Alessio Brugnoli's Blog, page 252
November 11, 2014
Navi Grigie come metafora dell’Esquilino
Se dovessi definire a bruciapelo Navi Grigie, forse lo chiamerei “Metafora dell’Esquilino”. Non un rione meticcio, gran brutta parola, che rievoca i concetti di purezza di sangue e che, usata contro il razzismo, paradossalmente lo giustifica, ma spazio, anche culturale, di confronto, scontro e fusione tra culture differenti.
Lo è stato alla nascita di Roma, quando era abitato da tribù con riti e corredi funerari ben diversi da quelli dei villaggi sul Palatino.
Ai tempi di Mecenate, in cui buona parte degli abitanti delle insule era di origine greca,egiziana o siriaca. Nei giorni della fine dell’Impero Romano, in cui il rione era popolato da goti ed eruli, che facevano venire il mal di testa al vescovo di Roma con la loro fede nell’arianesimo.
O subito dopo l’Unità d’Italia, con l’immigrazione piemontese: la maggior parte degli abitanti di Piazza Vittorio che si vantano di essere romani da generazioni, hanno i trisnonni di Asti e di Cuneo…
E in parallelo a questa contrapposizione culturale, vi è anche stata anche una sociale: è un luogo dove ricchi e poveri, imperatori e plebei, nobili e prostitute hanno sempre vissuto gomito a gomito.
In un ambiente del genere, il concetto di alieno non è un qualcosa di astratto, ma una realtà concreta: ogni giorno ti abitui a imparare dal diverso, a comprenderlo, ad apprezzarlo o qualche volta a sopportarlo.
In questo spazio condiviso, le culture non rimangono chiuse in compartimenti stagni, ma dialogano e lottano per creare un qualcosa di nuovo e più ampio rispetto alle proprie radici.
Navi Grigie è questo: la narrazione di una scoperta e di un cambiamento, anche contraddittorio, ma che se non avviene, ci condanna a sfumare in un apatico grigiore
November 10, 2014
La Voce dell’Ossido
Approfittando di un attimo di pausa in queste convulse giornate, se hanno ragione gli indù, visto il karma che mi sta toccando, nella scorsa vita ero il cugino cattivo di Gengis Khan, ne approfitto per terminare la pubblicazione del mio brano teatrale la Voce dell’Ossido, magistralmente interpretato dalla Centoducati e rappresentato nelle visionari dipinti di Lunghini
Devo tenere a bada la mia boccaccia. Avrei evitato di stare a mezz’aria, al freddo e al vento. Non ho paura della morte. Da quando hanno scoperto la tisi, mi sto abituando all’idea di andarmene. Il problema è come: un conto tra i sogni indotti dall’oppio e dalla morfina, un conto bruciato vivo, per delle fisime ideologiche che neppure condivido. La rivoluzione non è un pranzo di gala e non si può fare una frittata senza rompere le uova… Va bene tutto, però non capisco perché i gusci debbano essere i miei. Il piano di Zerlina è semplice: nello sgabuzzino della sala da ballo, tra tante cianfrusaglie, che paiono saltate fuori dal ballo Excelsior, vi era una chiave universale. Con un poco di fatica, grazie ai muscoli dei due toscani, l’abbiamo usata per aprire una porta di emergenza, per accedere a una passerella di servizio che sbuca nella stanza del marconista. Con un poco di fortuna, non dovrebbe esserci nessuno; secondo Zerlina, per evitare che il fluido elettrico appiccasse fuoco all’idrogeno, è isolata rispetto al ponte comando. Qualcuno mi tocca la schiena. Sobbalzo, gridando.
“Nervoso, professore ?”
“Zerlina era sovrappensiero… Attenta a dove poggia i piedi”.
“Non si preoccupi … Per motivi di servizio, l’ho percorsa cento volte… Che ha, perché è impallidito ? Eppure poco fa si è vantato di non soffrire di vertigini !”
