Villa Sperlinga
Per molto palermitani, Villa Sperlinga, su viale Piemonte, all’altezza di Piazza Unità d’Italia, è un giardino pubblico alquanto insignificante: in realtà, si tratta di una reliquia di tutte le trasformazioni, positive e negative, subite dalla città negli ultimi secoli.
In origine, faceva Firriato di Sperlinga, enorme appezzamento di terreno, in buona parte incolto, annesso alla villa fatta erigere nel 1667 da Giovanni Stefano Oneto duca di Sperlinga, oggi diventata sede del Tribunale dei minori e del carcere Malaspina, citato tra l’altro nel film “Mery per sempre” di Marco Risi col termine “Rosaspina”.
Tenendo conto che questo edificio si trova in via Principe di Palagonia, nei pressi della Stazione Notarbartolo e degli uffici dei miei colleghi di progettazione territoriale, è abbastanza immediato rendersi conto delle dimensioni di tale parco.
L’edificio padronale, quello carcere, che tra l’altro ha avuto una vita degna di un romanzo: in origine, il duca di Sperlinga, per la sua dimora di rappresentanza non badò a spese, facendo costruire un enorme palazzo, caratterizzato da due cortili collegati tra loro tramite un vestibolo, a sua volta sormontato da una guardiola che serviva fin dal Settecento a vigilare sulle vie d’accesso.
Ancora oggi sopra la guardiola è possibile ammirare l’orologio che venne collocato nell’Ottocento e sopra il quale v’è scritto “Il tempo fugge e non ritorna”. L’interno della residenza invece presenta, oltre ad un ampio scalone a due rampe, coperto da volte a botte e cupola, una serie di sale collocate nel primo piano e che si affacciano sul terrazzo balaustrato.
Tra le principali sale merita una particolare attenzione il salone Baviera, oggi sede di rappresentanza ma in origine cappella privata della villa. Il salone fu decorato da Vito D’Anna, Gaspare Fumagalli e Francesco Manno, e inoltre possiede un delizioso piccolo portico i cui pilastri facevano parte di un teatrino collocato al Foro Italico.
Dopo una sessantina d’anni, però, il palazzo assunse una funzione inaspettata: tra il 1761 e il 1780, per volontà del quinto duca di Sperlinga Francesco Oneto e Monreale, venne in parte trasformata in fabbrica di terracotta e ceramica. Francesco Oneto, che aveva vissuto per un certo periodo a Napoli, pieno di fervore illuminista, voleva replicare a Palermo quanto da Carlo III nella reggia di Capodimonte. A sentire i miei amici appassionati del tema, non mi intendo di ceramiche, Francesco Oneto fece un lavorono: ingaggiò come direttore della fabbrica, Bernardino Letieri, uno dei principali decoratori di Capodimonte, fatto venire direttamente da Napoli, che ebbe la consulenza di Venanzio Marvuglia, che arricchì i motivi neoclassici di origine pompeiana, con quelli egittizzante che andavano tanto di moda a Palermo e dei grandi pittori rococò pittori Francesco Manno e Luigi Borremans.
Infine, assunse i maestri vasai venuti da Milano come Michele Brambilla e da Napoli come Andrea Atanasio e Gennaro Del Vecchio, per formare le maestranze locali: il risultato furono ceramiche di alta qualità tecnica ed estetica, ma dai prezzi non concorrenziali, che non andarono oltre il mercato locale.
Nel 1780, esattamente dopo vent’anni, il figlio del quinto duca, Saverio Oneto Gravina, resosi conto che il gioco non valeva la candela, decise di chiudere la fabbrica di famiglia. Così, per una cinquantina d’anni, il palazzo rimase abbandonato, per essere ceduto nel 1835 al governo borbonico, molto più lungimirante della Raggi, nel trattare la questione senzatetto, che lo utilizzò come ricovero per i giovani mendicanti.
L’amministrazione borbonica, però, non brillò per capacità gestionale, collezionando debiti su debiti: per evitare la bancarotta, Francesco Paolo Gravina, ottavo principe di Palagonia, grande benefattore convinse il Senato Palermitano a comprare il complesso, per trasformare il tutto in una succursale dell’Albergo delle povere di corso Calatafimi. Nel 1933 la villa passò allo Stato e al Ministero di Grazia e Giustizia che decise di destinarlo a sede del Centro per la Giustizia minorile.
Nel frattempo, che succedeva al parco, che da via Malaspina arrivava a via Libertà, con un’estensione pari a 87 are e 32 centiare, 8732 mq? Fu acquisito dalla famiglia Citarda, che lo destinato ad agrumeto, che il 13 novembre 1886 lo rivendettero a Joshua ed Euphrosyne Whitaker, Effie per gli amici, donna senza dubbio originale: grande amante dei pappagalli, collezionista d’arte orientale e di coralli, stupiva la buona società dell’epoca, per il suo look peculiare. Quando non indossava lustrini e penne di struzzo, vestiva in kimono o con abiti maschili, soprattutto quando si dedicava al suo grande hobby: giocare a tennis.
