Alessio Brugnoli's Blog, page 242
February 13, 2016
Li er barista e le Onde Gravitazionali
La cosa comica dell’essere scrittore di fantascienza è che, dinanzi a notizie eclatanti su La Vita, l’Universo e tutto quanto, chiunque vi conosca, da Li er barista al Venerabile collega d’ufficio, dal vicino di casa che fatica a salutarti tutte le mattine al giornalista iellato del quotidiano locale, pretenda un parere o una spiegazione sul tema.
E se si cerca di svicolare con boh, come giusto che sia, tutti, invece di accettarlo come un’onesta ammissione d’ignoranza, ti guardano male, come se non volessi condividere con loro qualche arcano segreto…
Questa settimana è stato il turno delle onde gravitazionali: stanco di essere perseguitato dall’argomento, butto giù due righe, su quel poco che ho orecchiato e capito… Così al prossimo che mi interroga sul tema, posso rispondere con uno scandalizzato…
“Ma come non lo hai letto sul blog ?”
Per prima cosa, che diavolo è quest’onda gravitazionale ? Per conosce un pochino di Teoria della Relatività,è una deformazione della curvatura dello spaziotempo che si propaga come un’onda.
L’equazione di campo di Einstein, infatti, ammette una soluzione ondulatoria per il tensore metrico, così come avviene per il campo elettromagnetico e le equazioni di Maxwell, che tanto mi hanno perseguitato nei giorni dell’Univerisità (sì, ho odiato l’esame di Campi Elettromagnetici, quasi quanto Teoria dei Circuiti)
In questo caso l’equazione delle onde è tensoriale (10 componenti… roba che ricordo di aver studiato a Geometria e Algebra, ma su due piedi avrei difficoltà a descrivere… Comunque la relativa matematica è il frutto del genio del buon Gregorio Ricci Curbastro, tra le tante cose anche vicino di casa di Francesco Baracca ), poiché deve tener conto di tutte le possibili dipendenze della distanza dalle coordinate. La velocità delle onde gravitazionali, in accordo con la relatività ristretta, è la velocità della luce c.
Fronti d’onda di particolare intensità possono essere generati da fenomeni cosmici in cui enormi masse variano la loro distribuzione in modo repentino; propri questi fenomeni sono le pistole fumanti che permettono di identificarle.
Al passaggio di un’onda gravitazionale, la curvatura dello spaziotempo si contrae ed espande ritmicamente come un cuore. Questo fenomeno è difficile da rivelare perché essendo noi osservatori nello spazio tempo e non fuori da esso, ci contraiamo e espandiamo a nostra volta.
Ora, che le onde gravitazionali, ipotizzate dal buon zio Albert, esistessero, ne eravamo ragionevolmente certi dagli anni Settanta, dall’osservazione di un sistema di stelle binario di stelle di neutroni ruotanti l’una attorno all’altra e destinate a fondersi in seguito all’aumento della loro velocità angolare, scoperta che portò al Nobel per la Fisica Russel Hulse e Joseph Taylor.
Però, un conto è osservare le conseguenze indirette di un fenomeno, un conto è percepito direttamente, grazie all’evoluzione tecnologica e all’impegno di tanti astrofisici che hanno individuato la catastrofe astronomica giusta…
Catastrofe astronomica che ha permesso di verificare nel concreto anche numerose ipotesi sui buchi neri rotanti e supermassivi, su cui discutevo questa estate, tra un drink e l’altro, nel compianto Soppalco Brasileiro di San Lorenzo.
Vabbè, tutto fico, ma oltre ad aver dato ragione al buon vecchio Einstein, come direbbe Li er barista,
“Co’ ‘ste onde gravitazionali che ce famo ?”
Di fatto, le onde gravitazionali contengono informazioni sull’evento o sull’oggetto che le ha emesse: diventa così possibile, a medio termine, entro i prossimi venti o trent’anni, costruire un nuova mappa del cielo, basata su loro, che contenga informazioni complementari a quelle attuali, basate sulla luce visibile, o sui raggi X, o sull’infrarosso…
Poi, identificando le onde gravitazionali emesse nel Big Bang, magari potremo avere delle idee più precise sulla Teoria dell’Inflazione, che tenta di spiegare perchè l’Universo è omogeneo su grande scala.