“C’è un mostriciattolo calvo sulla gondola che mi sta facendo boccacce ! Lei non lo vede ?”
“Ah, il mazzamurello… Anche un mio vecchio amico era convinto di vederlo… Professore, faccia come me: lo ignori… Tanto, più di insultarla non può fare “.
“Ma è impossibile ! Non esistono folletti !”
“Perché è normale che esista il fluido elettrico o i computatori ? Professore, come diceva il buon Amleto,
Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia.
Dobbiamo accettarlo, altrimenti usciremmo pazzi e sperare che si limitino a farci boccacce”
Ho l’impressione che il suo sguardo sia velato di tristezza… Si ferma davanti a una paratia. Le passo la chiave
“Serve una mano, Zerlina?”
“No, Professore, dall’esterno si apre senza troppa fatica”
A me pare il contrario. Mi affianco a lei, dandole una mano nel tirare le maniglie. Dopo una lunga battaglia e parecchi colpi di tosse da parte mia ci riusciamo.
“Zerlina, fortuna che si apriva…”
“Quella bestia di Masetto il motorista… Pensasse meno a giocare a dadi e più alla manutenzione dell’aeronave”
Scivoliamo con facilità nell’ufficio del marconista; una volta sarei rimasto incastrato nell’apertura. Ho perso venti chili. A volte la malattia dona vantaggi imprevisti. Ci avviciniamo alla radio.
“Zerlina, sa usarla ?”
“Fa parte dell’addestramento base”
Alla parete vi è una rastrelliera per fucili, su cui è appoggiata una Conti mod 0.5; ne carezzo il calcio in ebano, decorato con l’aquila a scacchi, e le due canne in Nichel.
“Che diavolo…”
“Ah, ecco dove l’aveva messa il capitano Bartolozzi… Gliela aveva regalata il principe Conti, non so bene in quale occasione… Quel citrullo diceva sempre di averla persa”
“Zerlina, ci sono le munizioni in giro”
“Credo di no, mica è un’armeria questa…”
Mi avvento sullo scrittoio, aprendo tutti i cassetti. Trovo un paio di manette, un frustino, biancheria intima degna dei bordelli di via Panisperna. Con la coda dell’occhio, mi accorgo del sorrisino di Zerlina. Quando sto per perdere la speranza, trovo una scatola, piena di munizioni 9 mm della Ghislenti. E’ roba del Lombardo Veneto, non il massimo, ma me la farò bastare. In fretta e furia, riempio il caricatore.
“Zerlina, preghi per me”
Lei sospira, scuotendo la testa
“Professore, si calmi. Non è tempo di eroi, questo… Termini di mandare il messaggio in codice morse e ce ne ritorniamo buoni buoni nel salone da ballo… Si organizzeranno a Roma, per salvarci. Lasci fare le cose agli esperti”,
“Aiutati che Dio ti aiuta, dice il proverbio”
Zerlina allarga le braccia, guardando il soffitto.
“Ma almeno la sa usare ? Non è che quell’accrocco le possa esplodere in faccia…”
“Usavo il vecchio modello, nella legione straniera, giù in Algeria”.
La ragazza socchiude gli occhi..
“E’ una balla vero ? Non ce la so vedere, con il kepì blanc…”
Sullo scrittoio, c’è una bottiglia di calvados. La dimezzo, bevendo a canna.
“Da ragazzo, ero un unionista…”
“Capita a tutti, professore. E’ una malattia adolescenziale, come il morbillo per i bambini…”
“La mia baracca carbonara voleva sabotare uno degli altoforni di Mongiana, per protesta contro non so quale decisione borbonica. Andò tutto storto: morirono quattro poveri cristi. Non me lo sono mai perdonato. I miei mi fecero espatriare in Corsica, dove mi arruolai, per cercare la bella morte e l’espiazione.”
“E vuole trovarla proprio ora ?”
“No, Zerlina, alla fine si fa pace con se stessi. Voglio solo liberare il mondo da qualche idiota”
Sbuffa, mentre digita con nervosismo punti e linee.
