L’ex Collegio Massimo a Palermo


Oggi, Sabato Santo, il mio viaggio palermitano fa tappa in un luogo a cui i palermitani danno spesso solo uno sguardo, nonostante sia in pieno Centro: si tratta del complesso formato dalla chiesa di Santa Maria della Grotta al Cassaro e dall’ex Collegio Massimo dei Gesuiti, ubicato nel centro storico di Palermo nel mandamento Monte di Pietà.


Luogo la cui storia è ben precedente all’arrivo nella città della Compagnia del Gesù e che risale ai tempi della conquista normanna; Roberto Guiscardo, sempre nell’ottica di conquistare il cuore dei suoi sudditi filobizantino, vi fondò la chiesa di San Pantaleone, di rito greco, che nei secoli, decadde progressivamente, data la prevalenza del culto latino


Le cose però, cambiarono nel 1547, quando giunsero a Palermo i Gesuiti, i quali s’insediarono dapprima in una modesta casa nei pressi della non più esistente chiesa di San Pietro la Bagnara, poi in altre abitazioni private (i palazzi degli Xirotta e dei Platamone). Solo nel 1553 ottennero l’antica abbazia di “Santa Maria della Grotta”, nella zona dell’Albergheria, sulla quale avrebbero di lì a pochi decenni impiantato la Casa Professa, il loro più importante convento della Sicilia.


Nell’ottica di ampliare la loro influenza nella società locale, decisero di realizzare anche a Palermo un Collegio Massimo, dedicato all’istruzione superiore, cosa che li porterà spesso e volentieri in lite con i Domenicani. Per cui, i gesuiti incaricarono Giuseppe Giacalone per il tracciamento del nuovo edificio per il Collegio fabricaturum in magno novo vico nuncupato lo Cassaro.


Scelta legata al nuovo ruolo urbanistico che stava acquisendo a Palermo, specie nell’arra intorno alla Cattedrale; al suo fianco nel 1512 era stato fondato il Monastero di Monte Oliveto detto della Badia Nuova, mentre nel 1560 era sorta la Chiesa di Sant’Agata alla Guilla, a fianco dell’attuale “Convitto Nazionale”; proprio dietro le absidi avrebbe dovuto edificarsi il Seminario dei Chierici, e il Monastero dei Sett’Angeli era un cantiere continuo; altre costruzioni, non soltanto ecclesiastiche, venivano modificate o sorgevano ex novo.


È in questo contesto che il rettore del Collegio procede all’acquisto nel 1586 di molte case in capo al Cassero, nel tratto che pochi metri più in là sboccava nel piano della Cattedrale. In particolare, furono acquistati i palazzi di Don Pietro Ventimiglia, quello di Don Antonio Montalto, e quello di Donna Anna Ventimiglia, consorte del Montalto, il che fa supporre che le due costruzioni fossero congiunte. Le case erano in vico seu angiportu Gambini, locus longe nobilior secus viam maximam, quam Cassarum ex Arabae incolae appellant in altiore celeberrima que civitatis regione, inter Regium Palatium et Curiam Praetoriam. Però, per completare l’isolato, bisognava avere la disponibilità della chiesa di San Pantaleo, quasi diroccata.


Per ottenerla, i gesuiti richiesero all’arcivescovo Cesare Marullo il permesso di demolire il tempio a condizione che fosse dedicata una cappella nella nuova struttura. Ottenuta l’autorizzazione, diedero il via ai lavori, con la posa della prima pietra il 27 novembre 1586, alla presenza del Viceré Diego Enriquez de Guzman, e la benedizione impartita da Don Luigi Amato Vicario Generale. Il progetto dell’intero complesso fu affidato all’aquilano Giuseppe Valeriano, che di fatto svolgeva il ruolo di architetto ufficiale dell’ordine. La direzione dei lavori fu invece assegnata al messinese Tommaso Blandino.


In meno di due anni i lavori (almeno una parte) furono ultimati e il portone del Collegio si aprì il 15 agosto 1588, per la Festa dell’Assunzione. Il 18 ottobre, Festa di S. Luca, s’inaugurò solennemente l’anno scolastico, con la rappresentazione di Salomone e la felicità del suo regno.


