabile ai proiettili. Avevo accettato ormai da tempo che un giorno avrei perso tutto e tutti, anche Huda. Me ne resi conto in quel ...more
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Mentre la luna sorrideva nel cielo, implorai la notte di svelarmi il sogno racchiuso nel mio cuore. Perché in vita mia, non avevo ancora sognato il mio sogno.
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Ripenso a quegli anni con nostalgia. È vero che non avevamo stufe per riscaldare le notti fredde o l’acqua dei bagni settimanali, ma avevamo molte delle cose che riscaldano l’anima. Eravamo amiche che all’occorrenza si sdoppiavano in madri, sorelle, insegnanti, aiutanti e a volte perfino in coperte. Condividevamo tutto, dai vestiti alle angosce. Ridevamo insieme e scolpivamo i nostri nomi nelle antiche pietre di Gerusalemme.
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“Grazie” dissi, non sapendo bene quale fosse la corretta risposta americana al suo cortese entusiasmo. Nel mondo arabo, la gratitudine è di per se stessa un linguaggio. “Che Dio benedica le mani che mi porgono questo dono”; “La bellezza è nei tuoi occhi che mi vedono graziosa”; “Che il Signore ti doni una lunga vita”; “Che Dio non respinga mai le tue preghiere”; “Che il prossimo pasto che cucinerai per noi sia per festeggiare il matrimonio di tuo figlio... il diploma di tua figlia... la guarigione di tua madre”; e via dicendo, una serie infinita di ringraziamenti e benedizioni. Venendo da una ...more
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Continuai a studiare assiduamente per tutti quegli anni, ma la ragazzina palestinese di misere origini fu calpestata dalla mia foga di integrarmi e trovare una dimensione in Occidente. Attutii ogni sensibilità verso il mondo, nascondendomi in una nicchia americana senza passato. Per la prima volta, vivevo senza minacce e senza i sedimenti della guerra. Vivevo libera da soldati, libera da sogni ereditati da altri e da martiri che mi tiravano per le mani.
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Un giorno, mentre camminavo in centro, mi sembrò di vedere mia madre nella vetrina di un negozio, come un alito spettrale che attraversò la mia immagine riflessa. Mi fermai a fissare la figlia di mia madre. Dalia, Umm Yussef, mi aveva lasciato in eredità un temperamento che non poteva respirare se restava ancorato al passato. Ma se lei era riuscita a isolare ogni attimo presente pur vivendo in un passato eterno, io avevo bisogno della distanza fisica per allontanarmi da me stessa. In quell’istante, mi resi conto che nessuno avrebbe potuto capirmi quanto lei.
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Avevo l’impressione che i neri mettessero ritmo in tutto ciò che facevano. Li vidi restaurare una chiesa in un giorno solo, accompagnati dai loro canti. Scoprii anche che era stata la loro cultura assoggettata a dare vita al rock’n ’roll: una razza depredata che aveva finito per ridefinire la cultura intera con la sua musica.
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mi facevo chiamare “Amy” – Amal senza la speranza. Ero una parola prosciugata del suo significato. Una donna svuotata del suo passato.
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Allungavo il corpo per accogliere il sole, lo stesso sole che era sorto su Jenin dagli albori della mia vita e che mi aveva regalato cieli color porpora e poesie nel baritono asmatico che usciva dal petto di papà.
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Amy. L’Amal dei profughi tenaci e dal passato tragico era diventata Amy nella terra dei privilegi e dell’abbondanza. Quel paese che scorreva sulla superficie della vita, supino sotto cieli incrollabili. Ma indipendentemente dalla facciata dietro la quale mi nascondevo, sarei sempre appartenuta a quella nazione palestinese di esuli senza terra, né umanità, né onore. Il mio essere araba e il richiamo originario della Palestina mi ancoravano al mondo. E mi ritrovai a cercare sui libri di storia eventi e personaggi che corrispondessero ai racconti di Hajj Salim.
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La televisione la chiamava: “Operazione Pace in Galilea”. Era questo il nome che le dava la storia. Operazione; come vengono profanate la parole. Majid eseguiva operazioni per salvare vite umane.
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Per dieci ore il mio corpo fu scosso dalle contrazioni. Avrei voluto che il travaglio continuasse in eterno. I miei occhi si fecero vitrei, il cuore di ghiaccio, e nessun respiro lasciò il mio corpo senza prima essere spogliato di ogni suono. Tenni tutto dentro di me, afferrandolo con le unghie. Imprigionai ogni voce nella muta stretta delle mie mascelle. Qualsiasi cosa senti, tienitela dentro.
