Vite minuscole esce in Francia nel 1984. È il primo libro di uno scrittore ignoto al milieu letterario, ma è subito chiaro che si tratta di un esordio folgorante. E audace: recuperando una tradizione che risale a Plutarco, a Suetonio, all'agiografia, Michon ci racconta le vite di dieci personaggi non già illustri o esemplari, ma, appunto, minuscoli: e dunque votati all'oblio se non intervenisse a riscattarli una lingua sontuosa, di inusitata e abbagliante bellezza, capace di «trasformare la carne morta in testo e la sconfitta in oro». Vite come quella dell'antenato Alain Dufourneau, l'orfano che vuole «fare il salto nel colore e nella violenza», in Africa, convinto che solo laggiù un contadino diventa un Bianco e, fosse anche «l'ultimo dei figli malnati, deformi e ripudiati della lingua madre», può sentirsi più vicino alla sua sottana di un Nero; o come quella, lacerante, di Eugène e Clara, i nonni paterni, inchiodati nel ruolo di «tramite di un dio assentato» – il padre, il «comandante guercio», che ha preso il largo e da allora scandisce la vita del figlio come la stampella di Long John Silver, nell'Isola del tesoro, «percorre il ponte di una goletta piena di sotterfugi»; o come quella dei fratelli Roland e Rémi Bakroot, i compagni di collegio, torvamente sprofondati nel passato remoto dei libri il primo, nell'invincibile presente il secondo, e uniti da una rabbia ostinata non meno che da un folle amore. Santi o losers, paradigmi o catastrofici avatar del narratore, ciascuno di questi personaggi ha in qualche modo ordito il suo destino, istigato un'irreparabile lontananza, fomentato la convinzione che solo nella più inattingibile letteratura c'è salvezza.
Pierre Michon’s writing has received great acclaim in his native France; his work has been translated into a dozen languages. He was winner of the Prix France Culture in 1984 for his first book, Small Lives, the 1996 Prix de la Ville de Paris for his body of work, and the Grand Prix du Roman de l’Académie française. His works include Masters and Sons, The Origin of the World, and Rimbaud's Son.
Perhaps more than other literatures, French literature knows several 'repulsive lordships’: writers (mostly men) who don't bother to appear sympathetic, quite the contrary, and who deliberately focus on the ugliness of reality, without compromise. And they succeed, because the idiosyncratic, repulsive and unruly content they depict is usually presented in a sublime aesthetic form. Louis-Ferdinand Céline and Michel Houllebecq are well-known examples, but apparently Pierre Michon (° 1945) is also one of them.
When I first read this book six years ago, I really had a hard time finishing it, it was so hard to read. Michon uses an infinitely richer vocabulary than my knowledge of French (though quite extensive) allows; moreover, he composes his sentences in a very irregular rhythm: it are generally long sentences, within which each part follows its own path, deviates in a direction different from that in which the sentence began. But I must admit I got used to it and its style acquired a certain charm.
The content then: Michon presents “small lives, without glory”, and in the first half of the book it is mainly his ancestors, originating from a very remote region of central France (the Creuse). It are very sad life stories, which strongly reminded me of 19th century naturalists: bony, gnarled people who say little, and above all suffer their fate, placed in a very arid landscape. Gradually, the narrator himself enters the scene, literally even. And it's not a flattering portrait, on the contrary. Michon (if he can be assumed to be the narrator) turns out to be a very unsympathetic man who struggled for many years with himself, especially with his inability to write, and lashed out at his entourage, especially women (is Michon cultivating Céline's misogyny?). But in the end, the storyteller-writer seems to have found his destination, and managed to put his creative powers into shape, culminating in a sublime final paragraph in which almost all of his characters come together.