La chiesa, dedicata a Santa Maria della Grotta, in ricordo della badia che sorgeva sul luogo della Casa Professa, fu ristrutturata nel 1615 da Paolo Amato, architetto del Senato Palermitano. Abbiamo una abbastanza precisa, di come era la chiesa nel 1622, in occasione della canonizzazione di Francesco Saverio.


riccamente pure, e pulitamente acconcia […] il Cappellone, oltre i mischi di cui pur’era prima assai ricco, fu lavorato in molte parti d’oro, e con due belle, e grandi pitture de’ Santi Pietro e Paolo da due lati adornato. Le Cappelle di finissimi drappi vestite. L’atrio di sete, quadri e verdure con ordine, e vaghezza grandissima. La nave altro ornamento non hebbe che quello che col tempo haverà. Imperochè vollero i Padri con artificiosa pittura di mischio far l’esperienza ne’ nostri tempi di ciò, che altra età haverà a godere nel vero. Fu la pittura ripartita per tutto ne’ due ordini di pilastri, e cornicione, con che ella va’ architettata, similissima nella varietà dei colori e figure, a quelle poche pietre che infatti vi erano, lasciando il resto della fabbrica in bianco, per dare l’uno all’altro con la distinzione bellezza. La volta era dorata da fogliami et arabeschi abbellita […] la facciata fu fabbricata tutta di pittura in rilievo con bellissima simmetria: dove e statue e geroglifici, et emblemi faceano a gara per abbellirla […] sopra vi si pose un Gesù di trentadue palmi di diametro pieno di lumi che sembrava un sole.


Nella raccolta di piante degli edifici della Compagnia oggi conservate dalla Biblioteca Nazionale di Parigi, figurano, com’è noto, più rappresentazioni del Collegio, tra cui in disegno proprio di quei decenni. La chiesa è indicata con le sue tre porte, le otto cappelle ed il cappellone, rettangolare invece che semicircolare; alle spalle del cappellone è la sacrestia, e quindi un cortiletto per dar luce; interessanti due nicchie nel retroprospetto. Ma si tratta di una ipotesi o di una rappresentazione in corso d’opera: il fronte della Chiesa è infatti arretrato dal filo del paramento murario sul Cassaro di almeno sette/otto metri e lo spazio antistante è indicato proprio come piazza davanti la Chiesa: in perfetta consonanza con tante altre edificazioni della Compagnia di quegli anni, in cui era previsto proprio «l’arretramento della facciata in modo da creare una piazzetta antistante». Tra chiesa e Collegio è indicato lo spazio scoperto per luce (l’intercapedine ancor oggi visibile), ed il collegamento tra i due edifici avviene attraverso il passaggio dal cortile delle scuole alla chiesa.


Nel 1671, a seguito della canonizzazione di Francesco Borgia, comincia una nuova ristrutturazione del complesso. Da una parte, viene costruito lo scalone monumentale del collegio, dall’altra è intrapresa una decorazione a marmi mischi delle cappelle della chiesa.


Nel cantiere sono impegnati anche Paolo Amato e Pietro Marabitti: il primo per realizzare (1682) la facciata dell’organo, l’altare e la macchina di Santa Rosalia[ ed il secondo per coretti, inginocchiatoi, macchina lignea dell’organo e il casciarizzo della sacrestia; nel 1684 viene registrato il pagamento per il disegno eseguito dall’Amato per la macchina di Santa Rosalia, poi realizzata da Geronimo Monte “architetto e pittore”, e ulteriori pagamenti per monumenti funebri eseguiti in chiesa, sempre su progetto dell’Amato, sono documentati al 1698, anno in cui lavorerà per il Collegio anche Andrea Palma che il 31 marzo riceve quattro onze a «pagamento di modello di sepolcro e di pitture di quadroni.


