Alessio Brugnoli's Blog, page 257

August 4, 2014

Futurismo e Fantascienza


Sul gruppo di fantascienza che bazzico su FB c’è stata, con qualche imprevisto, una colta e civile discussione sul Futurismo, da cui sono saltati fuori diversi spunti interessanti.


Il primo è relativo alla relazione tra Futurismo e Fascismo: sicuramente Mussolini ha preso idee e suggestioni da Marinetti, ma il Secondo Futurismo era una tale coacervo di idee e posizioni differenti che è una forzatura parlare di un’equivalenza uno a uno.


Vi erano futuristi fascisti, come lo stesso Marinetti, per convinzione o per desiderio di prebende: ma vi erano anche futuristi, tipo Dottori, che consideravano il fascismo come una pericolosa deriva bolscevica e sinistrorsa della politica italiana, altri, come Fillia, erano socialisti, altri erano comunisti o anarchici.


Caraccioli, futurista e dirigente di Bandiera Rossa, fu ad esempio fucilato alle Fosse Ardeatine.


Il secondo è sulla relazione tra Futurismo e Fantascienza… Sembra strano, ma negli anni Venti, a differenza di oggi, alla Fantascienza veniva data dagli intellettuali italiani grande dignità: per non citare i futuristi che scrissero diversi romanzi sci-fi, vi si dedicò anche il buon Dohuet, utilizzando quella forma di narrativa come strumento per diffondere le sue tesi sulla guerra aerea.


Fantascienza, quella dei futuristi che ebbe risonanza internazionale : ad esempio Metropolis fu ispirata da Raun, un’opera teatrale del Futurista Ruggero Vasari, scritta nel 1924 e pubblicata nel 1933 e le scenografie di Otto Hunte, Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht furono copiate dai disegni di Sant’Elia.


Narrativa, a cui si sommano le suggestioni figlie di tanti manifesti, da quello dell’Aeropittura a quello sulla Ricostruzione futurista dell’Universo, la cui eredità si perse a seguito della damnatio memoriae che colpì nel 1946 il movimento, impoverendo la fantascienza italiana che si sradicò, dimenticando le sue radici


Paradossalmente le diverse eredità del futurismo (la teosofia di Marinetti, la cibernetica di Depero, l’anelito cosmico di Prampolini, il vitalismo tecnologico e transumano dell’aeropittura) hanno ripreso vigore sul finire degli anni Novanto, costituendo un forte retroterra culturale del Connetivismo


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Published on August 04, 2014 03:43

Guerra dei Fiori in Palestina ?


Premessa per i lettori: è un post politicamente scorretto, per cui, se volete, potete anche evitare di leggerlo


Nonostante il mio difetto, di aprire bocca su tutto e tutti, ho evitato di pontificare sulla questione Gaza, visto che la ritengo troppo complessa per essere liquidata dalle poche righe di un post.


Però, dato che il lo sfracellamento di cabasisi da parte di amici e conoscenti ha raggiunto livelli inimmaginabili, alla fine ho deciso di dare la mia chiave di lettura che è tutto, tranne che una verità assoluta.


E’ innegabile che la strategia israeliana, a lungo termine, abbia avuto successo: tutto si può dire, tranne che Gerusalemme sia attualmente accerchiata da nemici capaci di eliminarla.


La stessa Gaza, dal punto di vista militare, è poco più che una seccatura… Allora perchè Israele si ostina a seguire un rituale di escalation e rappresaglie che è di fatto strategicamente poco produttivo, non eliminando gli avversari e danneggiando la sua immagine internazionale ?


Dal punto di vista costi-benefici, sarebbe paradossalmente più utile una guerra asimmetrica, come quella condotta negli ultimi anni contro Hezbollah, ossia una seria di attentati contro i leader politici e militari di Hamas.


Lo stesso vale per Hamas: se non si vuole scendere a negoziati, ci sono mezzi più efficaci per danneggiare il nemico del lanciare a caso razzi di scarsa precisione e poca efficacia.


Sospetto che entrambi i contendenti stiano combattendo una sorta di xochiyaoyotl, la guerra dei fiori: gli aztechi combattevano delle battaglie rituali con vicini, a scopi religiosi, fornitura di prigionieri da sacrificare agli dei e da mangiare in un pasto sacro, e politici.