Infine, potrebbero dare indicazioni su come fondere in un’unica teoria Relatività Generale e Meccanica Quantistica, entrambe vere nel loro settore, ma che fanno a pugni se messe assieme: magari, cambiando punto di vista sulla Gravità, considerata non più forza fondamentale, ma conseguenza del campo di Higgs.
February 4, 2016
CarnevalEsquilino
“Il Carnevale di Roma non è precisamente una festa che si offre al popolo, ma una festa che il popolo offre a se stesso”
E’ una frase di Goethe, che sintetizza cosa fosse il Carnevale a Roma: un’immensa rappresentazione teatrale, in equilibrio instabile tra l’immagine che il Potere voleva dare di sé e il rovesciamento dei valori evocato dalla plebe.
La città diveniva un’immensa quinta teatrale, luogo in cui si fondevano tutte le arti, in sintesi quanto spettacolari, quanto transitorie.
Il Carnevale a Roma cominciava ufficiosamente dal giorno di Sant’Antonio Abate, ma il culmine della festa iniziava undici giorni prima del mercoledì delle Ceneri, al suono della Patarina, la stessa campana che suonava alla morte del Papa.
Ma per le paturnie ecclesiastiche, da venerdì alla domenica, bisognava pregare, invece che bisbocciare: per cui, la durata effettiva era di otto giorni.
I festeggiamenti iniziavano nel Campidoglio, sino a Clemente IX, con un corteo di ebrei agghindati in modo grottesco, che accompagnava la cavalcata dei Senatore dei Conservatori (di certo vi partecipò anche il Marchese di Palombara); papa Clemente, invece, oltre a caricare sul ghetto una tassa di 300 scudi per pagare parte dei festeggiamenti, ordinò che il rabbino si recasse a rendere omaggio ai conservatori e al senatore, il quale lo avrebbe ringraziato simulando una pedata sul sedere.
Così cominciava la festa, in cui era lecito travestirsi in qualsiasi modo, tranne che da religiosi: il primo spettacolo era quello dei carri allegorici, pagati dalle famiglie aristocratiche romane, che spesso ammiccavano all’esotico e all’inusuale.
Per esempio, nel 1711, la famiglia Ruspoli pagò uno ispirato all’impero Ottomano, con il principe vestito da sultano e tutta la servitù costretta a vestirsi alle meno peggio da giannizzeri o nel 1735, gli allievi dell’Accademia di Francia organizzarono la loro versione del Capodanno Cinese, oppure nel 1765 i Barberini presentarono un carro dedicato al pantheon indù.
Alle sfilate del carri, seguiva la corsa dei barberi, i cavalli senza fantino che percorrevano tutta via del Corso.
La partenza (mossa) era quasi sotto l’obelisco di Piazza del Popolo: accanto vi era il palco per la giuria e alcune tribune da dove i potenti della città potevano vedere da vicino il movimentato inizio della gara; i meno fortunati si affollavano sulle pendici del Pincio. I cavalli, di proprietà di ricchi aristocratici, scalciano e si impennavano, trattenuti a fatica dai “barbareschi” (gli stallieri) perché aizzati e infastiditi da spilli inseriti in palle di pece che venivano attaccate sulla loro groppa. Quando si udivano gli spari a salve, tutti sapevano che la Corsa era cominciata. I cavalli venivano lanciati lungo via del Corso, verso piazza Venezia, dove un grosso drappo sospeso in aria segnava la fine del percorso. Li avveniva l’arrivo e la “cattura” dei cavalli scossi, intimoriti e per nulla propensi a fermarsi di fronte ai barbareschi.
Infine, vi era la festa dei moccoletti, ma lascio la parola al buon Dickens, che la visse di persona
«Mentre al calar delle tenebre, festoni e maschere e ogni cosa va a poco a poco sbiadendo e perdendosi in una messa oscurità che tutto involge in un colore grigio cupo, ad un tratto, qua e là, alle finestre, sulle altane, sui balconi, nelle carrozze e tra la folla a piedi, cominciano a risplendere dei lumi; prima radi, poi più spessi, crescono, s’estendono, invadono tutto il Corso che si trasforma quant’è lungo in un gran tagliare e in una vampa di fuoco.