Meanwhile, as a reader, you too have struggled, particularly with the uncompromising and unruly style. But, as mentioned, this is compensated by regularly sublime scenes and descriptions. I admit that Pierre Michon and this book may not be quite my thing, but there is no doubt that Michon is one of the greats of contemporary French literature!
vite minuscole, ma a tratti du palle discretamente grandi. avrebbe dovuto insospettirmi aver perso il filo già leggendo il risvolto di copertina. colpa di una scrittura che non è solo complessa - non lo riterrei in assoluto un limite - ma volutamente complicata. fatta di periodi tortuosi e concetti lambiccati. la scorrevolezza deve fargli schifo, a pierre michon. prima di produrmi nel lancio plastico con cui congedo i libri da quando l'età mi ha resa insofferente, per 106 pagine ho ascoltato rumore di ingranaggi dietro le quinte, interrotto da indubbie e felici intuizioni ma scandito da troppo, troppissimo manierismo. (per contrapposizione: il fraseggio di michele mari scivola via che è un piacere anche quando si dirama e si impreziosisce di aulicismi). qui mi è sembrato invece che l'autore applicasse alla scrittura la sua idea del mondo: «una collezione indefinitamente espansibile di parole dai collegamenti imprevisti». mèco. a voler essere cattiva, direi che solo un francese poteva scrivere un libro così. tre stelle non troppo convinte all'impegno, e ad alcuni notevoli camei.
La scrittura come redenzione di vite perdute. E la scrittura come trappola che attende paziente la sua preda. Vite che incontrano il loro senso attraverso la scrittura, e vite che si perdono inseguendo le promesse della scrittura. Una lingua ricercata, una sintassi complessa: uniche armi contro la consunzione della morte e del tempo. Un'opera dall'architettura solida e implacabile: cappella di famiglia che accoglie nomi, frammenti di esistenze inimmaginabili o soltanto immaginate, gesti irreparabili, errori di un attimo che si espiano per sempre. La pagina come luogo in cui i morti e i vivi s'incontrano finalmente pacificati, in cui la morte è meno definitiva e il miracolo, forse, possibile.
"Lo ammetto: questa tendenza all'arcaismo, questi soprusi sentimentali quando lo stile non ce la fa, questa antiquata ricerca dell'eufonia, non è così che si esprimono i morti quando hanno le ali, quando ritornano nel puro verbo e nella luce. (...) Eppure la loro ricerca, la loro conversazione, che non è silenzio, mi hanno dato felicità, e forse anche a loro ne hanno data; dalla loro rinascita abortita spesso sono stato lì per lì per nascere, e sempre lì lì per morire insieme a loro; avrei voluto scrivere dall'alto di quell'attimo vertiginoso, di quella trepidazione, giubilo o inconcepibile terrore, scrivere così come un bambino senza parole muore, si dissolve nell'estate: con un'enorme, quasi indicibile emozione. Nessuna potenza stabilirà che non ci sono per niente riuscito. Nessuna potenza stabilirà che la mia emozione non è per niente esplosa nel loro cuore."
Michon is much better when he writes about others rather than himself. The chapters here about wandering family members and friends from school are filled with wonder and depth and mystery, investing memory with an exploratory expansiveness that resonated down to the obscurest cells of my grey matter; but the chapters that deal with himself and his struggling attempts to write, and his drug use and his relations with women, felt unnecessarily excessive and surcharged with intentional self-mythologizing. It was useful for me as a reader of Michon to know the facts (or a distorted version of them) of his dissolute behavior, as it seriously alters my impression of him as a borderline academic, so I welcome the knowledge that he once was a sloppy womanizing pill popper, and respect it, but his accounts of this period of his life are too confessional and egomaniacal (however brave) and bloated with self-importance. I could not even finish the longest chapter that deals with this, as the thought of continuing to read when I woke up this morning turned my stomach. Sweaty self-lacerating confessional bravado makes me a little sick.
“Mi resta la casa; il mio amore per lei non è venuto meno. C’è un glicine morto che si dispera; le intemperie e la mia incuria hanno mandato tutto in rovina; le essenze rare che Félix aveva piantato per me crollano a una a una sui fienili, tra scricchiolii improvvisi e lente erosioni; i forti venti scagliano lastre d’ardesia ubriache contro gli ippocastani, l’acqua morta si accumula dove i vivi dormivano, cadono fotografie e in fondo agli armadi altre sorridono nel buio all’oblio che le ricopre, schiattano topi e altri arrivano, pazientemente tutto si disfa. Su, va tutto bene; gli angeli misericordiosi passano in un volo d’ardesia, si spezzano e risorgono nell’aria azzurra; di notte scostano le ragnatele, vicino alle finestre rotte guardano luna dopo luna immagini di antenati di cui conoscono i nomi, bisbigliano soavemente tra loro e forse ridono, blu come la notte e profondi, ma cristallini come una stella; che godano della mia inabitabile eredità; il miracolo è consumato”.