Questi erano soprattutto:


1) Mostrare la propria potenza agli avversari, per spaventarli in modo da evitare un aumento di intensità nei conflitti. Di fatto è quello che fa Israele. Il mostrare i muscoli a Gaza fa passare dalle mente strane idee a vicini rissosi


2) Aumentare la coesione sociale, con l’invenzione del nemico: senza la guerra continua, i conflitti tra le varie anime dell’ebraismo israeliano potrebbero accentuarsi e senza la scusa della lotta all’entità sionista, Hamas, corrotta e incapace come la maggior parte dei governanti palestinesi non avrebbe nessuna legittimità a governare


3) Assicurare una mobilità sociale e ricadute economiche dovute al bottino: gli effeti del moltiplicatore keynesiano legato alle spese belliche di Israele sono una componente importante della sua economia, mentre Hamas, senza la retorica della guerra continua, avrebbe una forte riduzione degli aiuti che in buona parte riempiono i conti in banca dei suoi leader.


Per cui, per cui siamo al paradosso in cui entrambe le leadership guadagnano più dalla guerra che dalla pace…Se si vuole risolvere la questione alla radice, per evitare anni e anni di stragi inutili, è necessario trovare un modo di rovesciare questo stato di cose.


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Published on August 04, 2014 02:56

August 1, 2014

Dualismi ?


La discussione sul destino de l’Unità ha avuto l’effetto collaterale di riaccendere un tema ormai stantio, il rapporto tra carta e digitale nell’editoria.


Tenendo conto che, spacca e pesa, ormai l’incidenza degli ebook dovrebbe circa il 5% del mercato (banale estrapolazione dai dati dell’anno scorso, osservando il trend… per cui non prendere il dato come oro colato) e che in alcune nicchie, come ad esempio la fantascienza, la percentuale potrebbe essere anche maggiore, probabilmente sarebbe il caso di andare oltre dualismo materiale e immateriale, riflettendo invece su come integrare entrambi in un unico ecosistema.


Internet non è solo un canale di distribuzione parallelo; l’ebook non è solo la brutta copia del cartaceo, in cui si risparmia sulla stampa e sui magazzini.


Come l’invenzione di Gutenberg, dando più importanza alla parola, al contenuto, che alla decorazione, la forma, ha cambiato l’idea che si aveva del libro, mutandone anche la fruizione, lo stesso dovrebbe la rivoluzione digitale, rendendo l’ebook supporto a esperienze multimediali.


Come e in che tempi, non so dirlo… Anche perchè, l’evoluzione della tecnologia ci sorprende sempre nelle maniere più inaspettate


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Published on August 01, 2014 01:41

July 31, 2014

Il Tesla Italiano ?

Maria-Lato


Una delle leggende più accreditate della pseudo-scienza del Novecento, infinita fonte di ispirazione per romanzi dieselpunk, prima o poi non è detto che non mi ci dedichi anche io, è il cosiddetto raggio della morte.


Quando se ne parla, a tutti vengono in mente il buon Tesla, che secondo me in vecchiaia si era un poco rincitrullito, e la storiella di Marconi che, secondo Donna Rachele in Mussolini privato, aveva realizzato un dispositivo capace, tramite una misteriosa forza, di spegnere i motori a distanza.


Ebbene, loro non sono stati i primi: la fonte di tutto è stato un genialoide, Giulio Ulivi. Chi era costui ?


Un creativo, senza ombra di dubbio; un convincente giramondo, questo è certo; forse con qualche competenza tecnica, visto che nel nel 1910, assieme all’industriale Domenico Micheli, esperto di meccanica e proprietario a Scopoli, frazione del Comune di Foligno, di un cotonificio con “annessa officina generatrice di elettricità” progettò e costruì e testò uno dei primi aerei italiani.


Poi, forse, dietro agli esperimenti di Firenze, in cui furono fatte scoppiare delle bombe a distanza, forse qualcosa vi era, dietro la radiobalistica. Però, sicuramente esagerò meriti e risultati, per riempirsi le tasche.


E nel 1914, la sua capacità di imbonitore raggiunse il culmine.Il New York Times gli dedica uno speciale, fitto di elogi e ammirazione. Lo paragona ad Archimede, parlando del suo raggio della morte che avrebbe potuto  far esplodere a distanza i depositi di munizione e bloccare qualsiasi mezzo a motore sfruttando le onde radio e raggi infrarossi.


