Anastasia Anastasia’s Comments (group member since Jan 21, 2012)


Anastasia’s comments from the Reading Challenges group.

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Sep 16, 2020 09:08AM

62280 Abc wrote: "Se possibile mi aggancerei ad Antonella con Il dolce domani per analogia giorno/domani."

Mi aggancio ad Abc con Lo zen e la cerimonia del tè di Kakuzo Okakura. Stesso luogo di nascita dell'autore: Giappone.
Sep 16, 2020 08:28AM

62280 Finito il libro n.6 I Melrose. Edizione integrale di Edward St. Aubyn

Si tratta di un'edizione che raccoglie tutti i libri della saga famigliare dei Melrose, di ispirazione autobiografica, scritta da Edward St.Aubyn. Al centro c'è il protagonista Patrick Melrose, di cui si segue la vita dall'infanzia fino all'età adulta. Molti di questi singoli libri tendono a concentrarsi su un periodo ristretto, guardandolo da tutte le angolazioni, da diversi punti di vista - non di rado - salvo magari per il penultimo, "Latte materno", dove al contrario si va avanti a grosse spanne temporali, ritraendo l'esperienza di Patrick come padre.
L'ambiente in cui Patrick cresce e che lo accompagnerà, volente o nolente, fino alla fine è quello dell'élite aristocratica, essendo figlio di due genitori aristocratici che si circondano tramite innumerevoli incontri, party, cerimonie di gente come loro o, altrimenti, una classe borghese affettata che brama ad un riconoscimento da parte loro. St.Aubyn, attraverso il suo protagonista, ma non solo, demolisce questo ambiente d'élite, con le armi del sarcasmo feroce del protagonista, come anche del ridicolo che spesso le conversazioni, le azioni e l'idea di sé che molti dei personaggi già emettono da sé. Sicuramente i Melrose rientrano appieno nella definizione di famiglia disfunzionale, con tanti comportamenti insani e spesso desolanti, con abusi molto gravi, specialmente da parte del padre di Patrick, David Melrose.
In fondo attraverso tutta la saga si percorrono, in tutta la complicata, tormentata odissea psicologica (ma sempre stemperata dalla vena sardonica di St.Aubyn) che comporta, i rapporti tra genitori e figli, i fantasmi dati in eredità dai primi ai secondi. Ogni personaggi combatte una personale battaglia, specialmente nel concepire sé stessi e costruire una propria identità, per non essere come i propri genitori, figure spesso o superficiali e completamente ottuse dai propri privilegi e la brama di perpetuarli (ad esempio Kettle, la madre di Mary), o invece figure alla deriva, con un istinto paterno/materno o del tutto mancante, o finito in un esito fallimentare e in una partita abbandonata, piena di ferite, rottami, mancanze che non si rimarginano mai.
Nell'esplorare tanti anfratti psicologici, per un personaggio sempre ansioso, frustrato e rancoroso come Patrick, il prendersela con qualcuno è rimuginato e rimuginato, i colossi, in qualche modo, della figura paterna e della figura materna sono rimasticati e rimasticati, subordinando tutto il resto del proprio piccolo, claustrofobico universo con le proiezioni degli altri esseri umani - che hanno sempre un ruolo compensativo, sostitutivo. Ciò lo accompagnerà tutta la vita con qualche ribaltamento del quadro, di ciò che infine c'è sotto la superficie e che ancora, nonostante tutto, non si era notato. L'infanzia non può essere riassunta, in fondo, nelle sole figure, con relative colpe, dei propri genitori, ma c'è ancora un altro fondo più oscuro, elusivo, e che in fondo dovrebbe rimanere tale - insieme alla sua azione misteriosa sul resto della vita, sulla disordinatissima vita adulta, sulla mente e sull'identità.
In fondo è anche un romanzo di formazione, di cammino personale di Patrick, mentre attraverso di lui non si può che guardare i percorsi nel tempo di altri, come la madre Eleanor, "eterna bambina". Tanto è importante l'infanzia in un ossessivo come Patrick e in generale nella visione dell'autore St.Aubyn, tanto è travagliato reggere le aspettative della vita adulta, responsabile, in mezzo all'oceano di istinti egocentrici, fantasie altrettanto egoistiche. In qualche modo il mondo è fuori dai suoi cardini ma non esiste la possibilità che non lo sia, si naviga quasi ciecamente in esso, anche se a volte la presunzione di aver inquadrato i punti fondamentali della propria vita faccia pensare solo di sguazzarci come in un fango, con il vanto della lucidità come approccio. Leggere I Melrose non è facile perché non c'è mai soluzione catartica vera e propria, il declino è continuo, le persone che lo abitano spesso sono semplicemente schifose, dagli autentici sadici ai più "innocui" palloni gonfiati, il dolore, o in fondo la depressione, è una sorta di fondo aperto che raschia e raschia e corrode, ostacolando i pochi tentativi costruttivi.
In fondo è altrettanto fondamentale la dipendenza: la dipendenza da un'idea di sé, da certi dolori e capri espiatori a cui ci si attacca per spiegarsi più facilmente tutto il corso della propria esistenza, la dipendenza da istinti autodistruttivi, cioè la dipendenza anche materiale da alcol, droghe, di cui Patrick soffre, la dipendenza dai propri desideri, di consolazione, di salvezza tramite altri - più che sé stessi. Persino la dipendenza dall'ironia come arma contro il mondo, che tuttavia permette a tutta la saga di essere letta con frequenti note di grottesco, di qualche riso a denti stretti, e di nuovo per i frequenti scambi di battute irriverenti tra i personaggi.
Sep 01, 2020 08:10AM