Allora tutte le persone presenti non hanno più’ che un solo pensiero, che un solo scopo costante, quello di spegnere la candela degli altri e conservare accesa la propria; e uomini, donne, ragazzi, signori e signore, principi e contadini, cittadini e forastieri, gridano e strillano e urlano senso posa il motto di scherno a chi s’è lasciato spegnere il lume:
«Senza moccolo! Senza moccolo! », tantoché ‘ben tosto non si sente più’ altro che un immenso coro di queste due parole, misto a scrosci di risa. Lo spettacolo a questo punto oltrepassa ogni immaginazione. Le carrozze s’avanzano lentamente colle persone che hanno dentro, ritte in piedi sui cuscini e sul serpe, col traccio disteso e alzato per tenere il lumicino fuori di pericolo; alcuni lo portano dentro un cartoccio; altri tiene un mazzo di condoline strette insieme e tutte accese, senza alcuna difesa; altri portano delle torce abbaglianti, ed altri un candelino che appena sta acceso.
Persone a piedi, ficcandosi tra un veicolo e l’altro e seguitandoli, aspettano e colgono il destro per fare un salto e soffiare sur un certo lumicino o dargli su un colpo; altri s’arrampicano sulle carrozze, e chinandosi verso l’interno, lo strappano dalle mani di qualcuno a viva forza; altri, inseguendo qualche sviato torno torno alla di lui carrozza, prima che salga a riaccendere la candela spenta della campagna, gli spengono la sua ch’egli è sceso a chiedere in favore o a rubare a qualcuno; altri, col cappello levato dinanzi allo sportello d’una carrozza, si fanno a pregare con gran rispetto ed umilmente una gentile signora, perché voglia porgere il suo lume per accendere il sigaro, e mentr’essa sta esitando dubbiosa di porgerlo o no, le soffian sul candelino custodito e difeso con tanta tenerezza dalla sua manina; gente alle finestre tentano con un uncino attaccato ad una cordicella di pescare qualche candela; o con fazzoletti legati all’estremità d’una pertica le spengono destramente nella mano stessa del portatore nel momento stesso del suo trionfo: uno, appiattato dietro una cantonata, aspetta il momento giusto per balzar fuori all’improvviso addosso alle superbe torcie, con uno smisurato spegnitoio che pare un’alabarda; altri circondano una carrozza e vi si aggrappano; altri tirano a furia aranci e mazzolini di fiori contro una ostinata lanternina, o fanno un regolare bombardamento contro una piramide d’uomini con uno su in cima che porta sulla testa un lumicino sfidando tutti.
« Senza moccolo! Senza moccolo! ».
Carrozze piene di leggiadre donne, ritte in piedi burlando i lumi spenti, e battendo le mani quando passano loro accanto e gridando: « Senza colo moc! senza moccolo! ». I balconi più vicini alla strada gremiti di bei visini di donne in gaie acconciature, che combattono con quelli che vogliono salire, respingendo chi s’aggrappa, piegandosi in giù, sporgendosi in fuori, ritraendosi indietro: personcine e mani gentili e delicate, e volti leggiadri, e uno scintillio di lumi e un ondeggiare e uno sventolare di abiti. «Senza moccolo! Senza moccolo!» quando nel colmo dell’entusiasmo e in mezzo al delirio del sollazzo, scocca l’avemaria da tutte le chiese e il carnevale muore tutto in un colpo, come si spegne un cero con un soffio!».
Di tutto ciò non sono rimasti che vaghi ricordi, che all’Esquilino stiamo cercando di recuperare, con riflessioni sulla salute, solidarietà, concerti, lezioni di canto corale e danza popolare, retake, feste per bambini ed eventi che cercano di creare ponti tra culture
January 28, 2016
Hic sunt leones. Alcuni esempi di presenza romana nell’Africa nera
Molto, molto interessante
La presenza romana nei territori oltre il limes, anche in quelli apparentemente più remoti e distanti è stata più ampia e diffusa di quanto spesso si pensi, non solo il limes non fu mai una frontiera nel senso moderno del termine ma piuttosto una fascia permeabile a contatti in entrambi i sensi ma tracce di una frequentazione romana sono ritrovabili anche in territori estremamente lontani da quella fascia. Qui verranno ricordati due esempi – fra i molti disponibili – di penetrazione romana nei territori interni dell’Africa con l’esclusione della Nubia che per i suoi millenari rapporti con l’Egitto ha sempre rappresentato un ambito particolare per i contatti fra mondo mediterraneo e Africa nera.
