Key Genius's Blog, page 218
October 6, 2015
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October 3, 2015
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October 2, 2015
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October 1, 2015
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September 30, 2015
Caos di carne - Caos fermo (estratto cp10) Giorgio
Le luci dei lampioncini sono flebili e soccombono
all’imminente alba che non preannuncia però una piacevole giornata. Il cielo è
coperto e tormentato come lui. (…)
Sente i polmoni pieni, perciò l’idea dell’ennesima
sigaretta l’abbandona. Si posiziona nei pressi del cancello e assume la sua
solita posizione statuaria tirando su il colletto della giacca.
Pensa alla sua situazione, alla sua
frammentazione; se prima aveva un po’ di cose dai suoi e da Andrea, dove si
recava spesso fino all’anno prima come fosse una seconda abitazione, ora ne ha
un po’ anche nella stanza in sub-affitto oltre che da Marta. (…)
Però, è davvero stufo di essere così sparso in
giro; tanti posti e nessuno davvero suo.
E la sensazione di vivere sempre con la valigia
vicino alla porta, non solo per lavoro, ma nella vita privata comincia a
pesargli.
Sospira per poi sobbalzare per il nuovo pensiero
arrivatogli in testa d’improvviso.
Se non ha la moto, Andrea lo porterà a casa dopo,
ma lui vuole andare da Marta.
Che gli dico?
Mentre cerca la risposta, il suo amico arriva con
la strepitosa fuori serie nera; l’auto non è sua, ma di Dorian, gliela sta prestando
visto che lui è ancora a New York. La cara e vecchia Panda è stata sfondata
mentre era parcheggiata e Andrea attende l’esito dell’assicurazione. Tanto, il
suo conte-ciccino-bello-e-buono che parla strano, non gli fa mancare nulla,
compresa l’auto.
Arriccia le labbra e sbuffa, con un amico così è
normale essere stati soppiantati dell’etichetta di “miglior amico”. Gli rode
parecchio, è inutile negarlo. Anni e anni d’amicizia bruciati per un solo
errore, che ancora non gli ha potuto spiegare, ma non c’è mai occasione.
Andrea accosta davanti a lui e abbassa il vetro.
Giorgio si china e gli sorride. «Ehilà!» lo
saluta.
Lui ricambia col suo sorriso solare, i capelli
d’oro che brillano protagonisti della penombra dei vetri scuri e gli occhi
grigi ora per le nuvole. «Scusa se ho fatto tardi. Ti ho portato la colazione»
gli indica il thermos e un sacchetto.
Giorgio sente il profumo delizioso delle sue
merendine preferite. «Grande! Grazie.» Apre la portiera e sale accomodandosi
nel sedile di pelle nera.
«Parcheggio poco più avanti, va bene?» gli domanda
ingranando la marcia.
Giorgio annuisce e apre il sacchettino ondeggiando
le gambe. Quando vede le Nastrine della Mulino Bianco tiepide, gira il volto
verso Andrea e gonfia le guance.
«Ti lovvo amico» gli dice ridacchiando.
Andrea dondola la testa e indica alle sue spalle.
«Ti ho portato anche qualcosa per cambiarti, scarpe comprese.»
Giorgio scivola nel sedile e mangia la prima
Nastrina sentendo lo zucchero sciogliersi in bocca insieme alla morbida pasta
sfoglia… mmh, che delizia. Appena Andrea ferma l’auto e spegne il motore, gli
versa nel bicchiere del thermos il caffelatte.
«Come sei gentile stamattina, amo’» gli fa
l’occhiolino ridacchiando. Lo chiama così per sfotterlo visto che la sua
ragazza Sara, che è intossicata da Facebook, lo chiama sempre “amo”.
Andrea solleva il sopracciglio e lo guarda storto.
«Attento che scotta.» Poggia il bicchiere nell’apposito vano e si gira verso di
lui. La felpa si tira e gli definisce la linea dei fianchi; si vede che ha un
personal trainer da mesi, un fisico così asciutto non si ottiene dalla sera
alla mattina.
«Com’è andata ieri sera?» gli chiede Giorgio.