Un narratore debole e inesistente, otto brevi biografie che costituiscono l'epica formazione di un soggetto centrale in negativo. Nel 1984 Michon mescolava falsificazione e sdoppiamento generando in una tradizione illustre e antica modelli di vita contaminata, deforme, meticcia, trasformata e ripudiata. Il destino dello scrittore è di essere confinato in una irredimibile lontananza, in una irreparabile separatezza: Michon qui ne accetta la catastrofica natura, evoca un immaginario tra Flaubert, la Bibbia e Céline, e attinge alla tradizione classica e pittorica per dare corpo all'assenza del divino, alla rabbia degli antenati, alla maledizione di tutti i figli in quanto riconosciuti. I protagonisti del racconto vivono nella provincia di Limoges, aspra campagna ai margini della geografia. Il letterario si identifica con la vita, in quanto tormentato viaggio nello spazio-tempo di un esilio, incursione pietosa in una cultura che cresce a dismisura e allude senza proporzione. Nel testo diviene visibile la trama celata dell'artista che accetta se stesso con fatica e profondità (non costretto dal grande, ma contenuto nel minimo): la madre maestra abbandonata dal padre, la dolcezza dei nonni, i compagni di scuola, le leggende di paese e il curato, un amore e una sorella prematuramente perduta. Famiglie incrinate, mogli che tradiscono e padri che fuggono: la sofferenza e le necessità che umiliano, il tempo che smentisce ogni ambizione, in definitiva è il reale a rifugiarsi nel simbolico, la cronaca dei fatti trova convinzione e comprensione nel racconto, nella lingua, nel dolore delle parole. La vocazione dell'autore francese all'infedeltà descrive un universo rurale composto di indimenticabili figure femminili e ritratti esemplari e contraddittori di uomini riscattati. Le vicende raccontano di tentativi di evolvere da una condizione di tragica inferiorità, perseveranza che assume una dimensione di sacrificio e ispirazione.
“Eppure la loro ricerca, la loro conversazione, che non è silenzio, mi hanno dato felicità, e forse anche a loro ne hanno data; dalla loro rinascita abortita spesso sono stato lì lì per nascere, e sempre lì lì per morire insieme a loro; avrei voluto scrivere dall'alto di quell'attimo vertiginoso, di quella trepidazione, giubilo o inconcepibile terrore, scrivere così come un bambino senza parole muore, si dissolve nell'estate: con un'enorme, quasi indicibile emozione”.
Hay libros que se leen con la certeza de estar de frente a obras maestras, tal vez a secretos que pocos han descubierto. Vidas minúsculas es uno de ellos, la filigrana que da belleza a su construcción asombra, es un libro para admirar la técnica, las historias, ahí está el disfrute. No fluye fácil, pero no por eso pierde. Michon derrocha erudición y cultura en cada historia, y aun así mantiene el ritmo.
Por aparte el ejercicio que plantea el libro es hermoso, Michon novela en cortas historias las vidas de sus antepasados, conocidos, amigos ... da color así a una genealogía, sobre la que trasciende de simples nombres a historias entretejidas que dan fondo a la suya propia.