Insomma, una cosa che fa tanto Fu Manchu, Flash Gordon e Barone Zemo… Però abboccarono inglesi, francesi e tedeschi e Ulivi tentò di appioppare la sola anche alla marina italiana. Soldi, però ce ne erano pochi; per attirare l’attenzione punta sul patriottismo: non avrebbe preso una lira dal ministero della difesa, facendosi finanziare da privati.


Applicando il principio di a caval donato non si guarda in bocca, Thaon di Ravel disse finalmente di sì.


Il 18 luglio La Stampa annuncia la scomparsa di Giulio Ulivi. Pressato dalle ovvie richieste di controlli, è fuggito con le 80000 lire donategli da cinque non so, chiamiamoli “mecenati” assieme alla fidanzata, la figlia dell’ammiraglio Fornari.


Durante la Prima Guerra Mondiale, per evitare di essere spedito al fronte, tornò ad armeggiare con l’elettricità: qualcosa combinò a Lomazzo, rischiando di fulminare un paio di operai.


Poi di lui si persero tracce, finchè nel 1926, improvvisamente riapparve a Roma, con Balbo che gli mise a disposizione una casa nell’isola Tiberina per continuare i suoi esperimenti.


La cosa durò sino al 1929 quando le acque del Tevere improvvisamente ingrossato invasero la sua abitazione costringendolo a sloggiare.


E non si sa bene come, nel 1930 Giulio venne invitato a Bruxelles dal governo belga che, sino ai giorni dell’invasione nazista, continuò a foraggiarlo.


Il figlio Giacomo, partigiano, fu fucilato sulla piazza del Duomo di Modena il 10 novembre 1944; di Giulio, invece, non seppe più nulla, anche se si ipotizza una sua morte intorno al 1948


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Published on July 31, 2014 02:15

Walking Dead


Nonostante il dispiacere per i lavoratori de L’Unità, non mi strappo le vesti sulla sua chiusura: come ben sapeva Marx, i giornali appartengono alla sovrastruttura e se non sanno adeguarsi ai mutamenti sociali e delle realtà produttive, sono destinati a scomparire.


E L’Unità era dal 2000 che si era isolata dal mondo, ignorando i cambiamenti dell’Italia: se è stata in piedi sino a oggi, in maniera parassitaria, è stato per una sorta di accanimento terapeutico, che da glorioso giornale l’ha reso una sorta di zombi.


Scrive bene il saggio Emmanuele Jonathan Pillia


Un direttore di un famoso giornale, all’inizio del terzo millennio, predisse la scomparsa dei giornali stampati entro il 2011. La chiusura de L’Unità dimostra che la tesi non era infondata, solo “ottimistica”. Chi si strappa le vesti per la chiusura del giornale di cui sopra, dovrebbe considerare che il suicidio de L’Unità è stato causato da due tipi di medicinali: non soltanto la difficoltà di adeguarsi a temi maggiormente contemporanei (cosa che spesso viene considerato il primo alibi), ma proprio al mondo a cui si rivolge. Un mondo che rifiuta l’ebook in nome della carta, che rifiuta lo smartphone in nome dell’agenda, che rifiuta la realtà in nome dell’ideologia.


Chi mi conosce sa che, seppur progressista, sono davvero un idealista. Ma la discronia tra la testata fondata da Gramsci ed il suo ruolo è troppo forte: a che serviva? Solo a giustificare una “voce”? Basta affermare che era una “voce”? Non ne sono convinto. Pur dispiacendomi assai che un giornale importante e storico venga a mancare, la tesi che è una “voce” di una certa area non regge. Credere che si debba dare voce a tutto e tutti, equivale anche togliere spazi a chi, avendo meno storia e possibilità, non riesce a mostrare ed illustrare le proprie idee. Come su facebook: tutti parlano, come me ora, ma difficilmente qualcosa resterà…


L’Unità non è stata assassinata, ma si è estinta, per l’incapacità di adeguarsi anche ai cambiamenti epocali dell’editoria.


Cambiamenti su cui l’intellettuale italiano spesso chiude gli occhi: sabato ho letto un articolo su Pagina99, relativo ai mezzi di sussistenza degli scrittori, che era una colossale raccolta di luoghi comuni, in cui di tutti si parlava, tranne dei nuovi fenomeni, dal selfpublishing al ripensare il concetto di libro e di giornale, trasformandoli in prodotti a multimedialità spinta, come sta facendo una start-up palermitana.