62280 Se tutto fila, mi aggancio con I Melrose. Edizione integrale di Edward St. Aubyn. Stesso anno di pubblicazione: 2015.
Aug 12, 2020 05:13AM

62280 Finito il libro n.7 Il tempo dell'attesa di Elizabeth Jane Howard.

Secondo capitolo della saga famigliare dei Cazalet. Il punto di vista che Howard offre di un periodo di guerra è apprentemente in sordina. Le voci protagoniste dei Cazalet vivono la guerra non da soldati, ma da civili, e direi che è la guerra vissuta principalmente dai bambini/ragazzi, da qualche preoccupazioni delle mogli, in sintesi dai civili che vedono segni dei conflitti in atto dalle parole altrui, dal modo in cui calamità, gli eventi a scala internazionale, le ripercussioni sulle risorse (con il razionamento), le persone lontane, la difficoltà di comunicare, lo sfollamento nella casa di campagna, che incide nella routine dei più piccoli. Non si comprende quanto durerà, quanto inciderà effettivamente sulle proprie vite, specialmente se la percezione è quella dei ragazzi, che faticano a comprenderne tutto il quadro. Ed è complice anche il modo di fare tutto dei Cazalet, di parlare, ma mai delle cose veramente importanti, di serbare molto per sé, nella paura di confidarsi con gli altri e far sentire loro il peso delle proprie preoccupazioni. Si creano come delle barriere tra i personaggi, infatti l'ammirevole vista panoramica di Howard, che giostra il racconto tra alcune sezioni interamente dedicate a Louise, Polly e Clary, le giovani ragazze della famiglia e poi altre sezioni generali dedicate alla "famiglia" in toto, permette all'autrice di scivolare nel privato di uno e dell'altro, mostrando tutte le difficoltà di comunicazione dei Cazalet, i loro universi di mondi privati e non. Howard preferisce concentrarsi sui suoi personaggi femminili: basti pensare che nonostante la decisione di dedicare intere parti della narrazione alle "nuove leve", i figli maschi dei Cazalet non hanno altrettanto spazio. Teddy, Simon e Christopher sono perlopiù personaggi visti brevemente nella carrellata di punti di vista della sezione generale, oppure filtrati dalla percezione delle ragazze nelle sezioni singole. Il punto di vista più "in prima linea" degli uomini adulti, dunque, arriva come un discorso riferito, come una conversazione al telefono, come delle lettere mandate dai padri alle figlie in attesa, in apprensione. Non manca poi di nuovo l'acume dell'autrice, che riesce a restituire la realtà di questa famiglia con la vividezza che la contraddistingue, quello stile descrittivo che passa dal vestiario al paesaggio, ma anche ai sentimenti, a ciò che ribolle sotto la superficie come accennato. I personaggi di Howard sono molto umani, nient'affatto perfetti come tutti noi, ognuno con le sue debolezze, e persino nei personaggi forse più "virtuosi", come Rachel, c'è qualche zona d'ombra. In qualche modo appartiene tutto a questa visione lucida e ricca di particolari, che rendono anche la lettura più immersiva. D'altronde già avevo sperimentato nel primo libro la capacità di restituire con autenticità anche quel punto spesso difficile per molti scrittori, cioè le sensibilità dei più piccoli, sia nei timori, sia negli eventi buffi di ogni giorno spesso impagabili, che Neville e Lydia ancora danno (mentre Clary, Polly e Louise pian piano entrano in quel mondo adombrato degli adulti, dove qualche velo di ignoranza scende, a volte in maniera traumatica, qualche punto si fa più consapevole; Clary è la mia preferita!).