Compré esta novela con el miedo de un principiante al introducirse en un nuevo escritor; si además acapara fama de erudito, complejo y vericuetal, esta se decuplicó. Vidas minúsculas es una gran obra. Se trata de biografiar la vida de una serie de personas que han estado en algún momento a la vista del escritor. No tienen por qué ser próximas, algunas sí, pero con todo ellos se hebilla la vida de Michon. Su fin, hacerse entender, comprenderse. El ser humano no es un ente ajeno a la humanidad. Nuestros actos no son únicamente los que conforman nuestra existencia, sino que los hechos más anodinos pueden complementarnos e incluso regenerarnos. Pierre Michon es un gran escritor. Si podéis, leedlo. Cuando compré el libro, pregunté al librero a quién se podía parecer. No supo responderme debido a su solemnidad y complejidad. Yo, mientras lo leía, me acordaba de otro escritor que también es minoritario, pero que su estilo es igual de clasicista y obnubilario: José María Pérez Álvarez. Si no lo conocéis, perdéis a un gran escritor. Michon lo es igual. Muy buen libro. Como muestra de su artificio, sintaxis profusa y simbolismo: “...los libros lo habían perdido, como dicen las buenas gentes... en este mundo que nunca veía tan bien como en los libros que para él lo sustituían, pero en un lugar de negación,de súplica siempre rechazada, y de maldad insondable, como, bajo las líneas tenaces enganchadas entre sí, la coquetería infernal de una mujer acorazada de plomo, que se encuentra debajo, a la que deseamos, cuyo punto flaco -que está en algún lado entre dos libras, que suponemos y buscamos temblando, que estará al final de esa página, cerquita y evadiéndose- nunca podremos encontrar; y al día siguiente volvemos sobre la pista de ese pequeño resquicio, lo vamos a encontrar, todo se abrirá y por fin estaremos liberados de la lectura, pero llega la noche y volvemos a cerrar la página de plomo invencible, caemos como plomo”.
Ce roman m'a bouleversée. Pierre Michon aura été une de mes plus belles découvertes de 2020. Dans ces Vies Minuscules, il raconte la vie paysanne, l'existence simple, les secrets de la nature. Mais c'est avant tout un style. Un style comme j'en ai jamais lu : insolite, pénétrant, sacral. J'ai rarement fait l'expérience d'une écriture qui a provoqué en moi une extase comme ça a été le cas avec ce livre. L'évocation de la nature m'a fait pensé au Chant du monde de Giono : la vérité terrestre s'enracine dans la musique des mots. La traversée qu'on en fait est intense, étrange, sexuelle, primitive, à la limite du surnaturel. J'en ai encore des frissons.
Infernal, j'avais l'impression que l'auteur se félicitait lui-même de sa qualité d'écriture. Les phrases sont ciselées et on croise des mots qu'on n'utilise plus que très rarement. Mais ce n'est pas suffisant pour supprimer une sensation de prétention terrible.
Going through this novel 'Roemloze levens' (orig. Vies minuscules) by Pierre Michon, written in powerful language, beautifully enriched with many metaphores and metonymia, I sometimes had some trouble in getting sufficient grip on the meaning of certain fragments. Nevertheless it overall was a joy, this close reading, about friends and relatives of the author, wrapped in the form of a novel, well, actually a series of portraits. I have been scholarly helped by the translator: Rokus Hofstede. Many times the author was e.g. referring to a poem by Rimbaud, or spoke of 'Bar do' as in the Tibetan Buddhism, mentioned historical figures, the extra layer would have skipped my attention; and how else would I have known, that 'sur la poêle à frire de sa langue' (in my Dutch edition 'in de braadpan van zijn taal', page 189) was a citation from the correspondence of Flaubert ... JM
The following text is a citation in Dutch. tussenstand op 14 oktober 2016: Een typering van de grootvader (pagina 63): “ .. afgaande op wat ik weet, was hij de speelbal geworden van een karakterzwakte waaraan hij ongetwijfeld reddeloos overgeleverd was geweest en die hem uiteindelijk, na de nodige tegenslagen en vernederingen, tot de glimlachende en vaak beschonken staat van halve versuffing had gebracht die ik me van hem herinner. In die tijd dacht ik daar niet aan wanneer ik hem zag: zijn rood aangelopen en tegelijk indroeve tronie – een clown, of beter nog: een King Lear na alle rampspoed, een geradbraakte vechtjas die geen greintje trots over had -, zijn dikke, rode neus, zijn niet minder dikke, rode handen, de onwaarschijnlijke plooien rond zijn hondenogen en dan nog zijn kwakende stemgeluid, om dat alles moest ik eerder lachen – met zo’n bangige kinderlach, die een manier is om het drama te ontwijken, het onbehagen te ontkennen.” Psychologisch raak, stilistisch verfijnd. Ik vervolg mijn expeditie verder langs familieleden van de auteur, tussen andere boek-bedrijven door. JM