“Mi raccomando, professore, stia attento che non è roba per lei…”
Avanzo per il corridoio, a passi leggeri, respirando il meno possibile. Le scale per salire sul ponte di comando cigolano, ma nessuno sembra farci caso. La fortuna aiuta gli audaci o gli sciocchi. Sento delle voci. Mi infilo di corsa in una cabina, dove trovo tre membri dell’equipaggio, legati e imbavagliati. Riconosco un mozzo che non mi infastidiva mai con la richiesta di mance. Libero lui.
“Aho, ma chi sei, Fantomas ?”
“Dove sono gli anarchici ?”
“Nell’appartamento de Bartolozzi, alla fine del primo corridoio a sinistra”
“Libera gli altri che a quei Robur in sedicesimo ci penso io”.
Il mozzo si carezza i polsi, poi mi scruta.
“Come te va…”
Mi avvicino all’appartamento di Bartolozzi. Da fuori sento russare. Do un calcio alla porta, mi fiondo dentro e sparo come non ci fosse domani. Farfuglio qualcosa, ma il crepitio dei colpi nasconde la mia voce. Terminano i colpi. A occhio dovrei aver fatto una strage. Da dietro una colonna, però, sbuca un bestione, dalla barba nera e incolta. Zoppica, per un colpo di striscio. Ha in mano un coltello. E’ pronto a sgozzarmi. Ho tentato… Spero non sia doloroso. Un colpo di pistola colpisce il mio assalitore in piena fronte. Mi giro, trovandomi davanti Zerlina. Mi fa l’occhiolino…
“Come le dicevo, certe cose le debbono fare i professionisti…”
Nella notte si sente il canto di un ubriaco…
November 7, 2014
La Voce dell’Ossido (Parte II)
Ed ecco a voi la seconda parte del testo recitato ottimamente a Radar da Maria Antonietta Centoducati e dipinto da Lunghini
Siamo tutti accalcati, come semi di melograno: i passeggeri, compreso un vecchio prussiano che si regge a stento in piedi, le cameriere, i cuochi e persino la donna addetta al regolo calcolatore. Non abbiamo mangiato e l’acqua scarseggia. Il parquet comincia a diventare scomodo. Guardare il ritratto che Boldini fece alla mamma di Andrea, gran bella donna, tra l’altro, né lui, né la sorella le somigliano, mi sta annoiando. Francesca è seduta accanto a me. E’ più pallida del suo cappello parigino. Mi abbraccia.
“Marco chi sono ?”.
“Amici tuoi… Mazziniani, anarchici, forse…”
“Tesò, Non offendere ! Noi non crediamo nella violenza… Vogliamo l’Unità d’Italia tramite riforme federali”.
“Senti, Francesca, non mi va di litigare di politica… Ho fame, tossisco a non finire e mi hanno pure sequestrato… Fortuna che volevo concedermi una tranquilla vacanza in Grecia…”
La mia amica comincia a ridere senza ritegno… Tutti si girano, a guardarla perplessi. Io divento più rosso del sangue che macchia le maniche della mia camicia.
“Su, su, non ci stiamo facendo mancare nulla: il Partenone, la gita con i ciuchini e adesso un’avventura degna di Beppe e Andrea… Chissà che faccia faranno, quando lo sapranno… Poi, almeno con i noi, i rapitori non fanno un grande affare… Io non ho gli occhi per piangere e tu…”.
“Francesca, pagherà tutto il principe Conti… Il dirigibile è il suo…”
“Meglio mi sento… Gli voglio tanto bene, al papà di Andrea, mi piace andare a teatro con lui, ma è una pinza e una tenaglia.. Se aspettiamo il suo riscatto, rischiamo di morire di vecchiaia…”
“Magari, vecchia mia, più che ai soldi saranno interessati a qualche concessione politica: un’amnistia, le dimissioni del Cardinal Colacchia…”
Non faccio in tempo a terminare con le mie elucubrazioni, quando due dirottatori entrano nel salone da ballo: uno ci tiene sotto mira con la pistola, dall’esperienza che mi sono fatto nella Legione Straniera, dovrebbe essere una Luger 7,65 mm Parabellum, simile a quella usata nell’esercito svizzero. Canticchia
Libertà l’è morta
L’altro, invece, apre il magazzino, con un mazzo di chiavi da fare invidia a San Pietro. Mi guarda, scuote il capo, poi punta due ragazzotti che dalla parlata, mi sembrano sudditi del Granducato.