PS: bella, poi, l'amicizia tra Louise e Stella.
Aug 03, 2020 01:08AM

62280 Mi aggancio ad Alberto con Il tempo dell'attesa di Elizabeth Jane Howard. Stesso genere: romanzo storico.
Jul 31, 2020 04:21PM

62280 Anche io mi stavo dimenticando di commentare il libro n. 48, Dell'amore e di altri demoni di Marquez.
Non so se vale ancora poco dopo mezzanotte, ma metto lo stesso. Non mi ha fatto impazzire, specialmente nello sviluppo delle dinamiche tra i personaggi. Quasi repentino. Però è un'impressione strettamente personale. Vedo quel realismo magico di Marquez che attinge dallo scontro tra una cultura pagana, africana, con i suoi usi, linguaggi, rituali, cultura degli schiavi, e poi quella istituzionale, cristiana. In mezzo la solitudine di una famiglia formatasi forzosamente, dove la figlia, Sierva Maria, viene abbandonata a sé stessa, crescendo con gli usi degli schiavi. Un giorno viene morsa da un cane con la rabbia, e i sospetti crescono fino a credere a fenomeni di possessione. Alla fine lo stesso caso di possessione in realtà è la convinzione facile delle istituzioni cattoliche, contro cui si ribellano forze più "incolte", viscerali, come il senso indomato della ragazzina, come l'amore disperato e passionale. Le passioni dei personaggi sono, davvero, come demoni: l'abbandono in cui sprofondano i genitori di Sierva Maria, anch'essi soli, come isole, la rabbia stessa di una lotta contro l'ignoranza dei più, ma anche l'amore prende possesso delle proprie facoltà razionali e devasta.
Jul 27, 2020 03:30AM

62280 Mi aggancio ad Alice con Dell'amore e di altri demoni di Gabriel Garcia Marquez. Stesso riconoscimento all'autore: premio Nobel per la letteratura.
Jul 27, 2020 03:28AM