Lui fa spallucce. «Bene, ho fatto il mio lavoro
come sempre» replica con tono basso.
«Non c’erano anche le Veline di Striscia? Non ti
sei divertito?»
Fa una smorfia e abbassa lo sguardo verso il
cruscotto come dire che il tutto è passato via senza alcuna emozione.
È nuovamente depresso, sembra non subire il
fascino del mondo dei vip e ha un alone intorno che lo impensierisce.
Giorgio mangia un’altra Nastrina alternandola col
caffellatte mentre Andrea si perde nel suo silenzio fatto di sospiri e chissà
quali pensieri. Forse troppi e il posto in cui stanno per andare non lo aiuterà
di certo.
«Senti, non dobbiamo farlo anche quest’anno» dice
Giorgio. «Anzi, non facciamolo proprio. Interrompiamo qui. È passato, basta»
glielo ripete ancora.
Andrea scuote il capo. «No, voglio farlo» sospira.
«Come vuoi» termina la terza Nastrina e beve un
altro bicchiere di caffelatte per poi gattonare nei sedili posteriori per
cambiarsi. L’amico gli ha portato una maglia, una felpa e un jeans nero che
aveva da lui, ma soprattutto delle comodissime scarpe da ginnastica.
Quando toglie quelle che indossa, Andrea sobbalza
per la puzza.
«Porca miseria!» esclama e abbassa subito il vetro
elettrico. «C’hai il gorgonzola fresco al posto dei piedi.» Apre il vano porta
oggetti e afferra un pacco di salviettine umidificate. «Tieni» glielo porge
tappandosi il naso.
«Che organizzazione» lo sfotte ancora, perché sa
che con Sara lo fanno sempre in auto e per questo ha tutti gli accessori. «Che
dice il tuo boss che usi la sua auto per scopare?» gli domanda mentre passa la
salviettina sui piedi doloranti.
«Ian non lo sa» borbotta rimettendosi seduto
dritto e fissandolo ogni tanto dallo specchietto retrovisore. «E comunque, per
quando torna, gliela faccio sterilizzare.»
«Addirittura» scherza, ma in effetti l’auto è
pulitissima.
«Sai quanto costa?» Andrea passa la mano sulla
nuca e si ravviva i capelli. «Ogni volta che la uso, sto in ansia. Io non la volevo.»
Incrocia le braccia.
Giorgio si toglie i pantaloni. «Bastava dirgli di
no» replica secco levandosi la giacca e la camicia.
«Tu non conosci Ian. Ha insistito una settimana,
alla fine ho ceduto perché si stava offendendo.»
«Povero, non sia mai che s’offenda» dice
sarcastico passando una nuova salviettina sul petto e sotto le ascelle.
Andrea lo guarda severo.
«Scherzavo.»
Parlare con lui di Dorian, che chiama Ian come
fossero amici da sempre, è come con sua madre nei confronti di Gesù Cristo: una
cieca devozione che Giorgio non si spiega. Alle volte si domanda se anche lui
reciti delle preghiere pensando al suo caro Conte.
Comprende che gli si sia affezionato, comprende
anche che lo abbia posto come figura adulta di riferimento dopo la morte dei suoi
genitori, ma sembra mancargli in modo eccessivo e questo lo capisce meno.
«Quando torna, Ian?» dice accentuando il nome
proibito ai non-cultori.
«Tu non puoi chiamarlo Ian» dice seccato.
«E che fa? Mi multa?» sghignazza, ma lui non ride.
Alza gli occhi al cielo e ripone la domanda indossando i jeans. «Quando torna,
Dorian?»
«Il quindici di maggio.»
«Be’, dai, non manca molto.»
Andrea annuisce e il volto sembra d’improvviso
attraversato da un’emozione.
Giorgio ne resta turbato; il solo pensiero che Ian
torni, ops… Dorian, rende allegro Andrea. Lo conosce troppo bene da non
rendersi conto che il suo attaccamento sia morboso, ma non gli dice nulla
perché ha già degli sbalzi d’umore non indifferenti e non vuole turbarlo.
Mi sembra di stare con mia madre, quando fa così.
Giorgio sbuffa indossando le scarpe da ginnastica.