La coppia inizialmente aveva acquistato il terreno per costruirvi la propria abitazione, ma alla morte di Joseph Whitaker e dopo l’apertura della via Cavour, Joshua preferì il palazzo in stile gotico-veneziano, dove attualmente ha sede la Prefettura. Così villa Sperlinga divenne il campo giochi di Effie. La cura del giardino fu nelle mani del fidato Emilio Kuzmann, lo stesso di Villa Sofia, che piantò vari tipi di palme, ma anche alberi con alto fusto e con fiori, tra cui rose e orchidee. C’era anche un maneggio e due campi da tennis chiamati “Purgatorio” e “Inferno”, pare che il “Paradiso” fosse, invece, il giardino segreto, accessibile solo a pochi intimi, in cui Effie si dedicava ai suoi amati pappagalli: detto fra noi comprendo bene la sua passione… Il parco fu trasformato in un ampio giardino all’inglese, con prati traversati da lunghi viali ad andamento sinuoso, rettilineo e circolari, ricco di piante tropicali, grotte e laghetti. Ne avevano cura più di venti giardinieri
Un clima idilliaco coerente con l’aria che si respirava un secolo fa a Villa Sperlinga, merito anche dei tanti garden party che Joss e Effie organizzavano per amici, parenti e ospiti illustri. Come i reali inglesi, Edoardo VII e la regina Alessandra, che fecero visita il 25 aprile del 1907, oppure Giorgio V e la regina Mary nella primavera del 1924. Poi ogni venerdì era tempo dei tennis party, sport amato da Euphrosyne, ma il culmine si toccava il 24 maggio, giorno dell’Empire’s day, quando tutta la comunità inglese, compresi i marinai di passaggio, ma anche alcuni esponenti della nobiltà palermitana, facevano visita ai Whitaker, partecipando a una sfarzosa cerimonia. Al suono della banda un gruppo scelto di ragazzi si impegnava in sfide ginniche, seguita dalla premiazione e un ricco rinfresco, in cui si servivano, le une accanto alle altre, specialità inglesi e siciliane.
Oltre al tennis e ai pappagalli, Effie aveva un altro hobby: litigare con il comune di Palermo, affinché sistemasse la viabilità della zona: e tanto fece, che buona parte delle strade di quel quadrante cittadini derivano da sue iniziative.
Ma il declino era dietro l’angolo. Negli anni ’40 Audrey Sophia, figlia di Joshua e Euphrosyne, ereditò la villa dopo la morte dei genitori. Le sue condizioni economiche non erano floride, pensò quindi di capitalizzare il bene: aveva però davanti l’ostacolo del Piano Regolatore del 1885, meglio noto come Piano Giarrusso, che con molta lungimiranza, tutelava il verde pubblico cittadino e le ville storiche.
Casualmente, usiamo questo termine, un incendio distrusse gran parte degli alberi della villa, che per questo perse il suo vincolo di verde storico. Così, gli eredi dei Whitaker riuscirono a ottenere il cambio della destinazione urbanistica della loro proprietà e vendere alla Società Edilizia Villa Sperlinga controllata dell’Immobiliare Vaticana. Da quel momento in poi Villa Sperlinga diventò antesignana di ciò che sarà chiamato in seguito Sacco di Palermo.
Nel 1952 in cambio della cessione di 18.250 mq destinati a verde pubblico la Società Ediliza ottenme il permesso di costruire nei rimanenti 59.440 mq. Per convincere l’amministrazione comunale, i proprietari non avevano esitato a sradicare con il tritolo alcune piante secolari. E sono proprio delle piante secolari, ficus magnoliae per l’esattezza, tutto ciò che rimane della contigua Villa Conigliera, una ex proprietà della famiglia Florio passata sotto il controllo della società omonima, presieduta formalmente dallo stesso Florio ma di fatto controllata da Santi Cacopardo, presidente dello IACP.
La casina di caccia interna al parco fu distrutta da un altro “provvido incendio”, i residui ficus non danneggiati dal fuoco furono salvati solo grazie alle proteste di un gruppo di cittadini, ma subito cicondati dal cemento di via delle Magnolie.
Ultimo tassello della speculazione nell’area fu la convenzione stipulata tra i noti mafiosi e speculatori Giovanni e Nicolò Di Trapani e il Comune che prevedeva lo svincolo di un agrumeto, attiguo alla Villa Sperlinga, destinato dal Piano a verde privato, a favore dei Di Trapani che, a loro volta, avrebbero ceduto in cambio al Comune i terreni necessari per il prolungamento delle vie Giusti, Sciuti,Principe di Paternò e per un incremento del verde pubblico della villa Sperlinga, in piazza Unità d’Italia.
In meno di dieci anni una vasta zona del centro residenziale cittadino a nord della città vecchia, vincolata dal Piano di Ricostruzione a verde privato, si trasformò così in un settore caratterizzato da edilizia intensiva, con alti palazzi in cemento armato destinati alla media borghesia. Questo episodio è emblematico perché dà nozione di tutto un ceto di speculatori che si è reso protagonista della vicenda: l’Amministrazione comunale disponibile ad accogliere le varianti, la vecchia classe dirigente industriale ed aristocratica che, messa in ginocchio dal ventennio e dalla guerra, non esita a svendere i suoli edificabili, le grandi imprese come la Società Generale Immobiliare vicina alla DC, la Mafia rappresentata in questo caso dai fratelli Di Trapani
Cosa rimane del complesso originale, oltre al parco in piazza Unità d’Italia e al Carcere Minorile ? La cosiddetta Montagnola, in un giardino condominiale, un tempo circondata da uno specchio d’acqua alimentato dal canale Passo di Rigano, con dentro una grotta artificiale di cui s’intravede il varco, la casina liberty del custode, tra via Giusti e via Leopardi, diventata sede dell’Urp del Comune, la Cuba, casina in stile moresco, che ospita da anni uno dei “templi” della movida palermitana e qualche albero secolare, sparso tra i viali
Alessio Brugnoli's Blog