L’inizio del XVIII secolo è segnato dalla commissione a Filippo Tancredi della decorazione della volta con un immenso affresco raffigurante il Trionfo della SS. Trinità, Storie della Redenzione, Profeti, Patriarchi, Santi gesuitici. Era certamente questa una delle più cospicue decorazioni nei soffitti delle chiese di Palermo; per la descrizione dell’opera rimane fondamentale quanto ne scrive Susinno, che riporta l’ampia descrizione data alle stampe nel 1704, all’atto del suo scoprimento, assieme a due sonetti encomiastici sulla stessa:


«in quei freschi della Chiesa del Gesù nuovo, all’entrare della porta maggiore, leggesi nell’ampia volta: Tancredi p. 1704. Nelle lunette laterali erano rappresentate l’Annunciazione e la Concezione di Maria Vergine, nella volta la Redenzione di Cristo, mentre nell’arco, che divideva la navata dal cappellone, una folta schiera di patriarchi e profeti del vecchio testamento, i Dottori della Chiesa greca e latina, i Santi della Compagnia di Gesù, i santi Martiri. Nelle vele della volta, infine erano rappresentati il Sacrificio di Noè, di Abele, di Abramo, di Giosuè e di Elia, sulla sinistra il Sacrificio di Caino, di Melchisedec, di Giacobbe, di Daniele. Chiudevano l’affresco, negli archi, le figure simboliche dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia».


Può datarsi entro la terza decade del XVIII secolo la descrizione del Mongitore:


La chiesa ha il frontespizio sul Cassaro, altare maggiore verso il settentrione, ha tre porte, quella grande sul fronte, una sulla via di Gambino, e l’altra che dà nel cortile, sulla facciata ci sono le statue di stucco dei SS. Apostoli Pietro e Paolo […] sull’altare maggiore è anche la nicchia con l’immagine antichissima di Santa Maria della Grotta il cui maggiore ornamento sono i voti d’argento che da essa pendono in memoria dei miracoli operati dalla SS.ma immagine»; la dedicazione delle otto cappelle è la seguente: «a sinistra entrando la prima è dei SS. Ignazio e Francesco Saverio incrostata tutta di marmi, quindi i Sett’Angeli, il SS. Crocifisso, e la quarta è dedicata ai SS. *** [Quaranta Martiri del Brasile], a destra San Luigi Gonzaga, tutta ornata di marmi mischi, abbellita nel 1682, quindi Santa Rosalia, la Beata Vergine, attribuita al Novelli, e infine San Pantaleone.


Dopo l’espulsione dell’ordine dei Gesuiti nel 1767, il Collegio Massimo fu suddiviso in Real Biblioteca (l’attuale Biblioteca Regionale con ingresso su corso Vittorio Emanuele) e Real Convitto Ferdinando (attuale Convitto Giovanni Falcone), mentre la chiesa rimase aperta al culto, gestita da sacerdoti secolari.


Il 28 luglio 1800, Papa Pio VII scrisse a Carlo IV, re di Spagna, affinché acconsentisse al rientro della Compagnia nei regni borbonici. Con disposizione del 30 luglio 1804 sancita con dispaccio regio di Ferdinando III, re di Napoli e di Sicilia, del successivo 8 agosto, i religiosi rientrarono a Palermo, dedicandosi alle sole attività di insegnamento.


Il 1816 è l’anno della Guida istruttiva di Gaspare Palermo, da cui riportiamo parte della descrizione secondo l’edizione del 1858 fatta da Girolamo Di Marzo-Ferro:


Il frontespizio rivolto a mezzogiorno è formato di pietre intagliate, con a’ lati due statue di stucco dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e sul comignolo della facciata il nome di Gesù […] e colla porta maggiore, oltre ad altre due che sono una ad occidente, che da l’uscita nella strada di Gambino, e l’altra ad oriente che dà l’ingresso nel cortile, ove sono le scuole. La pianta interna è della figura di un parallelogrammo rettangolo con otto cappelle con isfondo; all’entrare sovrasta un coro mezzanile sostenuto da due colonne doriche con tre archi. L’architettura è di ordine dorico romano. Il cappellone fu perfezionato a 8 dicembre 1701. È in esso l’altar maggiore, ed il quadro antico della Madonna della Grotta. Vi ha la sua sepoltura la famiglia del Bosco, di cui se ne vedono le armi in iscudi di rame dorato attaccati ai pilastri dell’arco di detto cappellone. L’altar maggiore fu la prima volta consacrato da Monsignor D. Pietro Galletti Vescovo di Patti a 30 settembre 1725. Fra le otto cappelle merita osservarsi la prima del fianco sinistro dedicata a San Luigi Consaga [sic], in cui vi è il quadrone di marmo, nel quale è espresso in tutto rilievo il Santo con diversi angeli, scultura di D. Ignazio Marabitti palermitano. Le colonne, architrave, fregio, cornice, e frontespizio superiore parimente di marmo bianco, lavorati ad arabesco, sono opera di Antonino Gagini, levati via nel 1782 dalla Chiesa di S. Spirito fuori la porta […] tutti gli altri adornamenti di marmo bianco, che imitano quelli del Gagini, sono opera di Giosuè Durante scultore di adorni in marmo. Alle mura laterali si vedono due quadri in pittura, rappresentanti alcune virtuose geste del Santo. Non è da trascurarsi la sagrestia per gli armadii di noce con intagli a mezzo bassorilievo, nella quale si entra dalla porta che sta nel cappellone dalla parte del Vangelo. Nel 1704 tutta questa chiesa fu notabilmente abbellita, e messa ad oro con pitture e stucco, essendo Rettore il P. Giuseppe Maria Polizzi palermitano […].È nel centro del pavimento la sepoltura dei Padri fatta nel 1674, essendo Rettore il P. Giuseppe La via.


A seguito del 1860 e delle leggi del 1866, la chiesa fu chiusa al culto, svuotata progressivamente degli arredi sacri e unita con una scala alla Real Biblioteca, per fungere da ufficio, cominciò la sua progressiva decadenza, tanto che nel 1923 arrivò la proposta del Genio Civile demolire tutto e trasformarlo in un ingresso monumentale di quella che era diventata la Biblioteca Nazionale di Palermo, progetto realizzato nel 1948.


Regia Biblioteca inaugurata, nei locali del Collegio Massimo il 15 novembre 1782, per ordine di Ferdinando I, ma il merito della sua nascita è del principe di Torremuzza, Gabriele Lancillotto Castelli, che chiamò l’architetto Venanzio Marvuglia. A dirigere la nuova biblioteca reale fu chiamato il padre teatino Giuseppe Sterzinger, e il primo fondo fu costituito dai resti della biblioteca dei Gesuiti. Durante la guerra il sito fu bombardato – sotto, c’è ancora l’ampio rifugio, che si visita a parte – la scaffalatura lignea del Marvuglia andò perduta e i libri vennero trasferiti a palazzo Mazzarino fino al 1948. Nel 1979 un nuovo crollo e altri importanti lavori.


Al contempo, Il Real Convitto Ferdinando, così chiamato a partire dal 1778 ma esistente già dal 1771, era un collegio per ragazzi appartenenti all’aristocrazia ma di condizioni economiche disagiate. Nel 1817, dopo i lavori di restauro affidati all’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia, da cui deriva l’aspetto neoclassico del prospetto attuale su Piazza Sett’angeli, l’edificio del convitto fu separato definitivamente dalla biblioteca sia nei locali che dal punto di vista amministrativo. Sede delle riunioni del Governo Rivoluzionario Provvisorio durante i moti del 1848, nel 1860 l’Istituto fu convertito nel Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, destinato alla “educazione ed istruzione della gioventù maschile di famiglie civili” e ordinato in modo conforme ai Convitti istituiti dal Governo nell’Italia continentale(con regolamento approvato con R.D. del 18 giugno 1863, n.786). Dopo l’unità d’Italia parte dei locali del Convitto, annessi alla biblioteca, furono ceduti al Liceo Vittorio Emanuele II.

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Published on April 11, 2020 05:25
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Alessio Brugnoli
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