I piedi non sono felici di chiudersi nuovamente in una scatola, anche se
confortevole, ma soffrono meno.
«Ho finito, grazie per il cambio. Ci voleva
proprio» ripone il completo nel sacchetto e torna davanti. «Allora, se sei convinto,
andiamo» l’avvisa allacciando la cintura di sicurezza.
Andrea chiude il thermos e partono.
«Grazie e te, che mi accompagni sempre» gli dice
chinando appena il capo.
Giorgio gli poggia la mano sulla spalla e serra la
morsa. «È il nostro segreto. Ti accompagnerò sempre.» Poi, incrocia le braccia
e restano in silenzio mentre Andrea fa partire una canzone legata alla
circostanza: Heroin dei Velvet Underground.
“I
don’t know just where I’m going
But
I’m gonna try for the kingdom if I can
‘cause
it makes me feel like I’m a man…”
“Non so proprio dove stia andando
Ma proverò a raggiungere il regno se ci riesco
Perché mi fa sentire come fossi un uomo…”
E mentre la canzone aleggia funesta della sua
decadenza, Andrea diventa rosso in volto e Giorgio non può fare a meno di
domandarsi perché voglia torturarsi anno dopo anno così, con un senso di colpa
sbagliato.
Ingiusto.
Il passato non si cancella, è vero, ma si può
chiuderlo in un sacco e non aprirlo più; basta volerlo.
Arrivano a Paderno Dugnano e Andrea inizia a
entrare nella campagna aperta per poi addentrarsi in uno sterrato fino a una
zona erbosa, abbandonata e selvaggia.
“I
wish that I was born a thousand years ago
I
wish that I’d sailed the darkness seas…
Away
from the big city
Where
a man cannot be free
Of
all the evils of this town…”
“Vorrei essere nato mille anni fa
Vorrei aver navigato per mari oscuri…
Via dalla metropoli
Dove un uomo non può essere libero
Dai mali di questa città…”
Si fermano e scendono. Calpestano la stessa erba
di quella volta in cui hanno partecipato a un rave, una festa clandestina che
li ha portati all’eccesso tra lo sballo collettivo e il sesso addosso a un
grande tronco, che ora non c’è più.
Ora c’è un silenzio graffiante che trasporta però
l’eco fantasma della musica e delle risate e degli affanni di quella notte ai
tempi del liceo.
Ora c’è la puzza acida di una fabbrica lontana
dissimile dall’acido del furgoncino che fabbricava le pasticche illegali per
sballarsi, ma altrettanto fastidiosa.
Ora ci sono solo loro due quando prima il campo
era colmo di carne danzante e sudata in cerca di un modo per placare i mali che
li opprimevano. Per molti, inesistenti, ma non per Andrea e Giorgio che per
indole e situazioni la vita ha condannato al “caos dentro”.
Caos fresco di giovinezza.
Caos rabbioso di anticonformismo.
Andrea inizia a singhiozzare e Giorgio lo cinge
intorno alla spalla.
Caos pericoloso e incontrollabile, soprattutto
quando la mente è confusa e la carne brucia, come quella notte che erano
strafatti e bevuti. Hanno ballato e scopato come bestie da monta,
dimenticandosi perfino della gente intorno. E nei pressi dell’albero rimosso
s’è creato l’inaspettato.
La tipa che si stava facendo Andrea, a quanto
pare, stava con uno che, appena li ha visti, ha aggredito il suo amico con un
pugno. Giorgio li ha visti e l’ha assalito per salvarlo.
Non sa ancora come, ma s’è ritrovato con un
coltello in pancia. L’istante dopo, però, ha mollato un diretto così forte in
faccia a quel tipo che è caduto all’indietro. E lì è rimasto.
Con una lucidità instabile, Andrea l’ha portato
all’ospedale salvandogli la vita, ma solo il giorno dopo hanno appreso dai
giornali che un ragazzo era morto per infarto, causa mix micidiale di droga e
alcol.
Era lo stesso ragazzo picchiato da Giorgio. E
Andrea non riesce a togliersi il dubbio che, se non fosse stato per il pugno
che l’ha stordito portandolo dal sonno all’infarto, forse si sarebbe salvato.
