Giuseppe Flavio e Yehoshua ben Yosef
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Tornando a parlare di Giuseppe Flavio, il nostro voltagabbana preferito, nelle sue Antichità Giudaiche, oltre che a Giovanni Battista, fa un paio d’accenni Gesù di Nazareth. Il primo è l’assai problematico e discusso Testimonium Flavianum, che nella versione che ci è giunta, così recita
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità e attirò a sé molti giudei e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato per denunzia degli uomini notabili fra noi lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancora oggi non è venuta meno la tribù di quelli che da costui sono chiamati cristiani.
Salta subito all’occhio come sia stato perlomeno interpolato, essendo una dichiarazione di fede cristiana, che di certo non poteva saltare fuori dalla penna del buon Giuseppe Flavio, il quale, grande seguace del
Primum vivere, deinde philosophare
per salvarsi la pellaccia e guadagnare qualche sinecura, era arrivato a sostenere le antiche profezie della Bibbia, che predicevano che Giudea sarebbe sorto uno che avrebbe governato tutto il mondo, non specificavano per nulla che dovesse essere di fede e di origine ebraica. Per cui, doveva essere il comandante degli eserciti romani in Giudea. Ossia in parole povere, Vespasiano doveva essere il Messia.
E per non essere spernacchiato dai compatrioti, arrivò ad appoggiare la sua tesi con le parole di Giacobbe in Genesi 49.10
Lo scettro rimarrà nella casa di Giuda,
il bastone di comando non le sarà mai tolto
finché verrà colui al quale appartiene:
a lui saranno sottoposti tutti i popoli.
E ribadì tale bislacca teoria persino nel suo libro Guerra Giudaica, in cui scrisse
“Ma quello che maggiormente li incitò alla guerra fu un’ambigua profezia, ritrovata ugualmente nelle sacre scritture, secondo cui in quel tempo uno proveniente dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo. Questa essi la intesero come se alludesse a un loro connazionale, e molti sapienti si sbagliarono nella sua interpretazione, mentre la profezia in realtà si riferiva al dominio di Vespasiano, acclamato imperatore in Giudea.”
Idea che ebbe tra l’altro un buon successo tra i suoi lettori, tanto da essere citata anche da Tacito
Alcuni videro un significato spaventoso in quegli eventi ma nella maggioranza vi era la convinzione che negli antichi libri dei loro sacerdoti fosse contenuta la profezia che l’oriente sarebbe diventato molto potente e dei condottieri provenienti dalla Giudea erano destinati a conquistare il mondo. Queste misteriose profezie erano relative a Vespasiano e Tito ma la gente comune, con la solita cecità dovuta all’ambizione, aveva interpretato questi grandi destini a loro stessi e neppure i disastri avevano il potere di portarli a credere alla realtà
Per cui Giuseppe Flavio, per non essere spedito da Domiziano a fungere da piatto forte per i leoni dell’appena inaugurato Anfiteatro Flavio, mica poteva scrivere pubblicamente un
Ahò, regà, scusate me so’ sbajato… Er Messia nun è Vespasiano, ma rabbi Yehoshua ben Yosef…
Inoltre i padri della chiesa, non citano mai tale passo: addirittura Origene afferma esplicitamente che Giuseppe Flavio “non credeva in Gesù come il Cristo”, si veda ad esempio il Commentario a Matteo, 10.17 e il Contra Celsum, 1.47. Il primo a citarlo è Eusebio di Cesarea (265-340 d.C. circa) nel IV secolo, ossia in periodo assai tardo, nella Dimostrazione Evangelica 3.5, nella Storia Ecclesiastica 1.11 e nella Teofania.
Per cui, il brano è un falso? Ni. Leggendolo in greco, saltano fuori che i tre incisi
“se pure bisogna chiamarlo uomo”
“Egli era il Cristo”
“Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunciato i divini profeti queste e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui”
come lessico e stile, sembrerebbe scritto da una mano differente da quella di Giuseppe. Se li togliamo, il testo filerebbe lo stesso, assumendo un senso differente.