“Tu e tu, prendete quei bidoni”.
Obbediscono, pur accompagnando i loro sforzi con bestemmie e coloriti insulti diretti alla maremma. Francesca si copre le orecchie, per non sentirli: eppure a lezione o durante gli esami, il suo linguaggio è anche peggiore. Rientrano dopo un quarto d’ora, portando con sé del pane, fette di carne fredda e bottiglie d’acqua. Tutti si accalcano attorno al cibo. Io invece, mi avvicino ai toscani.
“Allora, che cosa c’era nei bidoni ?”
Il più alto si batte la fronte con il palmo della mano
“O professore, quelli lì son proprio tocchi, vero Lorenzo ?”
Il suo compagno, basso e tozzo, annuisce
“Che bischerata ! Ci siamo spaccati la schiena per due cose degne di Calandrino e Gianni Schicchi… In uno c’era solo ruggine, nell’altro una polvere grigiastra, fredda al tatto… E ce l’hanno fatta spargere in giro. Ma chi li capisce è bravo”
Aggrotto la fronte, evidenziando le troppe rughe.
“Cazzo…”
Francesca mi da uno scappellotto.
“Contegno, Marco, modera il linguaggio… Un poco di contegno”
“Vogliono bruciarci vivi, porca mignotta ladra”.
“Madre Santissima del Carmine, ma che stai dicendo ? Hai battuto la testa pure tu ?”
“No, Francesca, tu dedicati allo ius che la chimica è cosa mia… Idrogeno più ossido di ferro più alluminio, uguale boom ! Con il contorno di tante fiamme, per farci fare la fine delle lumache alla brace nella fiera di San Giovanni “
I toscani bestemmiano, gli altri piangono o, a cominciare da Francesca, si tracciano con il segno della croce. Mi trovo davanti la computatrice, Zerlina, mi pare si chiami, che si sistema i fregi che decorano la sua tunica azzurra.
“Professore, non sta esagerando ? Perché dovrebbero bruciarci vivi ? Fossimo papi, cardinali, baroni… Qui siamo tutti borghesi, poco più che immondizia… Va bene la lotta di classe, va bene tutto, però mi pare esagerato”.
Mi metto la testa tra le mani.
“Noi, non siamo noi l’obiettivo… Deve essere qualcosa di grosso, che può essere colpito da un dirigibile in fiamme… Ma cosa può esserci di simile a Roma”
Francesca tira fuori un rosario dalla borsetta e comincia a scorrere i grani
“San Gennaro, proteggici tu… La cupola di San Pietro”.
La computatrice si carezza di capelli.
“Sarà il caso di avvertire Roma… Signori, c’è qualcuno tra voi che non soffre di vertigini ?”.
November 6, 2014
La Voce dell’Ossido (Parte I)
In occasione di Radar, ho collaborato con Daniele Lunghini e Maria Antonietta Centoducati, per una performance steampunk che unisse diversi linguaggio artistici, progetto a cui ha partecipato anche il buon Augusto Gintama Charlie.
Con il senno del poi, il testo che ho scritto ha ampi margini di miglioramento: sarebbe dovuto essere più breve e con meno dialoghi, per rendere di più… Però, in fondo sono soddisfatto.
Il testo che ho messo giù è di fatto un ponte tra vecchio e nuovo, tra Il Canto Oscuro e Lithica, dove appaiono personaggi e situazioni di entrambi i romanzi…
Così, per festeggiare anche la pubblicazione di Navi Grigie, a puntate pubblicherò il testo teatrale… Di seguito la prima parte.