Se fosse stato vigile, forse avrebbe avuto delle
avvisaglie. Forse.
Ma quel “forse” è sufficiente a tormentare Andrea
fin da allora, e poi c’è il senso di colpa per la ferita di Giorgio. La coltellata
che s’è preso al suo posto.
È il loro segreto. Non lo sa nessuno.
Legati da un vincolo di sangue e da una
gratitudine reciproca che li unirà per sempre.
«Perché non c’eri quando sono morti i miei?» gli
chiede Andrea poco dopo a bruciapelo
lasciandolo di sasso.
«Un giorno te lo dirò, ma non oggi.»
«Va bene» sussurra col capo chino. Passa la manica
sugli occhi e poi lo guarda lacerandolo.
Andrea…
Giorgio lo stringe di colpo e si abbracciano con
la sofferenza sottopelle.
«Ora, andiamo.»
Il suo amico vacilla, lo sente scivolargli via.
Non si fida più di lui come una volta; e questo segreto è un elastico che li
avvicina e li allontana. Il ricordo riaffiora ogni tanto e anche se si sforzano
di cacciarlo, la semplice presenza dell’altro conferma il ricordo stesso.
Ecco perché Giorgio preferirebbe non dirgli altre
cose che ha fatto, così può conviverci meglio.
S’incamminano a passi lenti, uno al fianco
dell’altro.
«Ti va di venire a cena da me, stasera» gli
propone Andrea; sembra riprendersi.
«Stasera non posso» risponde mordendosi il labbro.
«Sai, la mia ragazza lavora tanto e oggi è l’unico giorno che possiamo stare
insieme un po’ di più.»
Andrea lo fissa perplesso. «Non si può sapere
nemmeno il nome di questa tua ragazza?»
Giorgio fa un profondo respiro e si ravviva i
ricci. «È molto riservata.»
«Ho capito» scuote il capo Andrea. «Ti ho chiesto
il nome, mica l’indirizzo.» Poi, si blocca d’improvviso. «Non me lo dici perché
la conosco?» E alza gli occhi al cielo. «È una modella, forse? O un’attrice?»
«No. Però, è abbastanza popolare, almeno nel suo
giro. Ecco perché stiamo ancora nascosti. Scusa, dai. Non mi va di dirti
balle.»
Andrea si mette le mani in tasca si ferma davanti
all’auto. «Ho capito. Speravo ti andasse un’uscita in quattro, tutto qui.»
Giorgio scuote il capo. «La mia è una relazione
seria, la tua no.»
«Che cazzo dici, oh!» sbotta fissandolo di colpo. È
stato acido, ma almeno ora Andrea non pensa più al passato. «È una
non-relazione, però è seria» e mentre lo dice solleva le sopracciglia di colpo
poco convinto.
Giorgio ride.
«Cioè, a momenti lo è.» Fa spallucce Andrea. «Bo’
non lo so, è un periodo un po’ incasinato» dice mettendosi le mani in testa.
Poi, le muove avanti e indietro increspando la fronte mentre l’alba indora
tutto, anche i suoi capelli che rapiscono l’unico squarcio tra le nubi.
Giorgio vorrebbe dirgli che lo vede perfettamente
che non è innamorato, vorrebbe anche consigliargli di non attaccarsi troppo a
Dorian, ma è tardi. Può solo cercare di stargli vicino, visto che anche lui è
un po’ incasinato.
«Dove ti porto?»
«In Piazza Cinque Giornate, puoi?»
Andrea annuisce schiudendo le labbra; sta pensando
a tutte le donne che conosce che abitano in quella zona. Ruota gli occhi un
paio di volte e va alla portiera. «Andiamo.»
Appena salgono in auto, Giorgio interrompe la canzone
dei Velvet Underground che per quanto sia meravigliosamente deprimente è legata
a questo campo di morte e ora vuole solo cambiare musica.
Cerca nel lettore e quando vede Joy Division
attiva “Disorder” molto appropriata per il loro stato d’animo attuale.
“I’ve
been waiting for a guide to come
and
take me by hand
Could
these sensations make me feel the pleasures
of
a normal man?