Se L’Unità ci ha dato una lezione, è quella di non fossilizzarsi, difendendo il proprio orticello, ma di accettare la sfida del cambiamento.


Change or Die !


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Published on July 31, 2014 01:12

July 30, 2014

Fisica e Fantascienza


Grazie al buon Augusto Charlie, ho scoperto un simpatico articolo che prende in giro noi scrittori di fantascienza su come usiamo spesso a sproposito la meccanica quantistica, trasformandola in una sorta di magia, di deus ex machina per giustificare di tutto e di più, senza coglierne la vera e dirompente natura…


La condivisione dell’articolo ha portato Giorgio Sangiorgi a scrivere delle interessanti riflessioni che ritengo utile condividere


Io invece non lo comprendo tanto. Certo, gli scrittori di fantascienza ed in particolare gli sceneggiatori (che sono meno accurati, ma che in molti casi sono anche le stesse persone), secondo me in questi anni hanno usato pochissimo il termine “quantistico” (e in Star Trek mi pare che si usino quasi sempre termini inventati, se non ricordo male). Il motivo è che questi scrittori sono ben consapevoli che di meccanica quantistica non capiscono una beata fava, e quindi raramente si sbilanciano in materia. E’ un peccato perché, come evidenzia anche l’estensore del’articolo, sono sicuro che ci sia parecchia materia per della fantascienza innovativa a dirompente. Anch’io mi ripropongo di scriverne… non appena riuscirò a capire qualcosa della scienza in questione.


C’è poi un’altra osservazione da fare. Scopo della letteratura non è strettamente la divulgazione (anche se sarebbe certo meglio che non si mettessero in giro fanfaluche). Se però io voglio scrivere una storia per vedere come si comporterebbero gli uomini visitando altri sistemi solari, devo per forza trovare un modo per portarli laggiù e quindi di superare la velocità della luce. Ergo, o trovo il modo di costruire un vero motore stellare o me ne invento uno di fantasia. I lettori lo sanno e non mi prendono sul serio, prendono per buono solo l’auspicio che nel futuro la mia invenzione fantastica diventi una realtà come il Nautilus. E’ un patto concordato di sospensione della razionalità e della credibilità scientifica che serve a non rovinarsi il gusto di leggere o guardare una bella avventura.


Il che pone tante, tante belle domande: la narrativa è basata su un tacito accordo tra scrittore e lettore, che impone a quest’ultimo la sospensione dell’incredulità… Ma questa sino a quanto deve essere spinta ?


Nella costruzione di un mondo fantascientifico godibile, quanto conta il realismo e la quanto la coerenza interna, cose di fatto distinte ? L’aderenza alla fisica può o no inficiare la leggibilità del testo ?


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Published on July 30, 2014 02:47

Marx e il Teatro Valle

CARLOS-MARX


In una Roma che ama trasformare i cinema in centri commerciali e in cui teatri liberty di proprietà comunale giacciono abbandonati a se stessi, nel degrado più completo, senza diventare una risorsa per la città, si discute oziosamente sul Teatro Valle e su i suoi occupanti.


Ora, da persona cresciuta a pane e Karl Marx, cercherò di dimostrare come, vista da sinistra, la questione sia abbastanza buffa, un gioco di specchi e ipocrisie.


Il concetto di base è quello di Bene Comune: dato che quando se ne discute, le persone tendono a darvi ognuna un’interpretazione differente, specifico subito la mia definizione, discutibile e personale, ma che parte da la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico.


Il Bene Comune è così caratterizzato:


1) Libero Accesso
2) Gestione globale e rappresentativa da parte dell’intero corpo comunitario
3) Eventuali profitti generati messi a disposizione della collettività


Il Teatro Valle, nell’attuale gestione, non rispetta nessuno di questi requisiti: se non appartieni a una determinata lobby culturale, in relazione più o meno diretta con gli occupanti, puoi presentare progetti capaci di vincere progetti internazionali, ma riceverai sempre risposte stizzite (riferimenti ad eventi di cui sono stato testimone, sono puramente casuali :D)


La Città, o per lo meno quello strano zoo che chiamiamo mondo culturale, non ha poteri di nomina, controllo e revoca su chi gestisce la struttura, né di indirizzo sulla sua politica culturale.


