Se la strada da Tel Aviv a Teheran passa dal Cairo


Leggere la rassegna stampa israeliana è sempre un esercizio foriero di sorprese. Perché continua a essere sorprendente il modo in cui non solo i politici, ma anche i giornalisti israeliani abbiano armi spuntate nei confronti degli accadimenti regionali. Alla lettura degli eventi, come per esempio i risultati del primo (parziale) turno delle elezioni per il parlamento egiziano, sembra manchino gli strumenti interpretativi che renderebbero molto più chiara la realtà.


Meglio fare un esempio. Domenica, sul più diffuso quotidiano israeliano, Yediot Ahronot, è stato pubblicato un commento di uno degli opinionisti più noti, Alex Fishman. Come molti dei commenti di domenica, era dedicato alla vittoria degli islamisti, Fratelli Musulmani e soprattutto salafiti, al Cairo e ad Alessandria. Paura, timore per la pace tra Israele ed Egitto, sorpresa per una vittoria che, almeno al primo turno, non era prevista. E poi, il ruolo dei militari, che sino ad ora per Tel Aviv hanno rappresentato il vero baluardo (post-Mubarak) perché la pace di Camp David non si tocchi, e con essa la frontiera sud. Dice Fishman: "Se il maresciallo Tantawi [capo del Consiglio Militare Supremo, lo SCAF] non si sbriga ad affrontare la Fratellanza Musulmana e non pretende che l'Ikhwan dia il suo benestare ad assicurare lo status delle forze armate nella costituzione, la situazione in Egitto potrebbe evolvere in un bagno di sangue. Ma uno sviluppo di questo genere, almeno, darebbe una chance a che la politica estera dell'Egitto non cambi in un modo da non spostare nel profondo l'equilibro di potere nel Medio Oriente".


Meglio il bagno di sangue, insomma. Val bene una messa. E' per questo che a leggere le rassegne stampa, da queste parti, non ci si annoia mai… Quello che trovo sconcertante, ancora una volta, è l'incapacità di leggere quello che succede nell'area se non in chiave securitaria. Di sicurezza, ma solo e sempre di sicurezza armata. Mai di sicurezza sociale e politica. Non è solo una questione di buoni sentimenti. È una questione che riguarda lo stesso futuro di Israele. Quello, infatti, che mi ha sempre colpito, negli scorsi sei anni, è che i servizi israeliani abbiano spesso dichiarato – essi stessi – di essere stati sorpresi da una realtà che ha quasi sempre smentito le loro previsioni. Lo hanno detto anche nel fine settimana, ancora una volta ai giornalisti di Yediot Ahronot.


"Questo è persino peggio di quanto avessimo previsto", avrebbe detto un alto funzionario dei servizi, commentando i risultati delle elezioni egiziane. Per l'ennesima volta negli anni più recenti, le previsioni dei servizi israeliani vengono smentite. Era successo, la prima volta, con la vittoria di Hamas alle elezioni politiche del gennaio 2006. E' successo poi con il coup di Hamas a Gaza del giugno 2007. Ma la più inattesa debacle subita dall'intelligence israeliana, nella sua lettura delle questioni regionali, è stata la sorpresa con la quale Tel Aviv ha vissuto le rivoluzioni arabe, soprattutto quella del suo vicino più importante, l'Egitto. Nessuno l'aveva prevista, la rivoluzione. E sin qui, niente di eclatante, perché una rivoluzione è impossibile prevederla. Quello che l'intelligence non ha saputo vedere sono stati il diffuso disagio e la profonda instabilità dell'Egitto, disagio e instabilità che erano chiarissime a tutti gli osservatori. Disagio e instabilità che, non foss'altro, da anni erano state descritte dai più importanti think tank statunitensi ed europei. Bastava leggere i report, insomma, per farsi un'idea di quello che bolliva in pentola in Egitto.


Ora, però, non c'è solo un problema di lettura politica della situazione in Egitto, in ballo. C'è il confronto (militare?) con l'Iran. Israele è ancora decisa a colpire l'Iran, come paventano gli americani? Nelle ultime settimane, Washington ha continuato a chiedere a Tel Aviv di essere consultato, prima di un ipotetico attacco, sentendosi rispondere nettamente di no. Israele è ancora convinto che sul piatto della bilancia, tra i pro e i contro di un attacco militare sui siti nucleari iraniani, i vantaggi sarebbero più pesanti? A quanto sembra di capire, nella ridda delle informazioni che vengono volontariamente filtrate alla stampa, Israele è convinta che si potrebbe fare.