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità e attirò a sé molti giudei e anche molti dei greci. E quando Pilato per denunzia degli uomini notabili fra noi lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Ancora oggi non è venuta meno la tribù di quelli che da costui sono chiamati cristiani.
Il passo, in questa forma, non è assolutamente una professione di fede cristiana da parte di Giuseppe, anche se Gesù è visto come un personaggio positivo che fu messo a morte dai Romani per denuncia della classe dirigente dei Giudei; dichiarazione che per gli apologeti del II e III secolo aveva poco interesse. Celso e gli altri polemisti anticristiani, non mettevano infatti in dubbio l’esistenza di Gesù, ma la sua natura divina e la sua capacità di compiere miracoli.
L’ipotesi dell’interpolazione, avvenuta in epoca costantiniana, è confermata anche da una base documentale. Nel 1971 il Prof. Schlomo Pines dell’Università Ebraica di Gerusalemme comunicò la scoperta di una citazione del testimonium flavianum in un’opera di Agapio di Ierapoli, la Storia Universale, una cronaca del mondo dalle origini sino al 941-42 d.C. scritta in arabo e databile al X secolo dopo Cristo, che usava come fonte una cronaca siriaca di Teofilo di Edessa. Tale citazione presente le seguenti parole
Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù; egli dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (oppure: dotto) ed aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono alla sua dottrina e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo ed era forse il Messia del quale i profeti hanno detto meraviglie.
E’ una parafrasi dello stesso brano senza gli incisi: Agapio probabilmente faceva riferimento a una tradizione testuale, perduta, diversa da quella a cui faceva riferimento Eusebio. Per completare l’ipotesi di ricostruzione del testo originale di Giuseppe Flavio, mancano tre dettagli. Il primo è che questo brano su Gesù, per come è messo, fa a pugni con il resto del capitolo, in cui si parla di una serie di disordini avvenuti intorno al 30 a.C. in Palestina. Per cui, è possibile che lo scriba costantiniano, oltre ad aggiungere, abbia anche rimosso un paio di incisi, che poteva considerarsi offensivi e modificato l ‘espressione «cose insolite» (greco aethe) invece di cose vere (greco alethe)
Il secondo, è che in un altro brano delle Antichità Giudaiche, di cui parlerò tra poco, Giuseppe Flavio accenna al fatto che Gesù fosse soprannominato Cristo. Il terzo è nella frase finale citata da Agapio, in cui l’originale arabo, secondo alcuni studiosi, aveva un’ambiguità semantica, significando sia apparire, sia essere visto.
Dal punto di vista concettuale, apparire ed essere visto hanno due significati differenti: l’apparire è manifestazione della potenza del potenza Cristo risorto, vincitore della Morte. L’essere visto significa essere oggetto di un’esperienza sensoriale, anche fallace, da parte di terze persone. Né la tradizione ebraica, né quella pagana escludeva a priori come i morti potessero come visioni ai vivi.
Per cui, il brano originale, prima delle modifiche, poteva anche essere così, in alternativa alla versione senza incisi, esposta in precedenza.
Ci furono a quel tempo nuovi disordini, dovuti alla predicazione di Gesù, detto Cristo, uomo sapiente: era infatti autore di opere sorprendenti, maestro di uomini che accolgono con piacere le novità insolite e attirò a sé molti giudei e anche molti dei greci.
E quando Pilato per denunzia degli uomini notabili fra noi lo punì di croce, non cessarono tumulti da parte di coloro che sin da principio lo avevano seguito. Ancora oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da costui sono chiamati cristiani. Essi raccontano come fu visto da alcuni di loro tre giorni dopo la sua morte.