Sull’ultimo punto, il poco plusvalore generato, sospetto che nell’occupazione del Valle vi sia più la spesa che l’impresa, si può discutere: in ogni caso il flusso di cassa non crea valore collettivo, come ad esempio finanziando i grossi lavori di restauro di cui il teatro avrebbe bisogno.


Tra l’altro, in questo caso, non vale neppure l’analisi di Miely sull’occupazione degli spazi abitativi: è ridicolo vedere questa esperienza come “ridistribuzione al sottoproletariato delle rendite immobiliari parassitarie”


Quindi se il Teatro Valle non è attualmente configurabile come Bene Comune, allora cosa è ?


Se volessi usare ancora la terminologia di zio Karl, sarebbe l’appropriazione a fini egoistici, da parte di un ceto minoritario, di un bene collettivo, ciò che Lukács identificherebbe come tratto distintivo del fascismo.


Però, essendo in Italia, non me la sento di usare questi termini: è invece l’ennesimo esempio di furberia locale, in cui una minoranza approfitta dell’inefficienza statale per garantire il proprio “particolare”, ammantando tutto dietro alti motivi ideali.


Ma una gestione statale o una fondazione privata muterebbe questo stato di cose, come si predica a destra e manca ?


Personalmente, ho forti dubbi: per rendere il Valle un vero bene comune, dovremmo replicare a Roma le esperienze dei teatri anarchici, come quelli di Riga e Dublino, con i comitati di gestione eletti dai cittadini e commissioni partecipate per la valutazione delle opere messe in scene… Il problema è se siamo pronti a questo cambio di paradigma


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Published on July 30, 2014 02:08

July 29, 2014

Impegno e faziosità


Relativamente all’annoso dibattito sul rapporto tra Fantascienza Italiana e Politica, do visibilità a un interessantissimo intervento del buon Giampietro Stocco che colgo l’occasione di ringraziare per tutti gli spunti di riflessione e i consigli di scrittura che mi ha dato (che poi io non sia capace di metterli in pratica, è un altro paio di maniche :D )


Caro Alessio, penso in realtà che questa ossessione politica stia venendo pian piano meno nel mondo italiano della sf. E meno male! La famosa dicotomia Curtoni-De Turris forzò il fantastico nostrano a una divisione di campo a mio avviso assolutamente deleteria per il genere, che si staccò sempre più dal modello anglosassone per lanciarsi verso derive sterili. E’ la mia opinione, certo. Ma in un paese in cui a parole o stai di qua o stai di là e nei fatti tutti stanno con chiunque apporti dei vantaggi, la traduzione letteraria non può che essere la mediocrità, che traspare anche nei flames e nelle polemiche su rete.


Capito questo, gli autori italiani più saggi – Dario Tonani, Francesco Verso, Francesco Troccoli, Caleb Battiago, Giovanni De Matteo sono solo le punte dell’iceberg – si sono messi a sfruttare la rete per fare non chìacchiere fini a se stesse, ma lobby, e ci stanno riuscendo: Conettivismo, steampunk, ecco le chiavi odierne per levarsi al di sopra della melée e loro usano i mezzi che hanno a disposizione per ottenere un risultato concreto. Non è il sol dell’avvenire, no, e nemmeno quello che sorgeva libero e giocondo sul Colle Oppio, ma qualcosa di più tangibile, da cui forse può nascere una scuola. E non è poco, altro che ridurre tutto alla dicotomia personale/politico di tanti anni fa. Se mai esisterà in Italia una sf impegnata, sarà così, e non seguirà certo il modello del manipolo, dell’oratorio, o del cineclub d’essai…


Sono d’accordo con Giampiero. Il problema della cultura italiana, non solo della fantascienza, è stato l’aver confuso l’impegno, il dover conoscere il mondo, per poi agire per cambiarlo, con il tifo fazioso, il gridare slogan in cambio di prebende.


La scrittura fantascientifica, però, per essere credibile e sensata, deve sollevarsi oltre il particolare e sapere guardare oltre l’orizzonte. Il problema è che in Italia siamo appesantiti da troppe zavorre, per riuscirlo a fare compiutamente


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Published on July 29, 2014 01:36

Solidarietà a Roma fa Schifo


Ogni tanto, anche se a malincuore, mi tocca mettere bocca sulle vicende della politica romana.


Come sapete, i conti del Campidoglio se la passano maluccio: nel tentativo di farli quadrare, il sindaco Marino ha lanciato un programma di aumento delle tasse e di taglio delle spese.


