Pirro XII

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Pirro, dinanzi alla pressione romana su Taranto, decise di agire alla sua maniera: invece di rimanere sulla difensiva, portò la minaccia nel campo avversario. Avendo saputo come le legioni di Manio Curio Dentato fossero impegnate in una delle solite guerre con gli etruschi, decise di dividere il suo esercito in due.





Una contingente ridotto, sarebbe rimasto in Puglia, per impegnare le truppe dell’altro console, Lentulo: con i veterani, il sovrano epirota avrebbe marciato su Roma, che credeva sguarnita. Nell’ipotesi peggiore, dinanzi a tale minaccia, Lentulo avrebbe abbandonato la Puglia: in quella migliore, dinanzi a tale minaccia, il Senato si sarebbe finalmente deciso a trattare, anche perché i Cartaginesi, dopo la ritirata di Pirro dalla Sicilia, si erano rimangiati tutte le promesse di aiuto.





In realtà, il sovrano epirota era vittima di una ben congegnata trappola, basata sulla disinformazione e sulle fake news. La presunta guerra in Etruria non era assolutamente vera è i punici, pur non avendo messo a disposizione i loro mercenari, si erano fatti carico delle spese di guerra. Il piano romano era alquanto semplice.





Manio Curio Dentato avrebbe tenuto impegnate nel Sannio le truppe di Pirro, mentre Lentulo si sarebbe sganciato dalla Puglia e lo avrebbe preso alle spalle. Però, per far questo, era necessario capire l’esatto percorso che avrebbe intrapreso il sovrano epirota.





Grazie a una complessa operazione di intelligence, il console romano scoprì come Pirro avesse intenzione di procedere lungo la Valle Telesina, per poi procedere a nord, puntando verso Praeneste: per cui, il luogo migliore per intercettarlo era nei pressi del villaggio osco di Maloenton, che a seconda dei filiologi, potrebbe significare o luogo pietroso o luogo di tosatura delle pecore. Villaggio il cui nome i latini, nella loro differente pronuncia, avevano deformato in Maleventum, luogo battuto da venti fastidiosi o ricco di meleti, sempre per le diverse interpretazioni linguistiche.





Manio Curio Dentato aveva a disposizione 17.000 fanti e 1.200 cavalieri. Lievemente superiori erano le truppe di Pirro: poteva così disporre di forse 20 000 fanti, 3 000 cavalieri e una ventina di elefanti. Nel dettaglio: 3 000 fanti e 300 cavalieri tarantini; 3 000 fanti e 300 cavalieri apuli; 3 000 fanti e 300 cavalieri sanniti (esclusivamente irpini e caudini); i rimanenti erano veterani portati dall’Ellade nel 280 a.C.





Grazie a un’informatore sannita, però Pirro scoprì la presenza delle truppe romane: dinanzi all’alternativa, tornarsene indietro, accettando una sconfitta strategica o dare battaglia, decise di correre il rischio dello scontro, nella speranza che una vittoria potesse finalmente convincere il Senato a scendere a patti.





Però, era necessario ottenere un successo eclatante: per cui, per prima cosa tentò di prendere di sorpresa Manio Curio Dentato. Per ottenere questo scopo, invece di procedere per l’usuale tratturo, l’antenato della nostra via Telesina, decise di fare avanzare le sue truppe per sentieri di montagna, “appannaggio esclusivo delle capre”, come dice Polibio.





Pirro, però sottovalutò la logistica: se gli alleati italici non ebbero problemi a muoversi, i pezeteri incontrarono numerose difficoltà, facendo perdere uno sproposito di tempo: di conseguenza, il sovrano epirota si trovò davanti le legioni già schierate e soprattutto posizionate sopra un’altura, cosa che avrebbe reso difficoltosa l’azione della falange.





Era necessario quindi stanare i romani: per far questo, Pirro mandò all’assalto un piccolo contingente, che fu coinvolto in un breve, ma sanguinoso combattimento con i legionari. Questa piccola scaramuccia iniziale diede ai soldati romani un nuovo coraggio: Dentato si decise a scendere dalla sua posizione sopraelevata, si fece più audace e marciò direttamente contro il suo avversario. Pirro si fregò le mani, dato che il nemico aveva abboccato.





In più il sovrano epirota, date le esperienze passate, si era reso conto di come la falange macedone avesse una serie di problemi nel sovrastare le legioni. Per cui, introdusse una serie di innovazioni: sostituì agli ipaspisti le truppe degli alleati italici, più adatte al combattimento corpo a corpo e alternò alle taxis contingenti di arcieri e di lanciatori di giavellotto, in modo da controbilanciare i pilum dei romani e creare così “un’area di rispetto”, che impedisse alle sue falangi di essere coinvolte in uno scontro corpo a corpo.





