Il Complesso Callistiano (Parte II)
Ovviamente, il cuore del Complesso Callistiano, è scontato scriverlo, è costituito dalla catacombe di San Callisto. Queste a dire il vero, ebbero un’origine pagana: erano infatti una sorta di cimitero privato della famiglia dei famiglia dei “Caecili”, come testimoniato il rinvenimento dei numerosi frammenti di sarcofagi nei quali ricorreva frequentemente il loro nome. Famiglia, questa, faceva parte della gens Caecilia, un’antichissima famiglia romana plebea ma importante e ricca. I membri di questa gens vennero citati nella storia fin dal V secolo a.c., ma il primo dei Caecilia ad ottenere il titolo di console fu Lucio Cecilio Metello Denter, nel 284 a.c.
Nel II secolo, uno membro ignoto dei Caecili si convertì al cristianesimo e decise di donare il relativo appezzamento di terra alla Chiesa di Roma: una proprietà triangolare che si estendeva dalla Chiesa del “Domine quo vadis” e delimitato dalle attuali vie Ardeatina, Appia Antica e delle Sette Chiese. Terreno che inizialmente fu utilizzato soprattutto a scopi agricoli: vi furono scavato solo due piccoli ipogei sepolcrali.
Il primo, risalente alla prima metà del II secolo, era formato da una galleria con doppia cripta, che fu poco a poco ampliata e poi approfondita, raddoppiandone l’altezza. Alla fine del II secolo fu realizzato un secondo piano inferiore. Il secondo, di forma simile al primo, fu realizzato nella seconda metà del II secolo.
Le cose cambiarono con papa Zefirino, che probabilmente non era un fine intellettuale, ma certo brillava come diplomatico: oltre a evitare che i cristiani di Roma si scannassero in oscure dispute teologiche, risolse una disputa con Settimio Severo, che rischiava di degenerare.
Il motivo della lite era nel rifiuto della comunità cristiana di partecipare alle cerimonie che erano state istituite per la celebrazione del decennale dell’ascesa al trono dell’imperatore. Settimio Severo se la legò al dito ed emise un decreto che puniva la conversione al cristianesimo con pesantissime multe. Zefirino riuscì a risolvere la crisi, con un compromesso: i cristiani avrebbero partecipato alle sole cerimonie non in contrasto con i principi della loro fede, concetto assai vago e passabile di infinite interpretazioni soggettive.
Ora Zefirino affidò la gestione del fondo sull’Appia a Callisto, un vero personaggio da romanzo, che non avrebbe sfigurato ne La Stangata e che se non fosse Papa e Santo, potrebbe entrare nella Top Ten dei grandi cialtroni della Storia.
Callisto era lo schiavo di un certo Carpoforo, un cristiano della famiglia imperiale. Costui affidò grandi somme di denaro a Callisto, allo scopo di fondare, presso la piscina publica, una banca in cui orfani e vedove potessero portare i loro soldi. Il buon Callisto, invece, dissipò il tutto, dedicandosi alla bella vita e a speculazioni azzardate. Quando Carpoforo si accorse di questo, prese un nodoso bastone, pronto per romperlo in testa all’infedele schiavo; alla notizia, il nostro eroe scappò a gambe levate, per recarsi a Porto, dove si sarebbe imbarcato per l’Egitto. Ma non fu abbastanza lesto: appena vide avvicinarsi Carpoforo su una barca, lo schiavo si gettò in mare, per scappare a nuoto, ma fu preso, trascinato a riva, malmenato e consegnato al padrone, affinché lo punisse.
Carpoforo incatenò Callisto a una macina da mulino, come Conan il Barbaro, per costringerlo a trasformare ad oltranza grano in farina: qualche tempo dopo, tuttavia, spinto con ogni probabilità dal desiderio di togliersi dalle scatole i creditori di Callisto che si rivolgevano a lui per riavere il denaro perduto, Carpoforo lo liberò e lo cacciò a pedate.
Callisto aveva prestato parecchio denaro alla Sinagoga di Roma: per cui, la prima cosa che fece, fu tentare di riaverlo indietro: cosa che scatenò una rissa di dimensioni colossali. Il nostro eroe fu arrestato e condotto davanti al prefetto Fusciano, il quale, anche per suggerimento di Carpoforo, lo spedì ai lavori forzati nelle miniere sarde.
