Le catacombe ebraiche di Vigna Randanini

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La comunità ebraica di Roma è probabilmente più antica dell’Occidente, dal momento che se ne conosce l’esistenza fin dal tardo II secolo a.C. Nel 139 a.C. la Giudea, sotto Giuda Maccabeo, rinnovò il patto di alleanza con Roma e un primo nucleo di ebrei si stabilì in riva al Tevere. La comunità si ingrandì nel 61 a.C. quando Pompeo portò con sé gli schiavi provenienti dalla Palestina, caduta sotto il dominio romano. Sappiamo inoltre ebrei parteciparono addolorati ai funerali di Cesare nel 44 a.C. e che molti loro mercanti si stabilirono a Ostia e a Pozzuoli. Se i rapporti con Augusto furono ottimi, quelli con i suoi successori furono alquanto conflittuali: Tiberio ne cacciò alcuni da Roma, i Libertini, inviandoli in Sardegna per contrastare il brigantaggio. Si dice, non per vie ufficiali, che la motivazione di tale decisione derivasse dalla frode da loro organizzata ai danni di Fulvia, moglie del senatore Saturnino, la quale avrebbe dato loro dei soldi da inviare a Gerusalemme, che tuttavia non sarebbero mai arrivati.





La situazione peggiorò con Caligola, successore di Tiberio, che entrò ben presto in conflitto con gli ebrei. Il “culto di sé stesso” da lui praticato era in netta contrapposizione con le tradizioni e leggi degli ebrei, chiaramente avverse al concetto di idolatria, che si opposero fortemente quando questo decise di porre all’interno della sinagoga di Alessandria una sua statua. Filone di Alessandria, ebreo e mediatore tra la cultura ellenica e quella ebraica, giunse a Roma, come raccontato nel suo “Legatio ad Caium”, per sostenere la causa degli ebrei di Alessandria contro la decisione dell’imperatore. Questa opposizione mosse le truppe dell’impero, guidate da Petronio (governatore della Siria), fino ad Acco dove furono fermate, pur se per poco tempo, dalla mediazione di Agrippa, re di Giudea. Dopo poco infatti, Caligola fece pressione per attaccare di nuovo la Giudea e sarebbe riuscito nell’intento se solo non fosse morto prima, ritardando di qualche anno lo scoppio della rivolta giudaica.





Sotto Claudio, benché secondo Svetonio





Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit





ossia cacciasse da Roma alcuni estremisti, seguaci di tale Chresto, mantenne in generale buoni rapporti con gli ebrei, tanto che proprio durante il suo regno, appaiono le prime notizie sull’organizzazione della loro comunità. A differenza di Alessandria d’Egitto, gli Ebrei di Roma non erano raggruppati in un unico polìteuma, cioè in un’associazione autonoma, ma divisi in varie congregazioni, fosse suddivisa in varie congregazioni, le antenate delle “scole”, che presero il nome di Sinagoghé, ciascuna con propri uffici e rappresentanti ufficiali.





Ne sono attestate con sicurezza undici: Agrippesians, Augustesians, Calcaresians, Campesians, Elaea, Hebrews, Secenians, Siburesians, Tripolitans,Vernaclesians e Volumnesians. La loro organizzazione interna rivela un’abbondanza di titoli che non forniscono, purtroppo, notizie relative alla loro importanza all’interno di ogni comunità. Se in origine gli ebrei risiedevano soprattutto a Trastevere, ai tempi di Vespasiano, cominciarono a trasferirsi a Campo Marzio, nella Suburra, all’Esquilino e a Porta Capena: l’incremento di popolazione impattò anche sui loro usi funerari: dal II secolo d.C. in poi i sepolcreti famigliari sono sostituiti da quelli comunitari, le catacombe ebraiche. A Roma ne sono state identificate sei, poste sulle vie consolari: Portuense (Monteverde), Appia (Randanini, Cimarra), AppiaPignatelli, Labicana (oggi Via Casilina) e Nomentana (Villa Torlonia).





Non si sa se ciascuna necropoli servisse indistintamente l’intera comunità e se fosse esclusivamente riservata a gruppi specifici, né sono giunte notizie sul tipo di organizzazione funeraria, se indipendente oppure agli ordini di un gruppo comunitario, né se fosse unica per tutta la città, ovvero se ogni cimitero ne avesse una propria.