Inoltre, Pirro aveva concepito un piano tattico che sotto certi aspetti è l’antenato di quello seguito da Annibale a Canne. Gli arcieri e i lanciatori di giavellotto, oltre a proteggere i pezeteri, avrebbero dato il tempo a questi di arretrare senza scomporre la formazione: il centro romano si sarebbe trovato così sbilanciato in avanti. A questo punto, gli alleati italici avrebbero lo avrebbero aggirato, attaccandolo ai lati, chiudendo così i romani in una morsa.





A differenza di Canne, però, Manio Curio Dentato, avendo meno uomini, aveva disposto i suoi uomini su una linea lunga e sottile, probabilmente anche lui con l’intenzione di aggirare l’avversario. Per cui fu facile, per il console, appena si accorse della manovra degli italici alleati di Pirro, rafforzare le ali. Però, questo indebolì il centro romano. Pirro se ne accorse e decise di ricorrere al piano B, facendo caricare in quel gli elefanti, che avrebbero così spezzato in due lo schieramento nemico. A questo sarebbero state le taxis a caricare di lato i romani.





Ma Pirro non aveva tenuto conto di Publio Sulpicio Saverrione, l’uomo che in qualche modo, aveva limitato i danni nella battaglia di Eraclea. Se Manio Curio Dentato era il classico romano tutto di un pezzo, Saverrione era, come dire, un personaggio da commedia plautina: donnaiolo, assai corruttibile, ubriacone e grande amante dei banchetti.





Però era il massimo esperto romano nel combattere gli elefanti: per cui, a malincuore, Manio Curio Dentato se l’era portato dietro. Saverrione, negli ultimi mesi, aveva ulteriormente perfezionato le tecniche che aveva ideato, facendo adottare ai velites giavellotti più pesanti e appuntiti e addestrandoli a mirare agli occhi degli elefanti. In più, aveva dotato gli arcieri alleati di frecce incendiarie





Nonostante le rassicurazioni di Saverrione, i legionari, memori delle esperienze passate, appena videro caricare gli elefanti epiroti, scapparono a gambe levate, dando la possibilità alle truppe italiche di Pirro di incalzarle, rifuggiandosi nell’accampamento. Saverrione, però, non perse la calma. Dopo avere svuotato un’anfora di vino, diede ordine ai velites e agli arcieri di bersagliare con i loro dardi i plantigradi nemici.





I fatti diedero ragione a Saverrione: gli elefanti epiroti, impazziti dal dolore, fuggirono, caricando le truppe di Pirro. Manio Curio Dentato approfittò del caos per riorganizzare i legionari e ripartire all’attacco: la battaglia così degenerò in una serie di mischie confuse, che terminarono al tramonto.





Pirro, però, nonostante non avesse annientato il nemico, era tutt’altro che demoralizzato: lui aveva perso 7000 uomini, i romani 9000. Di conseguenza, nonostante le perdite, la sua superiorità numerica si era ulteriormente ampliata. Per cui o romani si sarebbero ritirati, oppure il secondo giorno di battaglia avrebbe avuto un esito ancora più favorevole.





A rompere le uova nel paniere per il sovrano epirota fu la notizia che le legioni di Lentulo si stavano avvicinando a marce forzate a Maleventum. Pirro si rese conto che le sue forze non sarebbero state in grado di affrontare le due armate consolari riunite, avendo a disposizione metà delle truppe e decise di ritirarsi.





La situazione strategica era complicata: nonostante i successi, il sovrano epirota non era stato in grado di costringere il nemico alla pace. Inoltre doveva gestire un esercito gravemente logoro, una fronda sempre più pronunciata degli alleati greci e la sostanziale stanchezza degli Italici. Alla lunga, i romani avrebbero prevalso per la semplice forza dei numeri.





D’altra parte, per mancanza di una flotta decente e mancanza d’interesse per le vicende greche, Roma non costituiva una minaccia diretta per l’Epiro. In più i costi umani delle guerra e la dipendenza economica da Cartagine stava rafforzando la posizione della fazione del Senato favorevole alla pace. Per cui, si raggiunse un compromesso: Pirro se ne sarebbe tornato a casa tranquillo, mantenendo il possesso di Taranto. I romani avrebbero avuto invece mano libera nel resto della Magna Grecia.





Per assicurarsi il possesso di Benevento, venne dedotto nel 268 a.C. il primo stanziamento di coloni romani con diritto latino. A quest’epoca risale il nome di Beneventum, mutato da Maleventum, considerato di cattivo augurio.

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Published on December 07, 2020 04:58
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Alessio Brugnoli
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