Atene contro Siracusa (Parte XIII)

Il problema è che né Lamaco, né Nicia avevano le capacità dialettiche di Alcibiade. Inoltre, Lamaco, poi considerava la strategia di Nicia poco efficace, che avrebber portato al linciaggio politico in patria; Nicia, al contrario, temeva l’approccio troppo aggressivo del collega. Per cui, per uscire, dallo stallo, i due decisero di assecondare il pupillo di Pericle, nel suo tentativo di approccio diplomatico.

Per prima cosa, Alcibiade traversò lo Stretto, cercando l’alleanza con Messina: ciò avrebbe facilitato sia il trasferimento delle truppe ateniese in Sicilia, sia avrebbe permesso di interdire le esportazioni del grano siciliano nel Peloponneso, mettendo in crisi l’economia siracusana e riducendo al contempo la capacità bellica spartana, dato che gli opliti, a stomaco vuoto, sono assai poco combattivi. Però, come racconta Tucidide, il tentativo non ebbe un buon esito.

Lamaco aveva esposto queste vedute: tuttavia, in fatto di decisioni concrete, aderiva anch’egli all’idea di Alcibiade. Costui, dopo il vertice, si era recato a Messene a bordo della sua nave, ed aveva intavolato con la cittadinanza un colloquio, preludio a un’alleanza. L’esito fu nullo. I Messeni risposero che non avrebbero ospitato l’esercito dentro le mura, ma avrebbero offerto il mercato in uno spiazzo esterno: e Alcibiade ripassò a Reggio.

Dato che le chiacchiere a poco portavano, si tentò un’azione dimostrativa: una flottiglia delle sessanta navi, seguendo la proposta inziale di Nicia avrebbe mostrato da una parte la buona fede ateniese, ossia che non si voleva conquistare l’intera Sicilia, dall’altra, associando il bastone alla carota, avrebbe reso più efficaci i sondaggi diplomatici di Alcibiade.

In realtà, come era prevedibile, essendo il numero di navi assai limitato a intimorire i potenziali avversari e a convincere gli indecisi, la presunta prova di forza fu fallimentare. L’unico risultato fu ottenere l’alleanza di Naxos, che però, in termini di risorse e di soldati, spostava ben poco sullo scacchiere siciliano: persino Catania, tradizionalmente ateniese, con la scusa delle proteste della minoranza filosiracusana, preferì tenere una posizione attendista.

Per cui, senza troppo costrutto, gli ateniesi ormeggiarono presso il fiume Teria, l’odierno San Leonardo nei pressi del comune di Lentini: il giorno, per non rimanere con un pugno di mosche. tentarono un’azione dimostrativa nei confronti di Siracusa. L’idea iniziale era probabilmente tentare il raid proposto da Lamaco. Anche in questo caso, si resero conto che stavano celebrando le nozze con i fichi secchi: le navi e gli opliti erano troppo pochi per impensierire il nemico.

Di conseguenza, ci si limitò a due azioni, assai meno bellicose: la prima, fu una bieca attività di propaganda. Dalla flotta fu annunciato ai abitanti di Leontini, profughi a Siracusa,che l’unico scopo degli ateniesi era restituire loro la patria. Ciò oltre a indorare la pillola dell’imperialismo ateniese all’opinione pubblica locale, doveva convingere gli abitanti di Leontini a fungere da quinta colonna o costituire una base di trattativa con i siracusani. Entrambe le speranze andarono deluse.

La seconda un’azione di intelligence: 10 navi ateniesi penetrarono nel porto grande di Siracusa per valutarne le difese, cosa che fecero senza grossi problemi, il che provocò parecchi rimpianti a Lamaco. Svolti i due compiti le due navi tornarono a Catania, dove Alcibiade, per convincere la polis a schierarsi con Atene, organizzò un vero e proprio golpe.