L’aspetto delle catacombe ebraiche è molto simile a quello dei cimiteri cristiani contemporanei anche se, rispetto a questi ultimi, mostrano una maggiore semplicità architettonica e decorativa, inoltre le gallerie sono più ampie e con pochi cubicoli. A differenza di quelle cristiane le catacombe ebraiche non furono mai sede di celebrazioni liturgiche, in quanto la religione ebraica percepiva il contatto con i defunti come un’azione impura. Questo particolare, in realtà molto importante, fa si che le catacombe ebraiche risultino prive degli ambienti cristiani ipogei adibiti alle celebrazioni ed alle riunioni pubbliche, pertanto gli accessi, le gallerie ed i cubicoli sono da ritenere esclusivamente funzionali ai riti della sepoltura.





Le catacombe ebraiche di Vigna Randanini, scavata nel fianco di una collina fra la Via Appia Antica e la Via Appia Pignatelli, fu la seconda catacomba ebraica di Roma ad essere casualmente ritrovata nel 1857, da Ignazio Randanini, l’allora proprietario terriero dell’area. Gli scavi ufficiali, che non andarono oltre il primo lucernario, furono iniziati dal Garrucci, nel 1859, partendo dall’ingresso sull’Appia Pignatelli. Una prima descrizione della catacomba e delle iscrizioni sepolcrali fu redatta da Herzog nel 1861, che provvide poi a pubblicare nel resoconto del “Bullettino dell’Istituto di Corrispondenza Archeologica” .





I successivi scavi del 1862, portati avanti sempre dal Garrucci, oltre a rivelare il resto della catacomba, misero in luce un’altra entrata posta sull’Appia Antica e l’esistenza di un livello più basso. Sono sommarie le informazioni che lo stesso fornisce sia dei lavori svolti in catacomba sia delle iscrizioni, con pochi dettagli delle stesse e quasi nessuna informazione riguardo il luogo di ritrovamento. Egli rinvenne 195 iscrizioni sepolcrali incise su lastre di marmo e un non precisato numero di graffiti. Da quel momento in poi cominciò il progressivo saccheggio del complesso sepolcrale, che culminò tra il 1942 e il 1943, quando le catacombe furono utilizzate come rifugio anti aereo.





Le gallerie della catacomba di Villa Randanini che si snodano sotto la collina sovrastante sviluppano una lunghezza totale di circa 720 metri, di cui solo 450 di questi sono agevolmente percorribili. Dall’altezza media dei due lucernari si valuta che la catacomba si sviluppi ad una profondità di circa 10 metri.





L’ambiente esterno ha una forma rettangolare caratterizzata da una serie di strutture che sono da ascriversi ad almeno due fasi costruttive diverse: la prima datata alla prima metà del II sec. d. C., si presume fosse costituita dal solo piccolo ambiente quadrato caratterizzato da due esedre, in opus mixtum e da una nicchia in cui si intravedono ancora alcune tessere di mosaico bianco, una piccola pasta vitrea blu e qualche traccia di intonaco rosso e, probabilmente, una seconda nicchia, oggi scomparsa. E’ possibile che si tratti di un sepolcro familiare pagano, acquistato in seguito dalla comunità ebraica





La seconda fase, risalente al III-IV sec. d.C., è caratterizzata da una totale ristrutturazione dell’area: i muri longitudinali furono prolungati e rivestiti in opus listatum in cui vennero ricavati una serie di arcosoli. Al centro venne costruita una spina, anch’essa con arcosoli sovrapposti sui due lati, unita alle pareti laterali da muri con delle aperture a sesto ribassato. Fu in questa fase che, probabilmente, venne creata la decorazione musiva bianca e nera del pavimento. Nella parete sud-ovest si aprono le due porte d’accesso all’ipogeo.





Il Garrucci ed altri autori riconobbero in questo spazio una sinagoga, ipotesi avvalorata da alcuni elementi: la presenza di acqua, la divisione dell’ambiente in due unità distinte (per uomini e donne), la presenza delle absidi e del mosaico, ma soprattutto la distanza dell’edificio dallo spazio urbano. Entrando ci si trova in un ambiente oblungo che serviva da anticamera; un’apertura, posta sulla destra dell’anticamera, comunica con un vano grosso modo rettangolare, un vestibolo che presenta una volta a botte, ed era il primo locale a cui originariamente si accedeva tramite una seconda porta, oggi murata. Al centro di quest’ambiente c’è un pozzo, profondo circa 6 metri, che riceve l’acqua di scarico proveniente dall’ambiente esterno mosaicato.