Those haunted by the small people in one's personal past who have perished and only continue to exist in one's own soon-to-perish memory will find this a rewarding read. But beware. Michon, who was not a child of privilege and struggled to achieve his impressive cultural knowledge, experiences the world through the lens of literature and painting. Consequently, his writing is breathtakingly, sometimes maddeningly, inter-textual and sends one running to the internet on virtually every page to trace down some work of art or poetry. Moreover, like his hero Rimbaud, and so many other French writers, he portrays himself as belonging to the category of the "cursed poet," which leads to some painful pages and to the inevitable question as to how authentic the self-portrayal actually is. Alcoholism, drugs, madness, ill-treatment of women--it is all a part of the past of the narrator named "Pierre Michon." Some of Michon's small lives are more compelling than others. I especially recommend "The Life of André Dufourneau," "The Life of Antoine Peluchet," "The Life of the Bakroot Brothers" and, most of all, "The Life of Father Foucault." Who can ever forget the last of these, a man who chooses to die of throat cancer in a provincial hospital rather than go for treatment to Paris, where the fact that he is illiterate will just be too heavy a burden to bear. Gee, being surrounded by a group of Parisians who instantly get ALL of Michon's cultural references would be too much for this semi-literate reviewer to bear as well, although I would suffer through that if throat cancer were the alternative! Finally, despite my general enthusiasm for this very attractive volume, the translation is sometimes not as clear as the original, and in a few quite critical places it is just plain incorrect.
À la connaissance qui me l’a conseillé (car j’elevais Michel Houellebecq au rang de seul génie vivant de la littérature contemporaine) j’ai écrit : C’est le contraire d’un Houellebecq ou d’un Bukowski ... c’est lourd comme écriture, c’est prétentieux... on croirait un étalage de vocabulaire pendant les soldes. Ça me rappelle une phrase culte de la cour de récréation : la culture c’est comme la confiture, moins on en a plus on l’étale. Quel manque de modestie cette écriture, prétentieuse, ostentatoire... après 40 pages j’avais la nausée.
Bref, si vous aimez la simplicité, passez votre chemin. Si vous faites des concours de vocabulaire, et idolâtrez le verbiage d’Emmanuel Macron, vous risquez d’adorer !
Una lettura particolarmente impegnativa si dipana attraverso otto capitoli/racconti che originano dalla memoria dell’autore e della sua famiglia.
I primi sono anche i più affascinanti, interamente costruiti su frammenti di ricordi, sensazioni, volti e paesaggi, reliquie di personaggi dalle esistenze sfuggenti, appena percepite dal narratore bambino o non ancora venuto al mondo, che supplisce con l’immaginazione e il grande talento visionario ai vuoti della memoria e alle licenze dei racconti tramandati dagli antenati, i nonni soprattutto.
In questi capitoli, sull’emigrante Duforneau, sul padre e figlio Peluchet, sui fratelli Bakroot, la capacità di evocare un mondo, un’esistenza contadina, i rapporti fra generazioni con la voglia di fuggire da parte dei più giovani e la continuità perseguita dai vecchi, compensa ampiamente le difficoltà di concentrazione che la lettura induce, con quel suo periodare dilatato, i termini più allusivi che esplicativi, la scelta di porre sovente il soggetto delle frasi (di lunghezza talora estenuante) in una posizione non lineare, che obbliga spesso alla rilettura per riprendere il filo del racconto: uno stile, in definitiva, più adatto a una poesia che ad una narrazione.
Ma, come dicevo, questa fatica è ripagata, e con gli interessi, da squarci di un lirismo abbagliante caratterizzati da uno stile che ama spostare l’attenzione dall’oggetto della storia raccontata al paesaggio circostante, ai boschi della Creuse, ai cimiteri, ai campi da arare, agli oggetti della povera gente, con imprevisti piani sequenza quasi cinematografici (Tarkovskij?).
