Raffaello Architetto (Parte II)
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La seconda commessa nell’ambito dell’edilizia privata giunse a Raffaello dagli Alberini, una famiglia di mercatores e finanzieri, che in cambio di una moratoria sugli interessi su un prestito fatto al Campidoglio, si ritrovarono membri della nobiltà municipale romana, ricoprendo le cariche di Priore, il caporione della Camera Capitolina, il che, in termini moderni, corrisponde a una sorta di mix tra il Presidente del I Municipio e quello del Consiglio Comunale, di Senatore, che nel Quattrocento svolgeva sia un ruolo analogo a quello del nostro Sindaco, sia quello di Presidente dell’assai poco efficiente tribunale capitolini e di Conservatore, un magistrato preposto alla gestione economica della città.
Sia le attività imprenditoriali, sia i proventi della politica, avevano reso gli Alberini ricchissimi, tanto che, da metà Quattrocento in poi, decisero di investire parte della ricchezza nel mercato immobiliare, comprando e costruendo case in un rione, quello di Ponte, che da parte stava vivendo un boom economico, dovuto alla presenza di numerose banche e alberghi, dall’altra, per sfruttare un brutto termine moderno, era oggetto di gentrificazione.
Deciso a sfruttare al massimo il business, Giacomo Alberini decise di costruire in via del Banco di Santo Spirito un edificio che svolgesse una duplice funzione, ossia di centro commerciale ante litteram, richiedendo così la presenza di numerose botteghe, e di albergo di lusso. Per fare questo, comprò un ampio lotto adiacente a una delle case di famiglia.
La sua morte, nel 1505, bloccò il suo progetto; intorno al 1510, però, l’idea di un investimento immobiliare, che avrebbe costituito un’importante fonte di reddito grazie agli elevati affitti, fu ripresa dal figlio Giulio.
Ora, come sta avvenendo a Milano, per rendere più appetibile al mercato sia le botteghe, sia gli appartamenti, l’incarico di progettare e costruire il tutto fu dato alla principale archistar dell’epoca, il buon Bramante, che cominciò a lavorarvi intorno al 1512; ma essendo Donato in tutt’altre faccende affaccendo, ossia a cercare di venire a capo a quel colossale manicomio che doveva essere il cantiere della Basilica di San Pietro, la costruzione proseguì a rilento.
Alla morte di Bramante, nel 1514, non era neppure finito il piano terra; tra il 1514 e il 1515, il lavori furono proseguiti da un altro architetto, forse, dato che le date coincidono con l’ultima fase del suo soggiorno romano, Giuliano da San Gallo, che nonostante il prestigioso titolo di capomastro del cantiere di San Pietro, era quasi disoccupato. In quei pochi mesi, l’architetto completò il piano terra: la sua mano si nota soprattutto nel bugnato, ben diverso da quello rustico bramantesco e che riprendeva quello pacato e morbido delle esperienze fiorentine, innovandolo con l’alternarsi di corsi di bugne alti e bassi, che trova un precedente, non solo nel tempio rotondo del Foro Boario, ma soprattutto dall’illustrazione pubblicata pochi anni prima (1511) da Fra Giocondo nella sua edizione di Vitruvio.
Dal 1515, l’incarico di completa passò a Raffaello, che dal 1518 in poi fu affiancato da Giulio Romano, che stava cominciando così il suo apprendistato architettonico. Alla morte di Raffaello, gli Alberini si sbrigarono a mettere a reddito l’edificio, affittnadolo, non ancora completato, ai banchieri fiorentini Bernardo da Verrazzano e Bonacorso Rucellai.
I due banchieri, noti per la loro tirchieria, non si fidarono di lasciare tutto in mano al buon Giulio Romano, famoso per gonfiare in maniera spropositata le sue note spese, per cui decisero di coinvolgere nel progetto un professionista, non di gran nome, ma noto per la sua onestà e per le sue capacità professionali: Pietro Rosselli.
Dato che non è un nome molto noto al grande pubblico, vi dedico un paio di righe: Pietro era uno stretto collaboratore di Giuliano di Sangallo e si era trasferito a Roma al suoi seguito. Ora, convinto sostenitore del principio
“Gli edifici devono prima rimanere in piedi, poi essere belli”
si specializzò come strutturalista, collaborando in tale ambito con Michelangelo, le cui opere non crollano grazie ai calcoli statici di Rosselli. A testimonianza di questa sua capacità, progettò e realizzò le impalcature per la costruzione della Cupola della Basilica di San Pietro e, in occasione delle festività medicee del 1513 per l’elezione del Papa Leone X, ebbe l’incarico di costruire un teatro in legno sul Campidoglio. Il Vasari narra che la sua abilità tecnica consentì di recuperare un blocco di marmo, caduto nell’Arno durante il trasporto, che lo scultore Baccio Bandinelli aveva scelto per la scultura “Ercole e Caco”, ora in Piazza della Signoria a Firenze
Piero Rosselli murator vecchio et ingegnoso s’adoperò di maniera, che rivolto il corso dell’acqua per altra via e sgrottata la ripa del fiume, con lieve et argani smosso lo trasse d’Arno e lo pose in terra, e di ciò fu grandemente lodato
Dopo essere passato tra tutte queste mani, come si presentava il Palazzetto Alberini? Sia Bramante, sia il suo successore, dato anche la regolarità del lotto comprato da Giacomo Alberini, non patirono le stesse pene d’inferno di Raffaello per il Palazzo Jacopo da Brescia; per cui, la pianta del palazzetto, a forma di quadrato segue uno schema usuale nel panorama edilizio del Cinquecento, con tre lati affacciati su pubbliche vie e uno attaccato un gruppo edilizio contiguo.