Programma che dopo le polemiche sul concerto dei Rolling Stones a Circo Massimo, prevede anche l’aumento della tassa di occupazione di suolo pubblico, anche la categoria dei camion bar, considerati tra i principali elementi di degrado paesaggistico del Centro Storico.


I camion bar pagano attuale 3 euro di tasse per i camion-bar. Il Sindaco Marino voleva portarle a 30: il che per me è sempre poco, però è il principio quello che conta.


Ma a quanto pare il PD non è stato d’accordo: copio incollo da una loro nota


Con l’approvazione in aula Giulio Cesare dell’emendamento della commissione Commercio che aumenta la tariffa Osp si segna un punto di svolta. Le misure adottate dall’Assemblea capitolina non hanno ricalcato pedissequamente le indicazioni della delibera di Giunta perché applicare indiscriminatamente gli aumenti programmati – a prescindere dal reale valore economico e commerciale dei diversi quadranti e zone della città, e all’interno delle stesse – si sarebbe rivelata una operazione miope e non equa”. Lo dichiarano in una nota congiunta i presidenti dei gruppi di maggioranza in Assemblea capitolina, Francesco D’Ausilio (Pd), Luca Giansanti (Lista Marino), Gianluca Peciola (Sel), Massimo Caprari (Cd) e il coordinatore della maggioranza in Campidoglio, Fabrizio Panecaldo.


Per farla breve, hanno ridotto la tassa a 10,5 euro al giorno. Sarebbe interessante chiedere ai consiglieri di maggioranza del perchè non si siano posti il problema di equità relativamente alla TASI dell’Esquilino, oppure quando si sono tagliati gli stanziamenti a favore dell’assistenza agli anziani e ai bambini handicappati, oppure al consigliere D’Ausilio come questa scelta si collochi in relazione alle sue giuste dichiarazioni sulla lotta contro il degrado, ma il problema è un altro.


Tra i siti che hanno segnalato notizia, vi è stato il blog Roma Fa Schifo, esagerando forse con i toni.


In un paese civile, però, dove Democratico non è un’etichetta da attaccare a un prodotto politico, per fare marketing, ma implica il continuo controllo degli eletti sugli elettori, il PD si sarebbe preso le sue responsabilità politiche, spiegando il perché di questa scelta, diradando sospetti e convincendo i cittadini delle sue buone ragioni.


Invece, a quanto pare, non ha intenzione di fare nulla di questo; la strada scelta sembra essere quella della querela, per fare tacere una voce dissenziente.


Il che lascia estremamente perplessi…


P.S. sembra che il PD voglia fare qualcosa del genere, ossia diminuire le tasse di concessione proposte dalla giunta, anche per i cartelloni pubblicitari… Della serie errare è umano, ma perseverare è diabolico


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Published on July 29, 2014 00:37

July 28, 2014

Nostalgia della politica ?

 breda_padiglione


Periodicamente, nella fantascienza italiana salta fuori il tema della relazione tra politica e scrittura.


Si rimpiange, cito il buon Dario Tonani il tempo in cui


Certi autori, schierati, erano al centro di appassionati dibattiti, le loro opere tirate per la giacca, citate a esempio dall’uno e dall’altro schieramento


Non avendo vissuto, per motivi anagrafici, quei giorni, non mi pronuncio: tuttavia, magari a torto, che quel sentimento nasca più dalla nostalgia della giovinezza perduta che da una realtà concreta.


Sono convinto che la fantascienza attuale sia molto più politicizzata di quella degli anni Settanta e Ottanta.


Non perchè gli autori abbiano la tessera di questo o quel partito o perchè si riempiano la bocca di slogan contro o a favore di Renzi, Grillo e Berlusconi: prima o poi su di loro, è nella natura delle cose, cadrà l’oblio.


Semplicemente perchè, con più determinazione rispetto al passato, vi è una contestazione del modello sociale ed economico su cui è basata l’Italia, di cui una politica sgangherata è effetto, non causa.


Contestazione che si ripropone in una scrittura caotica e visionaria che, magari con ingenuità, rispecchia il caos in un futuri distopici e passati alternativi, con il coraggio di proporre l’Utopia come soluzione…


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Published on July 28, 2014 01:24

Alessio Brugnoli's Blog

Alessio Brugnoli
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