Nella seconda parte del libro, sebbene i capitoli continuino ad essere intitolati a fuggevoli personaggi minori, altre ulteriori Vite Minuscole, si assiste all’apparente paradosso per cui più gli eventi e i personaggi si avvicinano al tempo presente di un narratore/Michon ormai adulto e votato alla letteratura, più le pagine perdono spessore e suggestione, lasciando il posto agli invadenti tormenti autodistruttivi di uno scrittore in piena deriva professionale ed esistenziale.
Nonostante alcune esitazioni ho scelto di attribuire il giudizio sul libro privilegiando l’effetto dei bellissimi primi quattro capitoli/racconti.
First of all, I just want to say that I really like the idea behind this book. It is split up into 8 novellas that each tell the story of people who influenced the author's life at one point or another. When put together they tell how the author came to write this roundabout version of an autobiography. My problem with it was the style. The sentences seemed to go on and on and on (at one point I counted: 20 lines with no full stop.) I know this is considered stylistic in the Romance languages, and I can usually deal with it, but with Michon... I don't know... his language use was a bit all over the place too and he'd subtly change subject in the middle of a sentence (usually to give his opinion on something) that I didn't always notice until I stopped to think that what I was reading just did not make any sense anymore.
Michon is a magnificent prose stylist and his instrument works best when he is writing the lives of others. When writing about himself and his drug-taking, betrayals, and so on, it does not work so well, partly because the language surreptitiously glorifies with its music what he pretends to deplore. So I find some hypocrisy in his self-portrayal ("You women all left me because I behaved so badly, but see, I have become a great writer nonetheless, and you with all your pitiful virtues are now a footnote in my autobiography.") Too bad. Character really does interfere with artistry, and he should know better.
Except for the usual first book problems (we get it, you're an artist, you've suffered, you've made others suffer, go ahead, express it all), this is outstanding. I have no way to describe why Michon is so much more interesting than so many people writing today, but he is. Density, I think, if that helps.
Qué hallazgo. Me ha encantado el estilo de Pierre Michon. Al principio me costó trabajo entrar en sus formas, pero al llegar al tercer capítulo-biografía ya estaba totalmente atrapada. Es un gran estilista. Tiene formas de describir que siento muy honestas y originales.
“Bajo el imperfecto engaño de la letra, hubieran adivinado que yo estaba hecho de desconocimiento, de caos, de analfabetismo profundo, iceberg de hollín cuya parte emergente no era más que un señuelo; y el charlatán habría sido fustigado. Para que me considerara digno de afrontar a Anubis, hubiera sido necesario que también la parte invisible estuviera pulida con palabras, perfectamente congelada como el diamante inalterable de un diccionario. Pero estaba vivi; y puesto que mi vida no era un huerto de verbos, puesto que siempre se me escapaba la letra de la que hubiera querido estar constituido de pies a cabeza, mentía al pretender ser escritor; y castigaba mi impostura, pulverizaba mis escasas palabras en la incoherencia de la borrachera, aspiraba al mutismo o a la locura, y remedando “la espantosa risa del idiota”, me entregaba, otra mentira más, a los mil simulacros de la muerte.” Vidas minúsculas”. Pierre Michon. Qué delicia de palabras escoge Pierre Michon. Recordaba claramente la prosa pero no los prolegómenos del libro y esta segunda vez lo recomendaría sin dudar por la misma razón. No considero que sea un libro complicado en cuanto a estructura, pero el estilo es para beber a pequeños sorbos, con calma y disfrute. Michon da al detalle la fuerza de lo importante, busca y exige al lector durante toda la obra para recompensarle con detalles que conforman la minuciosidad de la vida. El libro es una escalada que emprendes con él y te va mostrando la esencia de los personajes, el recorrido que emprenden, pero sobretodo, es un viaje por la palabra, por la prosa sonora y medida, con voluntad lírica, llena de referencias a Rimbaud, Faulkner, Proust, Focault, Gombrowicz… un paraíso literario que incluye, además, como argumento del libro, el esfuerzo del autor por convertirse en escritor. Mezcla de ficción y realidad, semilla de la autoficción que surgiría posteriormente como género literario, no sé si realmente le costó tanto a Michon convertirse en escritor, pero cuando lo consiguió lo hizo con una gran obra.