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Alla fine, la mia bambina giaceva avviluppata tra le mie braccia, come un bocciolo in fiore. Mi abbandonai al ritmo della sua bocca che mi succhiava il seno e riportava timidamente la vita al mio cuore indurito, come muschio che avvolge una pietra. Ma rimasi distante, eseguendo solo la meccanica esteriore del prendersi cura di un neonato. Questa fragile bambina mi aveva imposto la volontà di vivere, ed era una cosa che le rimproveravo, perché allora non volevo nient’altro che morire.
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Potrei spiegarlo, ma romperebbe / la copertura di vetro sul tuo cuore, / e sarebbe irreparabile.
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Guardò in silenzio le prove di quello che gli israeliani sapevano già, e cioè che la loro storia era sorta sulle ossa e sulle tradizioni dei palestinesi. Quegli uomini arrivati dall’Europa non conoscevano né l’hummus né i falafel, ma li proclamarono “piatti tradizionali ebraici”. Rivendicarono le ville di Qatamon come “antiche dimore ebraiche”. Non avevano vecchie fotografie o disegni dei loro avi che vivevano su quella terra, amandola e coltivandola. Arrivarono da nazioni straniere e dissotterrarono dal suolo palestinese monete dei cananei, dei romani, degli ottomani che poi vendettero come ...more
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l’inesorabile verità che i palestinesi avevano pagato il prezzo dell’Olocausto ebreo. Gli ebrei avevano ucciso la famiglia di mia madre perché i tedeschi avevano ucciso quella di Jolanta.
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La domanda di David era una chiamata alle armi. Eravamo io e Dalia contro David e Jolanta. Misi a nudo l’essenza fondamentale del cuore di mamma così come l’avevo scoperta nelle infinite riflessioni mattutine, in esilio, smantellando strato dopo strato la fortezza inaccessibile che lei e il destino avevano costruito insieme.
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L’amore non può conciliarsi con l’inganno. E non può abituarsi a un’esistenza pagata con la valuta della disperazione altrui – la disperazione di mia madre.
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‘Unadikum. Invoco il vostro aiuto, tirandovi per le mani e baciando la terra sotto ai vostri piedi... Vi dono la luce nei miei occhi... e prendo su di me il vostro dolore. Ho dato tutto per il mio paese... e mi sono fatto beffe dei miei oppressori, io, un orfano, nudo e senza scarpe. ‘Unadikum. Invoco il vostro aiuto, con il mio sangue in mano...
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I vecchi erano morti, i giovani erano invecchiati, le case si erano alzate e i vicoli si erano ristretti, erano nati bambini, ragazzini erano andati a scuola e rincorrevano i polli, e gli ulivi si erano piegati sotto il peso dei frutti. Eppure il campo profughi di Jenin era lo stesso di un tempo, un brandello di terra di due chilometri quadrati e mezzo, escluso dal tempo e imprigionato in un eterno 1948.
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Una voce dal mio passato si alzò da dietro. “Sei a Jenin!” Il mio cuore esplose al ricordo dell’amore. Al ricordo della vita. “Devi sempre dire delle ovvietà?” dissi, voltandomi verso gli occhi tigrati di Huda. Ci tuffammo l’una nelle braccia dell’altra, ridendo attraverso le lacrime. “Sei ingrassata” disse. “Anche tu.” “Devi sempre dire delle ovvietà?” disse, imitandomi.
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“È stato un colpo di fulmine? Quando ti sei innamorata di mio padre?” mi chiese Sara, ma non riuscivo a individuare un momento preciso. Mi sembrava di aver sempre amato Majid. Come si può definire l’inizio di un amore? Quando, in quale istante, il cielo scuro della notte si tinge d’azzurro?
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Sono triste per lui. Triste per questo ragazzo costretto a uccidere. Triste per i giovani traditi dai loro leader in cambio di simboli, bandiere, guerra e potere.
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Non bevo più, sorella. In qualche modo mi hai fatto questo dono. Non sarò mai completamente ebreo né completamente musulmano. Mai completamente palestinese né israeliano. Accettandomi, mi hai reso contento di essere semplicemente umano. Hai capito che, pur essendo stato capace di grandi crudeltà, lo sono anche di un grande amore.
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Perché non avrò tenuto fede alle mie promesse, ma terrò fede alla mia umanità. ...e l’Amore non mi sarà mai strappato dalle vene.