62280 Finito il libro n. 33 Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più di David Foster Wallace.
Bellissimo! È il primo libro che leggo di David Foster Wallace - tolto il tentativo di leggere qualche anno da Infinite Jest, al momento sbagliato e chiudendo ben presto per passare ad altro. Questa raccolta saggistica al contrario mi ha davvero colpita, avvinta e mi ha spinta a voler leggere altro dell'autore. Il primo saggio, o pezzo di non-fiction autobiografico, è forse il più compiuto e una gemma, davvero una piccola meraviglia. Sarà il geniale punto di incrocio tra la precisione e acume ironico di Wallace al contempo, il tipo particolare di tennis giocato dall'autore, l'Illinois, l'esperienza americana, così come la pubertà strettamente legata all'de-volversi della propria tecnica di gioco e della propria armonia con la natura, anche quella "sgangherata" dell'Illinois. O in parole più brevi: è davvero godibile da leggere e figlio evidente di una mente immaginativa e intelligente. E il secondo saggio, invece, di carattere più sociologico ed estetico, dedicato alla tv, è quello che mi sono rimuginata di più, e dove forse esce davvero che grande recettore è e sarebbe stato Wallace della sua società, e come avrebbe saputo parlare anche del decennio successivo alla sua morte, cogliendo e i punti critici (o le "metastasi", riprendendo un punto del suo pezzo), e le reciproche influenze tra i vari ambiti di produzione culturale. Grande momento, credo, quello sul destino dell'ironia, da arma di ribellione dei giovani postmoderni ribelli a qualcosa di rimasticato e risputato nella continua integrazione dei mass media, qui della tv - il riferimento ai Simpson in questo caso era calzante. Ma in altre parti, specialmente nei riferimenti a Gilder (a sua volta con grandi intuizioni su futuri sviluppi tecnologici, ma ingenuamente ottimista), diventa persino foriero dell'ulteriore evoluzione sociale provocata dalla più corrente tecnologia di massa. Ho scoperto quasi subito, dai primi risultati di Google cercando soltanto David Foster Wallace, che non sono la sola ad essersi chiesta: alla luce delle analisi già così azzeccate, chissà cosa avrebbe potuto dirci DFW sui social network. Sicuramente aveva intuito che era inscritta nella tecnologia una dipendenza dei suoi fruitori direttamente proporzionale allo sviluppo di essa e all'abilità, nell'uso privato, domestico, di dare un senso di realtà aumentata sempre più crescente. E probabilmente DFW aveva ragione, credendo che pure nel caso di una tecnologia che ci avesse permesso, come racconta nelle previsioni mostrate (e nel '90..) di diventare creatori e fruitori contenuti a partire dal pc, non saremmo diventati più "liberi" o attivi di prima.
Gli altri saggi hanno la strada spianata, avendo messo questi primi due ad apertura insieme, poi, a quello sulla fiera dell'Illinois (qualcosa mi dice che rimarrà tra i ricordi più rilevanti a lungo termine che gli americani possano mangiarsi una roba fritta nell'olio con al suo interno svariati strati di ripieno di zucchero e burro,.. sento il grasso che cola), Wallace si è già conquistato una dose piuttosto considerevole di stima e attenzione. Dunque gli altri sono ugualmente interessanti e condotte con spirito e carattere brillante analogo, anche se le carte migliori nel complesso sono state giocate. Menzione particolare in questa parte per il commento sul male in David Lynch.
Jul 21, 2020 12:00AM

62280 Mi aggancio a Roberta con Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più di David Foster Wallace. Stesso luogo di nascita dell'autore: New York.
Jul 20, 2020 11:57PM