These
sensations barely interest me for another day,
I’ve
got the spirit, lose the feeling, take the shock away.”
“Ho aspettato che arrivasse una guida
E che mi prendesse per mano
Queste sensazioni potrebbero farmi sentire
I piaceri di un uomo normale?
Queste sensazioni a malapena mi interesseranno un
altro giorno
io ho lo spirito, ho perso l’emozione, porto via
lo shock.”
Un trauma può portare via le emozioni?
Può riuscire a mitigarle? A sopprimerle, a
strozzarle, a renderle così minuscole fino a farle svanire? È per questo che
poi si va in cerca di “emozioni forti” visto che quelle consuete lasciano
indifferenti?
I pensieri di Giorgio vanno a ritmo della canzone
che li accompagna lungo le strade di Milano di domenica mattina, deserta e
stanca. Ci sono solo gli operatori ecologici che spazzano le strade dei resti
della baldoria notturna.
«Tu che fai dopo?» domanda al suo amico.
Andrea fa spallucce.
«Interessante» sorride Giorgio facendolo ridere a
sua volta.
«Magari faccio un pisolo col mio micio. A pranzo
mi sento con Ian. Poi, studio oppure mi guardo un film, non so. Poi, vedo. Oggi
mi va di starmene tranquillo.»
«Tranquillo va bene, depresso no.»
«Non sono depresso.» Lo guarda di sfuggita. «È un
periodo così» e fa ancora spallucce.
Giorgio ondeggia le gambe e incrocia le braccia.
Il suo amico è confuso e depresso, e il peggio è che non se ne rende conto. Ma
farglielo notare ora, lo farebbe solo incazzare.
Forse comprende perché Dorian sia tanto
importante; è una guida ferma come Marta lo è per lui, anche se in modo
diverso.
«Sai perché mi trovo tanto bene con lei?» accenna
Giorgio.
Andrea attende.
«Quelli come noi, hanno il caos dentro» sospira
mentre Andrea si morde il labbro. «Lei è la mia oasi rilassante. Quando sto con
lei, il caos che ho dentro, tace.»
Andrea lo guarda con gli occhi enormi, ora.
«Che c’è?» chiede Giorgio sapendo però benissimo
di aver toccato un nervo scoperto.
«Niente. Sono contento per te» gli fa un
sorrisetto mentre accosta nei pressi del Coin di Piazza Cinque Giornate. «Qui
ti va bene?»
«Perfetto, grazie.» Giorgio recupera i suoi
sacchetti dai sedili posteriori e lo saluta. «Organizziamo una birretta in
settimana, che dici?»
«Certo, ci sentiamo.» Fa una pausa. «Senti, se lei
è tanto importante, vedi di non fare scemate.»
«Potresti darmi qualche buon consiglio quando ci
vediamo per la birra» replica sperando che accetti, così avrebbe anche una
scusa valida per sentirlo spesso e vedere come sta.
«Io non sono la persona più adatta visto tutto
quello che è successo.» Scuote il capo e si strofina l’occhio.
«Tu mi conosci meglio di chiunque altro, e sei
l’unico vero amico che ho.»
Andrea annuisce, ma non aggiunge altro.
«Ciao.» Giorgio scende dall’auto prima che il
disagio cresca. Purtroppo, non è più reciproco questo fatto. Nella vita di
Andrea è entrato prepotente Dorian Dal Borgo, Ian o il Conte che dir si voglia,
una figura dominante per fama e carisma. È normale che il suo amico ne sia
rimasto colpito e travolto.
E dalla sua reazione, Andrea vede in quell’uomo
un’ancora che non lo fa andare alla deriva, una controparte che controlla il
suo disordine interiore, proprio come Marta con lui.
Ora capisce che, suo malgrado, deve rinunciare al
suo migliore amico per il suo bene.
Portano entrambi il caos dentro e entrambi hanno
bisogno di stabilità, di fermezza.
Marta ferma il suo caos.
Giorgio cammina per le strade ancora deserte
pensando che tra poche ore si riempiranno di famiglie, di coppie e di amici che
trascorreranno la domenica in relax.
E lui non vede l’ora di rilassarsi dentro la sua
Marta.