Qualche tempo dopo, Marcia, l’amante di Commodo, convocò papa Vittore e gli chiese se c’erano cristiani in Sardegna. Questi le diede un elenco, senza includere Callisto. Marcia spedì allora un emissario con l’incarico di far rilasciare i prigionieri. Callisto si gettò ai suoi piedi, e lo implorò di portarlo con sé. Vittore appena se lo trovò davanti, per toglierselo dalle scatole lo mandò in esilio ad Anzio, in cambio di un lauto stipendio e della promessa di tenersi lontano da Roma e dai guai. Zefirino, che amava le simpatiche canaglie, non solo lo richiamò a Roma, ma addirittura gli affidò importanti responsabilità.
Callisto si dedicò con inaspettata energia alla trasformazione della tenuta agricola sull’Appia in un coemiterium: unì i due ipogei esistenti, aprì nuove gallerie scavate secondo un piano regolare e vi realizzò nuovi sepolcri, dedicando un’area alla sepoltura dei pontefici; molti furono infatti qui sepolti durante il III secolo.
Nel frattempo, Callisto divenne papa: Ippolito, tanto colto e intelligente, quanto ambizioso e di pesimo carattere, non la prese bene, tanto da iniziare il primo scisma noto della Chiesa di Roma e proclamarsi antipapa. Il fatto che anche lui sia diventanto santo, fa sospettare, come in fondo, non avesse poi tutti questi torti, nel prendersela a male.
Papa Callisto, come Severino, mantenne buoni rapporti con il Potere: l’Historia Augusta afferma che un luogo su cui fece erigere un oratorio fu rivendicato da dei tavernai (popinarii), ma Eliogabalo, che fondo ritenava come il Dio dei Cristiani non fosse che un modo differente di chiamare il suo Dio solare, decise che un luogo per l’adorazione di qualsiasi dio era meglio di qualunque taverna.
In più, data la sua esperienza di vita, che lo rese comprensivo nei confronti delle debolezze umane, assunse poi delle posizioni in materia disciplinare assolutamente in contrasto con il tradizionale rigorismo della Chiesa di Roma, instaurando un rapporto di comprensione e di cristiana indulgenza con i fedeli, ma suscitando aspre polemiche, sempre istigate da Ippolito.
Entrambe queste cose, furono causa della brutta fine di Callisto: fu vittima di un linciaggio durante una rivolta contro Alessandro Severo. Venne infatti percosso con verghe, defenestrato con un sasso legato al collo, e quindi annegato in un pozzo.Nel frattempo la catacomba sull’Appia ricevette il nome di Callisto, lo conservò sebbene questo Papa, dopo il suo martirio, fu seppellito nella catacomba di Calepodio sulla Via Aurelia.
Durante il IV secolo alla catacomba furono aggiunte due nuove regioni e questa divenne uno dei luoghi di pellegrinaggio alle tombe dei martiri più frequentato, ma nel corso del V secolo fu progressivamente abbandonato. Le ultime testimonianze della loro frequentazione risalgono agli inizi dell’Ottavo Secolo, quando furono eseguiti alcuni affreschi nella cripta di Santa Cecilia. Di certo, il pellegrinaggio cessò del tutto dopo l’821, quando Pasquale I traslò le reliquie di tale santa nella sua basilica di Trastevere.
Per riscoprire le Catacombe di Callisto, si dovette attendere l’archeologo romano Giovanni Battista de Rossi che, nell’estate del 1844 – ad appena ventidue anni – assieme al fratello Michele Stefano entrò nella vigna Molinari, che si estendeva sulla via Appia e fu attratto dalla cosiddetta Tricòra Occidentale, ossia dal mausoleo triabsidato, allora ridotto a cantina, che doveva ospitare i corpi dei martiri e dei Pontefici che le fonti riferivano alle catacombe di San Callisto. Dopo l’acquisto dell’area da parte dello Stato Pontificio, l’archeologo iniziò una intensa campagna di scavi che durò molti anni e che culminò, nel 1854, nella scoperta della Cripta dei Papi e che descrisse nei primi tre volumi della sua celebre opera:
La Roma sotterranea cristiana, descritta e illustrata, Roma 1864 – 1877
Alessio Brugnoli's Blog