62280 Finito libro n. 29 David Golder di Irène Némirovsky.
Qua Némirovsky come sempre non è molto gentile con i suoi personaggi, ma la storia di Golder segue costantemente una linea cupa peculiare. Uomini attaccati ai soldi, o avari, che lo covano come figli, oppure, come Golder, sempre impegnati ad acquisirli, per poi lasciare che coloro che gravitano attorno a lui, moglie, figlia, lo sperperino senza riguardo e con molte pretese di averne ancora. Della macchina Golder ha non solo l'incessante attività produttiva, ma anche la freddezza, o sarebbe meglio dire una certa incapacità di relazionarsi. Salvo il fatto che noi lettori lo vogliamo nel momento di tramonto, quando il corpo, attraverso l'angina pectoris, dà segnali di una vita alla fine, facendo riemergere atmosfere funeree dal profondo di Golder, spasimi di dolore fisico, ma anche intimo, di delusione e di tanti pugni di mosche alla fine del percorso. L'atmosfera si fa fumosa e sconsolata, Golder in realtà ama la figlia quasi come un "vecchio innamorato", ma questa si rivolge al padre con mille moine solo per avere soldi. A tratti si rinviene fra Gloria e Joyce, mamma e figlia, quel rapporto turbolento che caratterizza la biografia e molte storie di Nemirovsky. Sostanzialmente questa è la storia non solo di un destino tutto ebreo* a vagare, errare (Golder è sempre nomade, un poco estraneo alla casa di famiglia e sempre in viaggio per lavoro da Londra a New York e altri posti), ma anche di una solitudine approcciata in modo impietoso, come da firma riconoscibile dell'autrice, una carrellata di personaggi deprecabili e miserevoli, della smania al denaro, che sia acquisitiva o di consumo ingordo del lusso. Nemirovsky non fornisce alcun ritratto umano che la scampa, qui: persino ai funerali si parla come avvoltoi dei soldi del defunto e non si conosce sincera pietà.

*Ho preferito su questo racconto dell'essere ebrei un altro suo libro, I cani e I lupi. Bellissimo!
Jul 18, 2020 10:45AM