Senza indugi gli strateghi armarono con truppe scelte dall’intera armata sessanta vascelli e stivati i viveri occorrenti veleggiarono di costa fino a Nasso, distaccando i rimanenti reparti e Reggio, agli ordini di un collega. I Nassi, concessero ospitalità nella cinta ed essi avanzarono lungo la costa fino a Catania. Ma poiché i Catanesi rifiutarono di accoglierli (operava in città un gruppo filo-siracusano), proseguirono fino al fiume Teria per bivaccarvi e passare, il mattino dopo, a Siracusa con la squadra ordinata in linea. Non completa: avevano lanciato in avanti dieci navi perché penetrassero nel porto grande ad accertare se si trovasse già in acqua una squadra nemica in assetto. Dalle tolde di questa flottiglia che si sarebbe accostata alla città si doveva inoltre bandire un proclama: gli Ateniesi erano in arrivo per restituire ai Leontinesi la loro sede, mossi da affinità di stirpe e da legami d’alleanza.

Dunque i Leontinesi riparati a Siracusa s’avvicinassero con confidenza agli Ateniesi loro fautori e benemeriti. Pubblicato l’annuncio, ispezionata dall’esterno la città, i porti, e le vicinanze che avrebbero utilizzato come base strategica, queste navi invertirono la rotta e rientrarono a Catania.

Qui frattanto si tenne un’assemblea in cui i Catanesi decretarono di non aprire le porte all’armata, ma di accogliere dentro gli strateghi con l’invito di chiarire i loro propositi. Ora, mentre Alcibiade negoziava e la folla dei cittadini era tutta assorta alle discussioni in assemblea, i soldati, senza dar nell’occhio, scardinarono una porticina adattata in qualche modo al bastione e penetrati si inoltrarono fino alla piazza del centro. Le sparute forze del partito filo-siracusano di Catania, notato il movimento di truppe dentro la città, caddero preda del panico e sparirono: gli altri cittadini si decisero a un’alleanza con Atene suggerendo di trasferire l’armata da Reggio a Catania. Ottenuto questo risultato, gli Ateniesi fecero vela su Reggio e ponendo ormai in moto tutta la rimanente flotta
attraccarono a Catania e, dopo lo sbarco, si occuparono di allestire il campo
.

Dopo il colpo di stato a Catania, agli ateniesi giunsero due notizie: che Camarina, colonia siracusana sempre pronta a ribellarsi alla madre patria, era pronta a schierarsi con Atene e che Siracusa stava varando una grande flotta. Entrambe si rilevarono false.

Per cui, fu ritentato l’approccio alla Lamaco, con un raid nei pressi di Siracusa, in cui però si rivelò un problema tattico, che ad Atene si era trascurato, nell’organizzare la spedizione. Gli opliti furono messi in fuga dalla cavalleria locale.

Novità fresche da Camarina, intanto: se si presentavano, Camarina era risoluta ad abbracciare la causa, mentre Siracusa attrezzava una flotta. Allora innanzitutto costeggiarono a forze compatte fino a Siracusa: ma nessuna squadra in allestimento era visibile. Sicché proseguirono fino a Camarina e operato uno sbarco sulla spiaggia chiesero per voce di araldo un colloquio ufficiale. Ma Camarina negò il ricetto, accampando il pretesto che il loro obbligo giurato imponeva l’accoglienza qualora gli Ateniesi approdassero con una sola nave per volta, salvo il caso che loro stessi stabilissero di sollecitare una spedizione più numerosa. Gli Ateniesi ripartirono dunque delusi, ed effettuarono su un punto della costa
siracusana uno sbarco seguito da una razzia. Ma la pronta reazione di un reparto di cavalleria siracusana sorprese qualche fante ateniese isolato nel contado, e l’annientò: così si decise la ritirata a Catania.

Le prime fasi della campagna siciliana mostrarono quindi tutti i limiti che la condussero al fallimento: un comando diviso, obiettivi velleitari e confusi, una strategia incoerente. A peggiorare il tutto, come conseguenza dello scandalo delle Erme, giunse da Atene la nave Salaminia, per ricondurre in patria, a una probabile condanna, Alcibiade e il suo staff…

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Published on April 12, 2021 09:44
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Alessio Brugnoli
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