Ma su quale base? Sulla sola conoscenza militare dei siti iraniani da parte dell'intelligence, o su una più vasta conoscenza della realtà della regione? La domanda è legittima, perché quando si pensa a un'azione militare, si dovrebbero anche conoscere a menadito le conseguenze a tutti i livelli. Il dubbio che sorge, dunque, è il seguente: se persino i risultati elettorali, da quelli palestinesi del 2006 a quelli egiziani del 2011, suscitano sorpresa in chi fa le previsioni, siamo sicuri che si sia ben consapevoli di ciò che potrebbe succedere nel caso si desse il via libera a un attacco militare contro l'Iran?


[Pausa musicale: oggi il brano della playlist ha le sonorità del jazz arabo-armeno di Lena Chamarian].


I timori non sono solo quelli di un'analista che vive a Gerusalemme. Sono stati espressi molto chiaramente dal segretario alla difesa americano Leon Panetta, l'ultima volta in ordine di tempo la scorsa settimana all'importante Saban Forum. Panetta vuole che gli israeliani non facciano trovare gli USA impreparati, a subire un attacco a sorpresa israeliano. Panetta vuole che gli israeliani tornino al tavolo delle trattative con i  palestinesi. In una parola, il Pentagono non vuole essere dipendente, nelle sue azioni e reazioni, da quello che i politici israeliani decideranno di fare nei confronti di Teheran. E in più, dal punto di vista dell'immagine dell'Occidente tirato per i capelli in una battaglia contro il fondamentalismo sciita, c'è un problema che riguarda Israele. La legislazione contro le ong, la questione dei diritti delle donne, la deriva estremamente conservatrice e a tratti fondamentalista che stanno vivendo la politica e la società israeliane stanno mettendo a dura prova anche un'aperta sostenitrice di Tel Aviv come la segretario di stato americana Hillary Clinton, che per la prima volta ha usato toni durissimi, su questo argomento. Difficile per gli americani, insomma, difendere quella che – ancora – viene definita l'unica democrazia del Medio Oriente, quando a Gerusalemme c'è una deriva ultraconservatrice.


Tra Tel Aviv e Teheran, però, ci potrebbe essere il Cairo. Perché, a giudicare dalla lettura ex post che gli israeliani stanno dando dei primi risultati elettorali e soprattutto del ruolo dei militari, Tel Aviv non è più così sicura che lo SCAF possa rendere il suo fianco sud così sicuro come lo è stato negli scorsi trent'anni. Pur nella pace fredda gestita da Hosni Mubarak [ho scritto un lungo articolo sull'ultimo numero di Limes sulle varie fasi delle relazioni israelo-egiziane]. E se il fianco sud non è sicuro, anche un attacco militare all'Iran dovrebbe essere rivisto, assieme ai pilastri che negli scorsi trent'anni hanno sostenuto l'intera strategia militare israeliana nella regione.


Non si teme nessuna nuova guerra a Israele da parte dell'Egitto. Questo è evidente a tutti. Si teme, però, che non sia più scontato che da parte del Cairo non vi siano reazioni alle azioni di Israele. Come, per esempio, nel caso di una operazione militare contro Gaza, proprio nella fase in cui i Fratelli Musulmani sono in predicato di essere il governo al Cairo, ed è chiaro che Hamas si stia spostando dall'alleanza con la Siria verso più stretti rapporti non solo col Qatar, la Turchia, l'Egitto, ma anche verso una normalizzazione dei turbolenti rapporti con la Giordania. Se Israele, dunque, continua a sottolineare che tra i paesi del Golfo aumenta l'insofferenza verso l'Iran. Se Tel Aviv pensa, ormai da tempo, che anche l'Arabia Saudita – non a caso la principale oppositrice delle rivoluzioni arabe – non vedrebbe poi così male un attacco all'Iran, dovrebbe anche mettere sul piatto della bilancia che ormai da un anno niente è più come prima. E che forse è giunto il momento di conoscerlo, veramente, questo mondo arabo. Non sono marziani. Sono i vicini di casa.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on December 05, 2011 14:01
No comments have been added yet.