62280 Mi aggancio a Teresa con David Golder di Irène Némirovsky. Analogia: cognome nel titolo.
Jul 18, 2020 10:43AM

62280 Finito il libro n. 21 Le tre stimmate di Palmer Eldritch di Philip K. Dick.
Che trip! Come riportano molti, è un libro di cui è difficile parlare e che richiede, per la sua stessa struttura vorticosa, e di temporalità potenzialmente infinita, più riletture, anche per la portata semantica. E condivido con gli altri la difficoltà a parlarne. Considerando il commento a caldo, mi limito ad alcune note e punti:
- Immancabile per Dick l'importanza del: che cos'è realtà e illusione? Spesso legati a labirinti dell'esperienza percettiva, a esperienze allucinate, indotte da droghe (come nel bellissimo e luttuoso Un oscuro scrutare), ma anche il tratto tipico ansioso, paranoico. Qui anche la droga fa da padrona, una trappola vera e propria di cui figure imprenditoriali capitalistiche feroci tengono le redini. E il gioco narrativo diventa un gioco di bambole, dove non si riesce più a uscire dalla cornice finzionale, dove il ritorno alla "base" diventa una possibilità di eco lontanissima.
- Ecco, vedo perché, complici anche le mie letture precedenti di Dick, questo sia considerato uno dei libri più cupi, sconsolati e pessimistici dell'autore. Il dato autobiografico è importante: è in una situazione di crisi, esce con le ossa rotte dal matrimonio con la terza moglie Anne Rubinstein (qui riflessa dal personaggio di Emily, la ex-moglie del protagonista Mayerson), riflette, rimastica la fine dell'era di Kennedy, e il dramma del suo assassinio, e il periodo di sempre più feroce contesa di modelli capitalistici, che riflette nella concorrenza tra Leo e Eldritch; e in generale un nauseato disagio è pervasivo in questa opera narrativa. Certo, è anche interessante che vi sia una sorta di intento auto-parodistico, Dick prende in giro sé stesso, già dal rapporto con le donne, con cui si comporta da egoista, ma prende in giro le sue stesse e costanti manie di persecuzione, che conoscevo già dalla sua biografia, visto che qua anche altre figure femminili, come Roni o Anne Hawthorne, sono ad un certo punto circondate da un alone di dubbio, dal dubbio che siano esseri manipolanti, mezze spie, ecc..
- Ma ancora di più è pervasivo un generale senso di caduta libera, di decadimento continuo e smarrimento generale, che può attraversare agevolmente un piano personale, biografico di Dick come anche uno sociale, di commento all'era moderna, consumistica e capitalistica. Colonie dove si vive in tuguri, brutto esempio di realtà da cui si scappa in illusioni artificalmente indotte da plastici (con richiamo vero e proprio alle Barbie), un senso di fallimento di Mayerson e un istinto di morte, di perdita di sé irrecuperabile, di confusione, di precarietà identitaria insieme d'altronde all'elemento della transizione corporea, di eco divina. La stessa Terra ormai invivibile, fuggendo dall'aperto, con temperature altissime, per rintanarsi nelle case, negli uffici.
- Il capitalismo, appunto. Leo e Eldritch si fanno concorrenza, Eldritch è un essere che sin dal nome di memoria lovecraftiana rappresenta il subdolo, terribile, proveniente da chissà dove. Eldritch può essere tantissime cose, letto in tantissime maniere: una figura paterna ingombrante per Dick, un dio, il simbolo dell'ultimo capitalismo che fagocita la vita privata, è dappertutto, si insinua nei desideri, nei sogni, lusingando il singolo affabilmente, per poi tirarlo giù con sé, confondendosi con l'identità delle sue vittime. In questo senso Eldritch, che su di sé attira molti simboli e metafore cristiane, come il capitalismo però ha bisogno dell'incessante ciclo produttivo e vitale degli altri per continuare a riprodursi. E tuttavia parla in sé dell'eterno, che sia interpretato attraverso il ciclo della merce o sul piano più spirituale, divino, quest'ultimi sempre molto attrattivi e interessanti per Dick.
- Dio, appunto, sollevato come interpretazione dagli stessi smarriti e sconsolati personaggi. Eldritch lo è davvero? Domande senza risposta, come capita spesso affrontando d'altronde quesiti religiosi da una prospettiva laica. Rimane che lo stesso bisogno continuo di superamento del dato reale insoddisfacente, misero, di proiezione su un altro piano, in un'altra dimensione, come vogliono coloro che consumano le droghe Can-D e poi Chew-Z è uno strumento dato da Leo ed Eldritch che si basa sul bisogno stesso umano di sconfiggere la propria miseria, se non la morte, di avere un orizzonte di speranza, di avere un appiglio nella crisi, nello smarrimento. Leve, desideri eterni. Così anche pare inserirsi la terapia E per evolversi e superare la propria precarietà e limitatezza, salvo risultati grotteschi. I personaggi sono allo sbando, fanno errori, si affidano a false promesse, illusioni di ciò che vorrebberro in ultimo, senza rimedio reale.
Romanzo ricco su cui si potrebbe dire tanto altro, allargando ed articolando di più queste cose, ma aggiungendone anche altre. Vince il fascino terribile di un essere che si moltiplica e invade tutto, con le sue caratteristiche (le tre stimmate) che si palesano come brutti, puntuali segni dietro le proprie "reverie", forse come un monito coscienziale, vince la sua ambiguità, e come sempre l'intelligenza e abilità narrativa di Dick.
Jul 12, 2020 01:28AM

62280 Mi aggancio a Roberta con Le tre stimmate di Palmer Eldritch di Philip K. Dick. Analogia: numero nel titolo.
Jul 11, 2020 05:15AM

62280 Ok @Anna!
Jul 11, 2020 12:20AM

62280 Mi aggancio a Monica con Piccolo viaggio nell'anima tedesca di Vanna Vannuccini per contrario di una parola: carne/anima, se va bene.
Jul 10, 2020 08:56AM