La maggior parte delle sepolture è rappresentata da loculi, cubicoli ed arcosoli. In una regione più lontana dall’ingresso, si nota una gran quantità di kokhim, anche a più posti. Il kokh (plurale kokhim) è una tomba a forno che si sviluppa perpendicolarmente alla parete della galleria, diversi esempi si trovano in Palestina e Israele, come il kokhim che si trova nella Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. In Medio Oriente queste particolari sepolture venivano usate per circa un anno, il tempo necessario alla decomposizione del corpo, dopodiché i parenti del defunto raccoglievano le ossa e le custodivano in un ossuario.





Fra i cubicoli solo tre sono dipinti: il primo è affrescato con motivi geometrici molto semplici, resi con il colore rosso su fondo bianco. Sia sulle pareti che sul soffitto, all’interno dei disegni, sono visibili elementi decorativi molto più chiari e attualmente poco distinguibili, come del resto gli etrog (cedri) negli angoli. Sopra l’arcosolio è dipinta una grande menorah. Attualmente l’affresco si presenta notevolmente danneggiato soprattutto nelle pareti laterali e in quella d’ingresso.





Il secondo ambiente è preceduto da un vestibolo intonacato di bianco. Ai lati della porta che immette nel cubicolo, sullo zoccolo sono dipinti dei riquadri di incrostazioni marmoree e sopra queste una mezuzah. La decorazione interna è molto ricca: incrostazioni marmoree, fasce rosse e verdi, delineano l’apertura dei loculi separati tra loro da ghirlande di fiori. Sono inoltre dipinti fiori e un kantaros dal quale escono altri fiori. La particolarità di quest’ambiente è data dalla presenza di palme da dattero dipinte ai quattro angoli del cubicolo. La volta a vela, che aveva originariamente una decorazione di uccelli, è oggi scomparsa. Attualmente le pitture appaiono irrimediabilmente danneggiate a causa, sia della realizzazione dei loculi ricavati in un secondo momento e che hanno contribuito a far crollare la volta, sia dall’umidità causata dalle infiltrazioni d’acqua che provengono dal giardino sovrastante.





Una scala permette di scendere nel cosiddetto ”livello inferiore” dove sono distribuiti sia kokhim che loculi. In fondo a quest’area si apre un cubicolo doppio, ornato di pitture. Entrambi i cubicoli sono decorati con una divisione geometrica ottenuta mediante linee colorate che sottolineano gli arcosoli e su tutte le pareti circoscrivono i riquadri nei quali sono inserite le varie immagini. Il motivo centrale del soffitto della prima stanza, realizzato all’interno di una serie di anelli concentrici, è una Vittoria alata in atto d’incoronare un giovane nudo. Al cerchio esterno sono alternate varie figure come: pavoni, uccelli e cesti di fiori. I muri sono ornati con pegasi, galli, galline, pavoni e altre specie di uccelli, inoltre vi è dipinto un montone con un caduceo. La figura centrale nella volta del secondo ambiente è Fortuna con una cornucopia in mano. Nell’anello esterno figure di pesci e anitre e tra queste cesti di fiori. Sotto la figura di Fortuna, vi sono un ippocampo e due delfini, sul lato opposto alcuni pesci. In ogni pennacchio della volta a crociera c’è un Genio delle quattro stagioni. I muri sono ornati con ghirlande di fiori e uccelli. Il muro di fondo, ora gravemente danneggiato, presentava la figura di un uomo fra due cavalli. Le ipotesi avanzate dai vari studiosi, riguardo questi due ambienti, sono contrastanti: alcuni sostengono che questa regione era originariamente pagana e solo successivamente fu intercettata e inglobata nella catacomba, altri invece considerano le stesse giudaiche fin dall’inizio.





Questo cimitero ha restituito un rilevante numero di epigrafi i cui formulari seguono, per lo più, quelli usuali dell’epigrafia giudaica, riproponendo spesso l’augurio di pace al riposo del defunto

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Published on November 11, 2020 10:40
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Alessio Brugnoli
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