I'm pretty sure I missed about half of this book in my first reading - it's written in highly literary French, and at some point it's going to require a reading with a dictionary in my other hand (which is not the way I prefer to read a book, but this one is probably worth understanding). The premise is intriguing: it's an autobiography, more or less, but written in the form of short stories beginning with more-fiction-than-not accounts of relatives about whom little to nothing is known and eventually converging on the life of the author himself. It's not cheerful, but it's well-written and well-structured.
Le vite qui raccontate saranno anche minuscole, ma la scrittura è grande, ricca e capace di mettere luce e anima ovunque.
Vita di André Defourneau ★★★★★ Vita di Antoine Peluchet ★★★★ Vite di Eugène e di Clara ★★★★★ Vite dei fratelli Bakroot ★★★★ Vita di père Foucault ★★★★★ Vita di Georges Bandy ★★★★★ Vita di Claudette ★★★ Vita della bambina morta ★★★
"Semmai l'aspirazione a non interrompere, a non diluire la densità di una simile scrittura, affinché ne risulti appunto il carattere assoluto, di rara capacità evocativa, di rara potenza nel raccontare." - dalla postfazione
Ce livre représente beaucoup d'émotions pour moi, par la manière dont je l'ai acquis et par les événements qui se sont déroulés durant sa lecture. Il a été pour moi un coup en plein cœur, tant de signes que j'ai relié à mon propre vécu : un de ces livres dont on a l'impression qu'il s'écrit sous nos yeux, qu'il ne parle qu'à nous. Vision égocentrique. Livre merveilleux par son expression de la ruralité. Je souhaite dorénavant lire l'ensemble de l'oeuvre de Pierre Michon.
Michon, en su primer libro publicado en 1984, se intenta entender y explicar a través de las vidas de los otros. Gente humilde del entorno rural donde nació y creció el autor, personas que conoció o de las que tuvo noticia. Estamos hechos de historias. Mezcla de recuerdos inventados, autoficción: "No me gusta inventar totalmente los personajes. Inventar es clonar, las bibliotecas están pobladas de ectoplasma. Prefiero los fantasmas, resucitar a los verdaderos muertos, prefiero los archivos."
Un viaje por la palabra, minucioso y lírico, sensorial y sensual que me ha dejado sin aliento. Un paraíso literario lleno de libros "que me siguen como a un presidiario su bola de hierro". Literatura pura y culta. Belleza. La búsqueda de su propia voz como escritor a través de los barbitúricos y el alcohol.
Poco más puedo decir. Léanlo. Yo pienso leerlo todo. Mi nuevo autor favorito.
"(...) los libros lo habían perdido, como dice las buenas gentes (...) en este mundo que nunca veía tan bien como en los libros que para él lo sustituían, pero era un lugar de negación, de súplica siempre rechazada, y de maldad insondable, como, bajo las líneas tenaces enganchadas entre sí, la coquetería infernal de una mujer acorazada de plomo, que se encuentra debajo, a la que deseamos hasta el crimen (...)
Je me souviens d'avoir vu un jour une émission spéciale de la grande librairie consacrée à un écrivain français extraordinaire nommé pierre Michon. Sa façon magnifique de présenter ses livres ,ses mots joliment choisis attirent mon attention sur l'un des livres intéressants "vies minuscules". Ma curiosité me pousse à découvrir le contenu de ce livre. Par hasard je l'ai trouvé chez un marchand ambulant. Le parcours des petits gens humbles m'intéresse par ce que on apprend'eux l'expérience d'exister . Le grand écrivain français m'introduit chez les paysans normaux pour suivre les traces de 8 vies minuscules des gens modestes qui n'ont pas marqué l'histoire. Ce livre me charme par la qualité de ses phases poétiques. Il me nourrit par ses réflexions sur la littérature et la vie .à travers ce magnifique livre pierre Michon évoque ses différentes difficultés rencontrées dans sa carrière littéraires pour se lancer.