62280 Libro 6
Edda di Snorri Sturluson.
Sturluson raccoglie qua, a detta dell'introduzione con fedeltà salvo qualche dettaglio modificato qua e là, il repertorio mitologico nordico già costruitosi dall'Edda poetica (e più antica), riannettendolo a una narrazione in prosa perlopiù articolata intorno all'incontro tra un dio sotto false e umili vesti e dei sapienti locali, dove quest'ultimi rispondo alle sue domande, narrando così di paragrafo in paragrafo i miti norreni. C'è la storia della creazione, in chiave chiaramente non monoteistica, ma politeistica (e c'è davvero da stare attenti ai tremila dei che si si presentano e talvolta ritornano nelle storie..), ci son o alcuni meccanismi spesso presenti nella mitologia (il trickster, qui Loki, i travestimenti, i tentativi di vincere con inganno e astuzia creature giganti e/o fisicamente più forti - ricordando forse Polifemo e Ulisse). Ma ci sono anche alcune particolarità come il senso di una fine già segnata, un'atmosfera rovinosa in cui tutto verrà inghiottito e distrutto, e poi la promessa di una nuova creazione. E a fronte di questo si narrano comunque le battaglie di questi dei.
È una lettura fuori dai miei normali interessi, ma che ho voluto provare comunque, visto che è comunque affascinante vedere le basi culturali, mitiche di un certo popolo (Thor e Loki poi sono ormai parte dell'immaginario pop internazionale), stesso motivo per cui è importante conoscere la mitologia greca o la narrazione biblica. Direi che a livello personale è stato ostico e non sempre invitante, ma sono sicura che chi avesse più pazienza e entusiasmo rispetto a me su questo tipo di narrazione mitologica antica avrebbe la possibilità di soffermarsi di più su tantissime cose interessanti, dalle tensioni tra politeismo pagano e cristianesimo per quel che riguarda in particolare il contesto di Sturluson, ma anche il valore della memoria, dei nomi e del nominare, cioè la mitologia come metodo per ordinare, dare un senso al mondo, e altro, come già testimoniato dall'acuto e ricco commento di introduzione in questa edizione Adelphi.
Jul 01, 2020 12:19AM

62280 Mi aggancio con Edda di Snorri Sturluson. Stesso luogo di provenienza di più autori: Islanda.
Jun 30, 2020 02:57PM

62280 Finito libro n. 35: L'invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares.

Ah, però! Mi è piaciuto molto, sottoscrivo l'apprezzamento di Pierre. :) Cervellotico, ma comunque più accessibile, a mio modesto parere, del film che si ispira ad esso, L'anno scorso a Marienbad di Resnais - probabilmente per il personaggio del protagonista che attua la parte di detective fiction, che cerca attivamente spiegazioni, estromessa dal film.
Tante cose confluiscono: il tema psicologico, i poteri della tecnologia e anche un bel discorso sul cinema, da cinefilo quale era Casares a quanto pare, il tema dell'immortalità, della memoria, della percezione. Pare però di fare un torto al marchingegno narrativo del romanzo a parlarne diffusamente, per il rischio spoiler. Se la prima parte magari confonde infatti, è bello poi invece guadagnare tasselli su tasselli dei fenomeni di quest'isola su cui sbarca il protagonista, con un quadro degli eventi, ma anche della loro portata tematica sempre più stratificata. Veramente acuto, intelligente. È stato carino intuire nelle parti sull'immagine una possibe posizione fioriera rispetto alla nostra attuale società proprio fondata su di esse, sui media e su tutti i suoi "simulacri", e vedersela confermata e condivisa nella postfazione!
Jun 23, 2020 06:34AM

62280 Mi aggancio a Pierre con L'invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares. Stesso autore.
Jun 23, 2020 06:32AM