Capitolo I
Amo i dirigibili, il loro essere lievi, sopra le nuvole. Mi donano l’illusione di essere libero, lontano dalla fuliggine che avvelena Roma, nascondendo le forme di chiese e palazzi. Lontano dal rumore incessante dei computatori, che coprono ogni conversazione: un canto oscuro, ipnotico, che entra nella mente, rendendoci simili a ingranaggi e agli automi con cui gli imbonitori affascinano la plebe, nei giorni del mercato di Piazza Navona. Mi viene da sorridere: una volta avevo dedicato ai computatori la mia vita. Ora li sfuggo, come se fossero araldi di morte. Guardo l’orizzonte, sognando di essere un falco. Comincio a tossire e la realtà riprende il sopravvento. Il ticchettio di passi; dalla loro voce, riconosco Francesca. Mi porge un fazzoletto, tutte trine e merletti, con agli angoli ricamata un aquila scaccata, come quella che domina in ogni angolo di questa aeronave, stemma della famiglia Conti.
“Tieni, ciuco”
Lo premo sulla mia bocca, sporcandolo di sangue.
“Mi dispiace…”
Lei mi sorride, dandomi due pacche sulla schiena.
“Marco, si laverà… E’ stato fatto per essere usato, mica per ingombrare”
“Era un regalo di Andrea o del Principe Padre”.
“Ma quando mai… Non hanno capa per queste cose… In realtà me lo diede Beppe”
Mi arriccio i baffi, mentre lei sospira, per poi sistemarsi il bustino.
“Francesca, chissà come stanno, lui e Andrea… Attirano disgrazie, come i fulmini la croce del Campidoglio”
Un paio di colpi di tosse. Un dolore al petto. Mi tremano le gambe. La mia amica sorride, arricciandosi un tirabaci.
“Marco, quei due sono comme ‘a maruzza: tutto chello ca tene s’ ‘o pporta ‘ncuollo… Se la staranno spassando a Nuova York, quei due disgraziati, alla faccia nostra… Però tu, brutta capa tosta che non sei altro, ti vuoi decidere a ritirarti in un sanatorio ?”.
Smetto di guardare le nuvole. Do un pugno al corrimano.
“Finito il viaggio, andrò al sanatorio Berghof a Davos, sulle Alpi svizzere… Me ne hanno parlato molto bene”.
Francesca mi agita l’ombrellino da passeggio, di un lavanda stinto, sotto la punta del mio naso.
“Guarda che se non lo fai, te lo spacco in fronte, promesso…”
La abbraccio, dandole un bacio sulla guancia.
“Uhè, sciammannato, che fai ? Guarda che così mi comprometti e ti tocca pure sposarmi…”.
Attacco a ridere, come le iene che il papa re ha infilato nelle gabbie presso il nuovo zoo, ai prati di Castello.
“Così, quel tuo spasimante, Filippo Tommaso, mi sfida a duello…”.
“Lui ? Mica è come Andrea, che avrebbe evitato i suoi guai, se si fosse fatto gli affaracci suoi.. Tra l’altro, a Filippo gli sta dando pure di volta il cervello… Ha chiuso la sua rivista di poesia, si è rintanato in casa e sta scrivendo un manifesto letterario, pieno di pazzariellate come
Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo
O
Un’ automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”
Quasi mi strozzo per la saliva.
“Francesca, ma se l’unica volta che ha guidato un’Isotta Fraschini si è ribaltato ?”
Mi fa una smorfia, arricciando le labbra…
“E’ stato per evitare due ciclisti… Comunque hai ragione, la botta in testa c’entra qualcosa… Che farai, scimunito, quando sarai dimesso dal sanatorio ?”.
Mi tolgo la bombetta dal capo. Comincio a giocare con la falda, storcendola.
“Aprirò una gelateria”.
Francesca poggia sulla tempia l’indice della mano, roteandolo.