Il secondo brano, che provvedo a citare in cui Giuseppe Flavio parla di Gesù, è assai meno controverso
Quando Cesare ebbe notizia che Festo era morto, inviò in Giudea come procuratore Albino. Dal canto suo, il re tolse la carica sacerdotale a Giuseppe e gli dette come successore il figlio di Anano, che si chiamava anche lui Anano. Dicono a questo proposito che Anano il vecchio sia stato quanto mai fortunato perché tutti e cinque i figli che ebbe esercitarono il sommo sacerdozio al servizio di Dio, dopo che egli aveva in precedenza tenuto quella carica per lungo tempo, ciò che non si è verificato per nessun altro dei sommi sacerdoti presso di noi. Il giovane Anano, che ho detto aver ricevuto la carica sacerdotale, era di carattere duro e oltremodo temerario, e seguiva la scuola dei Sadducei, che sono i più rigorosi tra tutti i Giudei quanto a giudicare, come ho già esposto. Essendo tale di indole, Anano ritenne di avere un’occasione favorevole quando Festo morì e Albino era ancora in viaggio: riunisce il Sinedrio dei giudici e porta in giudizio Giacomo, il fratello di Gesù detto Cristo, e alcuni altri, e accusatili di aver trasgredito le leggi, li consegna alla folla per farli lapidare. Quanti però in città erano considerati i più moderati, per quanto diligenti nell’osservanza della legge, furono indignati per questo procedimento e si rivolsero segretamente al re, invitandolo ad ordinare ad Anano di non agire più in questo modo: non era infatti la prima volta che egli si comportava non rettamente. Alcuni di loro poi andarono incontro ad Albino, che stava venendo da Alessandria, e lo informarono che Anano non aveva la facoltà di riunire il Sinedrio senza il suo permesso. Convinto da questi argomenti Albino scrive irritato ad Anano minacciandolo che lo avrebbe punito. Perciò il re Agrippa lo depose dalla carica che aveva tenuto per tre mesi e lo sostituì con Gesù, figlio di Damnios.
A differenza del brano precedente, le discussioni su tale citazione sono alquanto ridotte: da una parte, la citazione Giacomo e soprattutto Gesù sono citati di sfuggita, senza alcun retro pensiero religioso, solo per contestualizzare le vicende di Anano.
Dall’altra vi è una differenza poi tra il martirio raccontato da Giuseppe Flavio e quello, molto più romanzato, narrato da Eusebio, che cita esplicitamente a riguardo un lungo passo di Egesippo, un autore cristiano del II secolo.
Secondo lui, Giacomo fu invitato da alcuni capi dei Giudei a salire sul pinnacolo del tempio per far desistere il popolo dalla fede in Gesù. Ma Giacomo invece lo dichiarò Figlio dell’uomo e sedente alla destra della Potenza (gli stessi epiteti attribuitisi da Gesù durante il processo al Sinedrio, v. Mt26,64; Mc14,62), attirandosi le ire dei Giudei. Questi decisero di lapidarlo, lo buttarono giù dal pinnacolo e, mentre lo lapidavano, fu colpito a morte da un lavandaio con un colpo di bastone da lavandaio sulla testa.
Infine, il brano è citato, in maniera più o meno corretta, da Origine e da altri Padri della chiesa. Per cui, confrontando le testimonianze, possiamo più o meno comprendere l’idea che Giuseppe aveva di Rabbi Yehoshua ben Yosef.
Era un personaggio storico, comunque sia la versione iniziale del Testimonium Flavianum, controverso.
Era stato condannato a morte da Ponzio Pilato, su richiesta delle autorità ebraiche.
Era comunemente noto e soprannominato come Cristo.
Non era un ebreo marginale, ma aveva avuto un buon successo nella sua predicazione.
Oltre che l’aramaico e l’ebraico, masticava un minimo di greco, altrimenti non si capisce come la sua predicazione potesse avere un successo anche tra gli elleni.
Aveva perlomeno un fratello, famoso quanto lui, che viveva a Gerusalemme e che doveva essere anche noto e stimato, dato che la sua condanna provocò la cacciata a pedate del Sommo Sacerdote. Dato Giuseppe Flavio conosceva a menadito la lingua aramaica, le strutture parentali ebraiche e il greco, l’utilizzo di adelfós, nato dello stesso seno, invece di anepsios, cugino, è un argomento a favore del fatto che i due fossero fratelli carnali.
I suoi seguaci, nonostante le loro stranezze e peculiarità, erano una delle tante varianti dell’ebraismo dell’epoca e non ancora una religione separata.
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Alessio Brugnoli's Blog

