voto 2.5
Salve lettori!
Ricordate qual è la mia paura più grande con le serie?
Quella di non ricordare niente se i libri escono troppo distanti l’uno dall’altro. Ed è proprio quello che è successo con questo libro, cosa che tra l’altro avevo previsto nelle altre recensioni.
Il libro di cui vi parlo oggi, a malincuore, è “La lettrice. La ladra di storie”, terzo e ultimo libro della trilogia “La lettrice” di Traci Chee, edito Newton Compton editori, che ringrazio per avermi inviato il file digitale.
Eravamo rimasti con il secondo libro... Dove eravamo rimasti con il secondo libro? Bella domanda, me la sono fatta anche io appena letto il primo capitolo.
Non possiamo incolpare nemmeno la Newton, che anzi ha portato il libro in Italia anche presto. In lingua originale è uscito un sei mesi prima, quindi sempre un annetto dopo il secondo libro.
Incolpiamo la mia pessima memoria, incolpiamo la lunga attesa, ma io davvero ero in alto mare, peggio di Sefia e Arciere nei primi capitoli.
Dunque, ritroviamo Sefia e Arciere sulla Corrente di Fede del capitano Reed, Arciere è ferito, sia fuori che dentro, dopo aver ucciso alcuni dei suoi Sanguinari e aver abbandonato gli altri.
Intanto la Corrente solca i mari in compagnia della Crux, prima una nave nemica, alla ricerca del grande tesoro del re di Liccaro, che contiene anche l’Amuleto della Resurrezione, che il capitano Reed desidera ardentemente.
Sefia continua a tuffarsi tra le pagine del Libro, consapevole che la Guerra Rossa si sta avverando e avvicinando, e di conseguenza anche la morte solitaria di Arciere.
Quindi questo ultimo libro è una corsa contro il destino e il Libro, per scrivere un finale alternativo, salvare Kelanna dalla guerra e risparmiare Arciere, in modo che possa vivere una vita lunga e felice con Sefia.
Ma con tutta la magia e la bravura del mondo, è davvero possibile cambiare il destino? O qualsiasi passo, anche quelli per deviarlo, porteranno allo stesso fine?
Sarò completamente onesta con voi, lettori, questo libro non mi è piaciuto. Ho adorato i primi due libri, ho adorato la trama, i particolari, i personaggi, ma quando ho iniziato questo terzo libro è andato tutto a farsi benedire.
Tralasciando il capitano Reed, l’unico personaggio ad aver compiuto il ciclo della sua storia, nel modo migliore per lui, ossia in modo leggendario, tutto il resto della storia è stato un piatto e noioso susseguirsi di discorsi inconcludenti e domande esistenziali strappalacrime. Che, sinceramente, se avessi voluto leggere capitoli dopo capitoli di domande senza risposta, in cui ci si lamenta di sé e del proprio destino, potevo tranquillamente stare a sentire le voci nella mia testa.
Sefia e Arciere, gli eroi di questa storia, si sono trasformati in due bambini piagnucoloni che non sanno fare altro se non scappare, baciarsi e lamentarsi del proprio destino.
Sefia, che dovrebbe essere la strega più potente di Kelanna, figlia dell’assassina e del mago più forti del mondo, ha passato un libro intero a combattere qualcosa che era già scritto, a formulare piani inutili che le venivano in mente nei momenti più disparati, senza un’apparente connessione a ciò che stava pensando e/o succedendo, e a decidere di agire contro il destino finendo sempre per agevolarlo.
Allora dico io, sei una strega potentissima, sì, stai ancora imparando, ma sei un mezzo prodigio che riesce a gestire incantesimi che un intero ramo della Guardia ci ha messo secoli a capire ed è pure scomparso per questi in poche settimane, quindi non ti ci vuole molto, hai un potere da paura con cui potresti cambiare la storia e non riesci a spezzare un paio di colli da lontano?! E con lei mi fermo che se no spoilero.