“Ma la tisi ti ha preso ai nervi…”.
“Tanto la cattedra non me la ridaranno mai… Con i nuovi computatori, a valvole termoioniche… Io sono un ferrovecchio, figlio del vapore e degli ingranaggi… Non c’è spazio per me nel futuro… Meglio cambiare vita, cara Francesca… Così mi sono messo d’accordo con un immigrato piemontese, un certo Fassi… Abbiamo affittato la Casa Tonda, su all’Esquilino, accanto alla vigna dei Celestini… La trasformeremo in un locale alla moda, con un bel chiosco, in cui orchestrine suoneranno valzer e brani di operette… E quando ti stancherai di studenti somari, di codici e pandette, potrai salirci e cantare…”
“Un bel sogno, vecchio mio”.
“L’unica cosa che mi è rimasta…”
“Marco, molti non hanno neppure più questo”.
Le porgo il braccio.
“Professoressa Ecate, che dice, è ora di andare a pranzo ? Il mio stomaco brontola…”
“Professore Ajello”
“Emerito, mi raccomando…”
“Le dicevo, professore, che sono d’accordo con lei…”
Camminiamo, imitando i passi di una promenade, prigionieri di una musica immaginaria, sino a giungere all’ingresso del secondo ponte. Saluto tre passeggieri, vestiti di nero. Per tutto il viaggio sono state sulle loro, senza scambiare una parola con nessuno. Spesso hanno mangiato in cabina. Si girano verso di noi. Francesca comincia a urlare come una gallina sgozzata. In mano hanno una pistola.
“Signori, vi invito a seguirci nel primo ponte, nel salone da ballo”.
November 5, 2014
Il mio nuovo romanzo: Navi Grigie
Per le Edizioni Scudo è uscito il mio nuovo romanzo, Navi Grigie. Per una volta, non mi dedico allo streampunk..
Navi Grigie è una serie di atti d’amore: per la fantascienza classica, quella delle riviste pulp e delle grandi visioni degli anni Sessanta, rivista con ironica nostalgia.
Per i dinosauri, che hanno popolato i sogni della mia infanzia e che, nonostante le piume, continuo ad amare.
Per l’Esquilino, quartiere incompreso, folle, geniale che può capire solo ci vive. E come gli scrittori seri, è il turno dei ringraziamenti… A mio nonno Otello: non ha fatto in tempo a vedere pubblicati i miei romanzi, forse non avrebbe capito la mia passione per la fantascienza, ma sarebbe stato fiero di me…
Quando avevo cinque o sei anni, mi regalò una di quelle buste piene di dinosauri di plastica, che colpirono subito la mia immaginazione… Senza di lui, Navi Grigie non sarebbe mai nato.
A Giorgio Sangiorgi che quella mattina allo Steampunk Festival di Tor Cervara ha avuto fiducia in me, coinvolgendomi nel suo esperimento di replicare le modalità di scrittura della golden age.
Lo ringrazio per splendido spunto che mi ha regalato e per il tempo che ha dedicato nel revisionare le mie pagine.
A Luca Oleastri, per la sua splendida copertina, che non smetterei mai guardare.
A Giovanni Grotto: vuoi o non vuoi, Navi Grigie è anche il seguito del Vecchio Jo, racconto che ho pubblicato per la sua antologia Deinos…
A Sandro Battisti e Giampietro Stocco: meriterebbero allievi migliori di me, ma non so cosa farei senza i loro preziosi consigli.
A Pier Luigi Manieri, mio compagno di battaglie letterarie… Prima o poi i gemelli Wolf bruceranno il Mondo
A mia moglie, che sopporta tutte le mie paturnie… E a tutti coloro che bazzicano Piazza Vittorio, senza cui il romanzo sarebbe peggiore… E a Li er Barista, che, nonostante faccia il vago, mi deve un mese di colazioni gratis !