62280 Finito il libro n. 30: L'impero della polvere di Francesca Manfredi.

Novità del 2019 nel panorama letterario italiano di cui avevo sentito parlare molto bene. Devo ancora rielaborarlo meglio, a fronte di un'impressione strettamente personale moderata. Tuttavia di elementi interessanti ce ne sono. Il romanzo, primo per l'autrice, che di per sé conosceva fino ad ora meglio l'arte del racconto, tanto da tenere un corso al riguardo alla scuola Holden, e aveva pubblicato precedentemente la raccolta di racconti Un bel posto dove stare, sembra tornare su un motivo ricorrente e caro per Manfredi: la casa. C'è persino qualche traccia imprestata dal genere horror, per quanto il libro non appartenga di per sé ad esso, della casa che ha quasi vita propria, "la casa cieca" (perché manca di finestre su un lato, guardata dagli abitanti del luogo un po' con ritrosia, con tanti pettegolezzi e animo superstizioso), un'abitazione rurale e decadente, in stato di peggioramento, e che tuttavia trattiene a sé come una radice forte da contrastare - le radici familiari - e che funge da cassa di risonanza per tutto il bacino di impulsi, paure, sentimenti delle tre protagoniste - con episodi di sciagura di evidente allusione biblica. C'è qualcosa di Faulkner, nella maledizione di una linea di antenati, di eredità sanguigna, insieme all'ambientazione di campagna. Le tre protagoniste sono una ragazzina ai suoi dodici anni, la madre e la nonna. La voce filtrante è quella di Valentina, la ragazzina, che vive il primo periodo di pubertà, di crescita del corpo, e che porta a forte instabilità. C'è quasi dell'"animismo" inquietato che ben si sposa, forse, con la sensibilità un po' ingenua e spaventata di questa età, specialmente nei tempi critici, dove sembra che tutto ciò che succeda, più che essere dipendente da molte cause, di cui tante non sono in proprio controllo, sia da imputare completamente, "melodrammaticamente" a sé. Si riflette l'educazione cattolica ricevuta dall'autrice, ad esempio, nel tipo di immaginazione biblica qui attivata e che impressiona la giovanissima Valentina, come nel personaggio della nonna, "prigioniera" di una mentalità del suo tempo, piena di superstizioni - ma anche di un rapporto più attento con la natura, coltivata, che ha dato sostentamento per una vita intera. L'aspetto immaginifico, infatti, con muri che hanno crepe da cui fuoriesce sangue - come ad essere "sintomo" delle prime mestruazioni di Valentina, a svelarle, uscire fuori dal suo controllo quando lei vorrebbe vivere nel segreto -, fenomeni atmosferici che paiono "divinizzati", come un destino che piomba dall'alto, ecc, è affascinante. In questo in verità lo trovo molto italiano (non è negativo!), mi ricorda anche un po' un'altra storia di formazione, crescita accompagnata alla religione in una piccola comunità: il film Corpo celeste di Alice Rohrwacher (quello mi colpì davvero). Il romanzo di per sé infatti vuole essere un racconto di formazione, dove non c'è soltanto la scoperta del corpo, e di cui la natura sembra farsi riflesso potente, ma anche un percorso di rinnovamento necessario, di autonomia e affrancamento, tanto che è un romanzo di formazione, forse, a due voci. Non cresce soltanto Valentina, ma anche la madre, che ebbe la figlia molto presto e che conserva ancora molti tratti "ribelli", un po' infantili. Avendo in sé varie caratteristiche del gotico rurale, dunque del ciclo naturale, come il ciclo biologico, e del peso degli antenati caricato oscuramente, Manfredi si attiene molto ad una natura quasi metaforica, dove una casa può sussurrare, trattenere malignamente, ma allo stesso tempo contenere anche l'invito ad essere abbandonata, ad andare via, uscire dall'ambiente natale, dal già dato "polveroso" della famiglia (la nonna è una figura che diventa, con tutte le sue qualità pur positive, fonte di affetto, ricordi, bloccata, ormai cristallizzata e impermeabile ad una possibile svolta o cambiamento, ultima testimone di un tempo che non dovrebbe essere più così, pur prendendone il bene). Manfredi rende bene allora questo mondo di trattenimenti e spinte centrifughe, di negoziazioni tra passato e presente nient'affatto facili o di certo esito, e certamente un percorso sensoriale di crescita, prestando dalla natura tutto un universo di sensazioni, con l'immaginazione viva di una dodicenne con la sua voglia di scoperta, ma anche con molte paure e suggestioni dalle figure familiari, che legge il mondo.