Exceptionally well written in very poetic prose, this is a, sort of, autobiography broken into short stories of people in Pierre Michon's life. The first two stories were almost pure poetry. The first was the story about Andre Dufourneau, who, when Michon's grandparents parents asked for an orphan to come help on the farm, was placed with them. In this Michon used his imagination to tell Andre's life story. The second story was about Antoine Peluchet. Michon tells how he himself was the first male in the family line since Peluchet in over a century. He explaines how Peluchet's older sister had a daughter, who had a daughter who was Michon's grandmother who had his mother who had him. In this story Michon again used his imagination to construct the life of Peluchet based on the few facts he knew of him. The rest of the book were stories taken from events and people in Michon's own life. These stories weren't nearly as good as the first two because he had to adhere to known facts without embellishing them with his poetic imagination. Most of these stories were about his love life and extreme addiction problems which seemed to dominate much of his life. It was a good book but, if all of the stories had been like the first two, it would have been a definite five stars.
Pierre, ma perché non vuoi che la gente ti comprenda? Era troppo banale scrivere in un linguaggio normale? No, eh? Eppure hai descritto vite minuscole così belle...
Wat een geweldig boek dit. Dat had ik niet verwacht toen ik aan het eerste verhaal van deze zogenaamde bundel bezig was. Ik moest erg wennen aan de stijl van Michon. Hij gebruikt lange zinnen met veel beeldspraak waar ik als lezer even tijd voor nodig had om op waarde te kunnen schatten. Op een gegeven moment viel het kwartje.
Zo spreekt Michon over het verre Amerika, de plek waar een verdwenen hoofdpersoon uit een van de verhalen naar toe zou zijn gegaan:
'.. een rijk maar gevaarlijk land, een moordenaarshol, een Babel van verwarring, vol Sinaïs van doorstruiken en Kanaäns van dorpsfeesten, vol gevallen maar minzieke vrouwen en levens die fantastisch of rampzalig zijn, of allebei tegelijk, zoals het leven is in landen van horen zeggen.'
Soms moest ik een gedeelte even herlezen omdat de bijzinnen zo talrijk waren dat ik door de vele vertakkingen even de weg kwijt was. Michon laat mij als lezer hard werken en dat betaalt zich uit.
Michon beschrijft in een achttal verhalen de levens van mensen rondom hem. De levens van de hoofdpersonen die volgens de ik-persoon zo goed als vergeten zijn. Zo lezen we zijn gedachten als hij nadenkt over de laatste keer dat hij zijn grootouders zag, grootouders voor wie hij alles was en die voor hem niet zoveel meer betekenden.
'Hun gebaren, die voor mij de laatste waren, heb ik gezien, en ik weet er niets meer van; hun laatste woorden zijn mij voor altijd ontnomen, hun afscheidsgroet is weggeblazen achter een gordijn van harde wind; nimmermeer zal ik me het dubbele silhouet herinneren, onvast en aangeslagen in de deuropening, een beeld dat ze niettemin geboden hebben aan mijn ondankbare geheugen - helemaal in het graf en toch nog zachtjes, kranig wuivend tot de auto van de kleinzoon was verdwenen, die al wazig van tranen was geworden lang voordat hij door het bos werd opgeslokt, in de onherroepelijk definitieve bocht van de weg.'
En oh wat zijn die zinnen prachtig. Hier gaat het over een donderpreek van een dominee, een hoofdpersoon uit één van de verhalen.
'... plotseling klaterden de woorden, schalden ze vurig tegen de koele gewelven, als koperen knikkers die in een loden kom worden gegooid; de onbegrijpelijke Latijnse tekst was van een onthutsende helderheid; de lettergrepen vermenigvuldigden zich in (zijn) mond, de woorden knalden als zwepen die de wereld sommeerden zich over te geven aan het Woord; de galm van de slotklinkers, culminerend in het goudglanzig opdwarrelende kazuifel (...), was de dof dreunende bas van een tamtam, die de vijand (...) betoverde.'
Langzaamaan leren we ook de ik-persoon beter kennen. De hoofdpersoon die zelf worstelt met zijn schrijversbestaan en daar op het magistrale einde nog grandioos op terugkomt. Zonder te veel te verklappen:
'.. vaak werd ik zelf bijna geboren in hun mislukte wedergeboorte, en altijd stierf ik bijna met hen...'
De roemloze levens hebben zijn betekenisvol geweest, al was het maar omdat ze onsterfelijk zijn gemaakt voor over ze te schrijven.