November 4, 2014
Il sermone del diamante
Parte I Visione
Tiepida è l’aria e le stelle sfumano
nella notte di maggio dove il vento
si perde nella speranza d’estate
Incrocio gambe nel verde malato
di un sudario di foglie, con il grillo
che canta una poesia di morte e luce,
ragnatela che ci avvolge crudele
nel ciclo infinito di rinascite.
Sfuma lento il sentiero di diamante
tra sermoni di fuoco, spire e reti
nemiche del risveglio e di visioni
Ciò che nasce è destinato a perire
mi sussurra il serpente dallo sguardo
di velenoso e crudele cristallo
Mi parla una ninfa del suo dolore
legame oscuro con ciò che non si ama
o forse è inganno, figlio del digiuno
Muggisce il cielo incerto partorendo
l’agonia di nove sensuali e pure
il cui fuoco muore nell’ampio vuoto.
Dorme il fotone, prigioniero eterno
dell’ultimo orizzonte degli eventi
la sua fuga, tra spazi rudi e astrali
come radiazione entropica di Hawking
Le onde di marea scuotono il continuum
come il vento le dune del deserto
dove i tartari sognano saccheggi
Lo spazio si dispiega in gomitoli
di stringhe e di brame e lento e melmoso
il tempo nell’eterno nulla affonda
Desiderio e dolore si abbracciano
così sussurra vuota l’illusione
Parte II Il cantore
Il Greco carezza otto nere corde
di un chitarrone barocco e deforme
che vibrano negli incerti orbitali
elettriche onde di probabilità
o impalpabili eteree particelle
di cui è ignoto il luogo o la pigra corsa
Due fermioni identici non vivono
simultanei e vaghi stati quantici,
ma il loro canto pervade frattale
l’universo pieno di oscura energia
e materia, dove muoiono le pulsar
Nelle sue note, di parole antiche
sopravvivono echi del loro canto
sfumando in volti e in usurate storie
voci di morti e paure di vivere
Desiderio e dolore si abbracciano
così sussurra vuota l’illusione
Parte III L’Ultimo Uomo
Sotto la montagna, con cinque dita
di granito sanguinante e blasfemo
che si aggrappa al cielo di corvi e blatte
un uomo intreccia ruvidi canestri.
Non usa teneri e leggiadri giunchi,
ma aspre ginestre di feroce orgoglio
dai petali strappati, odore aspro
di cadaveri brulli e decomposti
Rompe il silenzio brontolando nomi
versetti dell’apocalisse, rami
spezzati di mandorli mai fioriti
Nell’ultimo sbadiglio, attende albe
e la fine dei tempi che verranno
Desiderio e dolore si abbracciano
così sussurra vuota l’illusione
Parte IV Il Giudice Bambino
Nella scatola d’acciaio un gatto nero
attende, prigioniero di speranza
incerto se essere vivo o defunto.
Solo osservandolo, capirà il fato.
Ogni giorno accade alle nostre vite
che altrui sogni modellano, incerti
spaccando la creta ruvida e avara
che circonda ossa, rughe, stille e volti
Tal vivente sei tu, grida il sapiente
sbrecciando il muro di ciò che ci illude
Desiderio e dolore si abbracciano
così sussurra vuota l’illusione
Parte V Epilogo
Trema la ruota del dharma, invano
l’albero del mondo sussulta e trema
nel canto oscuro degli dei abissali
Nel parco delle gazzelle si rompe
la spirale di ciò che arido muore
Chi ha vinto illusione, è vittorioso
November 3, 2014
Ringraziamenti per Radar
Sabato, con la conferenza finale e il reading dei Poeti d’Azione al Centro Commerciale Euroma 2 si è conclusa l’edizione 2014 di Radar, esploratori dell’Immaginario.
Definirlo Salone del libro per ragazzi, è limitativo; Radar è un’insieme di eventi i, che hanno accettato una sfida difficile: tornare a rendere popolare la Cultura.
Sino al Secondo dopoguerra, nonostante l’analfabetismo, la dicotomia tra Alta e Bassa Cultura non si poneva. Romanzi che pi sono diventati classici, uscivano a puntate su riviste e giornali.