L’unica peculiarità, dovuta alle specifiche esigenze del committente, che voleva massimizzare lo spazio da affittare alle botteghe, è il cortile interno, porticato, ma di piccole dimensioni. Inoltre, dato che i piani superiori dovevano essere affittati a denarosi locatari, che avevano necessità di mantenere tutte le apparenze legate al loro rango, Raffaello non dovette lesinare sullo scalone d’onore.
A sinistra del porticato si accede a un piccolo andito con un’ampia scala che conduce ai piani superiori. Dalla rampa di scale ci si immette al piano nobile su un ampio corridoio di disimpegno, in asse con il sottostante porticato. Su di esso si affacciano due grandi ambienti coperti con soffitti lignei, destinati agli affittuari più ricchi; la loro ampiezza chiarisce immediatamente l’importanza funzionale nella gerarchia degli spazi di questo piano, occupando tutta la lunghezza della facciata del palazzo.
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Al contempo, per motivi, come dire, di marketing, Raffaello, dato che stava andando parecchio di moda nella Roma dell’epoca, adottò una facciata analoga a quella di Palazzo Caprini e di Palazzo Jacopo da Brescia, articolata su sette assi, con quello centrale occupato dal portale d’ingresso, che si sviluppa per tutta l’altezza del piano terra; ai suoi lati, si aprono invece gli ingressi delle sei botteghe, con porte sormontate da lunette, che delimitano le finestre del primo piano del mezzanino, in parte destinato alla servitù degli affittuari del piano nobile, in parte a svolgere un ruolo analogo a quello dei nostri b&b.
Al primo piano le finestre sono incorniciate con sagome architettoniche rettangolari, i campi murari tra un’apertura e l’altra sono ripartiti da paraste che sorreggono una semplice cornice.
Nel secondo piano troviamo un uso nuovo di elementi simili a quelle del piano nobile, i rettangoli verticali ricordano l’articolazione dell’ordine superiore del tempietto di San Pietro in Montorio; ma diversamente da lì, questi sono staccati da ogni elemento orizzontale, e si trovano sospesi al pari dei riquadri che contornano le finestre, trasformandosi da elemento strutturale a decorazione.
Le finestre che si aprono nelle cornici rettangolari, sempre per le ridotte dimensioni del cortile, dovevano fungere da principali fonti di illuminazione del palazzo; il palazzo poi, probabilmente a seguito di Rosselli, terminava con un monumentale cornicione su mensole.
Nel 1527, però, i piani degli Alberini entrarono improvvisamente in crisi per il Sacco di Roma, che oltre alle immediate ruberie dei lanzichenecchi, ebbe un effetto sistemico sull’economia, che durò sino a inizio Seicento; al tempo del “Sacco”, la città di Roma contava, secondo il censimento pontificio realizzato tra la fine del 1526 e l’inizio del 1527, 55.035 abitanti, prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina.
Nel 1528, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20 000 morti causate dalle violenze o dalle malattie; ciò causò un’immensa crisi economica, che causò il collasso degli affitti e del mercato immobiliare, mettendo così in crisi le finanze degli Alberini, tanto che nel 1531 la famiglia fu costretta a restituire ai canonici di San Pietro la casa ottenuta nel 1519.
Al contempo, gli Alberini dovettero cominciare a dismettere tutto il loro patrimonio; passato ai Cicciaporci nel Seicento, poi al Calderari, nel 1866 fu restaurato e sopraelevato di un piano, su progetto di Antonio Sarti. Ceduto ai conti Senni nel 1901 passò al Pontificio Collegio Portoghese, che a sua volta, lo cedette nel 1973 alla società Intereuropea.
Nel 2007, il palazzo fu restaurato, recuperando le superfici originariamente chiare della facciate, gli stucchi del portico e le decorazioni ad affresco dei saloni del piano nobile, un tempo ricche di giallo oro, azzurro oltremare e rosa antico come quelle a mascheroni e primaverili festoni di fiori e frutta delle travi.
Alessio Brugnoli's Blog