E passiamo ad Arciere, il guerriero più intransigente e sanguinario di Kelanna... ridotto ad un bambino singhiozzante che un altro po’ non va nemmeno in bagno senza chiedere il permesso a Sefia. Penso che Arciere sia il personaggio che mi ha deluso di più; era un combattente, un ragazzo con degli ideali, con un codice d’onore. Capisco che la paura di morire sia orribile, ma doveva essere un eroe, un modello da seguire, e tutto quello che ha fatto è stato aspettare e osservare, accompagnare Sefia nelle sue ricerche e piani inutili. Fosse stato almeno uno stratega, macché. È andato avanti per nominata praticamente.
A questo punto vi chiederete perché io abbia continuato. Perché non mi sarei mai perdonata di essermi arresa proprio all’ultimo libro e perché in realtà ero proprio curiosa di scoprire come si concludeva questa storia fatta di magia e violenza. Volevo assolutamente sapere dove questo marasma sarebbe andato a parare, come se la giocava l’autrice.
Per me se l’è giocata abbastanza male, ma devo comunque dare anche un parere oggettivo, per cui metto a freno la lingua biforcuta.
Traci Chee ha dato vita ad un mondo interessantissimo, crudele e bellissimo allo stesso tempo. Un mondo alternativo e originale ricco di incomprensioni e regole distorte, paesaggi stupendi e maestosi. Ha continuato a trasportarci in questo mondo, a farci conoscere nuovi posti e tesori con le sue descrizioni dettagliate e vivide.
Il tipo di magia che ha inventato lo trovo sempre molto affascinante, potente e originale; le opportunità che ha aperto sul Mondo Illuminato sono luminose e varie, almeno le scene in cui Sefia lo evocava riuscivano a tenermi incollata alle pagine.
Anche le idee, che ha portato avanti attraverso Sefia, di base erano valide e avvincenti, ma nella decisone di arrivare al colpo di scena finale e alla conclusione prestabilita non ha dato spazio a queste di svilupparsi, evolvere e sbocciare e magari arrivare ad un finale alternativo più adatto alla trilogia.
Io, questo finale, magari il più logico, non l’ho trovato affatto concorde alla storia, ai personaggi e al loro percorso.
Si fossero comportati in modo diverso, forse l’avrei accettato, ma così mi è sembrato solo una conclusione forzata che l’autrice si era impuntata di dover portare avanti, ma che poteva tranquillamente svilupparsi in altri modi anche più emozionanti.
L’unico filone narrativo che mi abbia davvero emozionato è stato quello del capitano Reed, da sempre il mio preferito, e della sua necessità di essere immortale, di vivere per sempre per far raccontare di lui, di non morire mai per non essere dimenticato in un mondo in cui solo la parola volante può farti vivere in eterno.
Il suo è stato un personaggio che ha fatto un viaggio nel suo carattere e, meta dopo meta, ha raggiunto il suo stadio finale, epico ed eroico.
Le scene con Haldon Lac e Hobs si sono rivelate simpatiche e tenere, invece, per la bonaria stoltezza dei due.
Ci ho messo due settimane, due, per finire questo libro, lo leggevo a pezzi e bocconi perché mi faceva stare troppo male il fatto che non mi stesse piacendo.
Nonostante la narrazione fosse incalzante come negli altri libri e i capitoli veloci, ho trovato difficoltà a tenere un ritmo regolare perché ero talmente indignata che non ne fossi completamente dentro che non riuscivo a continuare.
Devo dire però che l’autrice è stata molto brava a veicolare i sentimenti attraverso le parole, perché alla fine mi sono comunque ritrovata in lacrime e addolorata per ciò che era successo.
Lettori, chiudere questa serie con queste parole mi sta uccidendo, io per prima sono distrutta dal fatto che non sia stato magico come i primi due, ma questo, ovviamente, è solo il mio parere.
Sono davvero curiosa di sapere se c’è qualcuno lì fuori che condivide ciò che penso o se siete assolutamente contrari.
Fatemi sapere, magari attraverso le vostre parole riuscirò a scovare quella luce che mi attirato e stregato nei libri precedenti e che qui ho visto spegnersi inesorabilmente.
Baci