Lacerba, che nell’immaginario collettivo sembra la cosa più aliena dall’Uomo comune, era arrivata a vendere quasi 40.’000 copie e la maggior parte degli abbonati erano operai.
La Storia di Elsa Morante, che oggi pare un mattone illeggibile, vendette oltre 180.000 copie e la scrittricce non si vergognava a definirlo un romanzo storico e popolare. La rottura avvenne con le neoavanguardie degli anni Sessanta, in cui lo scrittore rinunciò al suo ruolo di cantastorie, per atteggiarsi a profeta, esoterico conoscitore dei segreti del Mondo
Risultato, divenne noioso, mentre l’uomo della strada soddisfò in altro modo la sua fame di immaginario. E scrivere di avventure, divenne un’onta.
Con Radar si è voluto mutare il paradigma: rendere la narrativa una compagna di viaggio della Vita, portandola in spazi e non luoghi di solito evitati.
Per cui, un grazie a tutti coloro che hanno creduto nell’Idea: da Pier Luigi Manieri, che l’ha concepita e messo lacrime e sangue per realizzarla, a Dario Tonani, a Francesco Troccoli, a Dario Lunghini, ai Poison Garden, Roberto Arduini e ad Alessandro D’Agostini…
Ognuno di loro, ha dato un contributo unico e prezioso….
October 28, 2014
Saluti da AmArte
AmArte si è conclusa: sono stati due giorni intensi, vivi, faticosi, ma ricchi di soddisfazione.
Sono stato il primo a essere sorpreso dal successo di pubblico, il migliore premio per chi ha collaborato a questo progetto e la risposta migliore a tutti coloro che, per piccoli egoismi e misere beghe di bottega, hanno provato a metterci i bastoni tra le ruote.
Fare cultura in periferia è doveroso e possibile: a differenza di quanto predicano demagoghi, che si riempiono la bocca di tolleranza zero e repressione, ma in verità sono i migliori alleati del degrado, perché da questo ottengono voti e legittimità, la cultura non è alternativa alle legalità, ma la sua migliore alleata.
Perchè permette il recupero dello spazio urbano, ridando centralità al Cittadino.
La pittura, il teatro, la poesia e la musica non sono un di più, da tollerare e rinchiudere in un ghetto, ma linguaggi universali, che, se ben comunicati, riescono ancora a parlare all’Uomo comune coinvolgendolo.
Portare la cultura nella sala consiliare, il fulcro e la prima frontiera della democrazia, non è stato un capriccio, ma il voler riportare la Cultura al centro della Politica e delle Istituzioni
A chi ha storto il naso, vorrei ricordare come la nostra Costituzione, all’Articolo 9, così dice
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Negare gli spazi alla Cultura è violare i principi che a chiacchiare si dice di voler difendere e rappresentare.
Infine, se permettete, una tirata d’orecchie all’assessore Marinelli, che, nonostante i numerosi inviti, ha snobbato la manifestazione: suvvia, oltre le mure aureliane non vi è il deserto o i terribili Umpa Lumpa cannibali, ma tante realtà visionarie e creative.
Cerchi di dare importanza anche a loro, qualche volta… Detto questo, ci rivediamo alla prossima edizione
October 24, 2014
Qualche volta capita di finire sui giornali
Intanto ad AmArte…
Dopo Radar, per chi volesse farsi una passeggiata sino a Via Perlasca, vi sono due interessanti eventi anche ad AmArte.
Il primo, la sera del 25, è il convegno su Arte e Cultura in Periferia, in cui si sviscereranno problemi e cosa ahimè più complicata, si proporranno soluzione per rendere gli spazi urbani qualcosa di più e di diverso da dormitori e luoghi di emarginazione.
La sera del 26, invece, a degna conclusione della due giorni, lo spettacolo teatrale “E’ Solo un Gioco” curato da ClamaCults Produzioni
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