La spedizione di Giulio Materno nell’Agisymba
Durante il regno di Domiziano un mercante di Leptis Magna Giulio Materno accompagno il Re dei Garamanti – in quel momento evidentemente in buoni rapporti con Roma – in una…
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January 25, 2016
Platone e Facebook
«Dopo tutto questo» dissi, «paragona la nostra natura, in rapporto all’educazione e alla mancanza di educazione, a una condizione di questo tipo. Immagina dunque degli uomini in una dimora sotterranea a forma di caverna, con un’entrata spalancata alla luce e larga quanto l’intera caverna; qui stanno sin da bambini, con le gambe e il collo incatenati così da dover restare fermi e da poter guardare solo in avanti, giacché la catena impedisce loro di girare la testa; fa loro luce un fuoco acceso alle loro spalle, in alto e lontano; tra il fuoco e i prigionieri passa in alto una strada, e immagina che lungo di essa sia stato costruito un muretto, simile ai parapetti che i burattinai pongono davanti agli uomini che manovrano le marionette mostrandole, sopra di essi, al pubblico.»
«Vedo» disse.
«Vedi allora che dietro questo muretto degli uomini portano, facendoli sporgere dal muro stesso, oggetti d’ogni genere e statuette di uomini e di altri animali di pietra, di legno, foggiate nei modi più vari; com’è naturale alcuni dei portatori parlano, altri tacciono.»
«Strana immagine descrivi» disse, «e strani prigionieri.»
«Simili a noi» dissi io. «Pensi innanzitutto che essi abbiano visto, di se stessi e dei loro compagni, qualcos’altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?»
«E come potrebbero» disse, «se sono costretti per tutta la vita a tenere la testa immobile?»
«E lo stesso non accadrà per gli oggetti che vengono fatti sfilare?»
«Sì.»
«Se dunque fossero in grado di discutere fra loro, non pensi che essi chiamerebbero oggetti reali le ombre che vedono?»
«Necessariamente.»
«E se la prigione avesse un’eco dalla parete verso cui sono rivolti, ogni volta che uno dei portatori parlasse, credi penserebbero che a parlare sia qualcos’altro se non l’ombra che passa?»
«Per Zeus, io no di certo» disse.
«Simili a noi» dissi io. «Pensi innanzitutto che essi abbiano visto, di se stessi e dei loro compagni, qualcos’altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?»
«E come potrebbero» disse, «se sono costretti per tutta la vita a tenere la testa immobile?»
«E lo stesso non accadrà per gli oggetti che vengono fatti sfilare?»
«Sì.»
«Se dunque fossero in grado di discutere fra loro, non pensi che essi chiamerebbero oggetti reali le ombre che vedono?»
«Necessariamente.»
«E se la prigione avesse un’eco dalla parete verso cui sono rivolti, ogni volta che uno dei portatori parlasse, credi penserebbero che a parlare sia qualcos’altro se non l’ombra che passa?»
«Per Zeus, io no di certo» disse.
E’ un brano del mito della caverna del buon vecchio Platone, testo che all’epoca delle Superiori neppure mi colpì tanto, forse perchè il mio prof di filosofia non era, oggettivamente, un fulmine di guerra.
Dopo anni, però mi sono ritrovato a ripensarci, per un motivo assai banale: una discussione su uno dei tanti gruppi di facebook dedicati al rione Esquilino. A certo punto, stanco della sequela di pregiudizi spacciati per verità assolute, ho fatto notare come:
Il gruppo, per quanto numeroso, non rappresentava l’Esquilino, ma una percentuale trascurabili, che non poteva neppure definirsi un campione statistico significativo;
Che mancando esperti in precisi campi, legali, sociali e culturali, tutte le nostre discussioni avevano il valore di chiacchiere da bar, piene di opinioni fallibili e di sentito dire;
Che il collezionare like in un’opinione non ne aumentava la verità;
Che se una cosa non sia nota ad alcuni componenti del gruppo, non è detto che non esista.
Idee che io reputo di semplice buonsenso, neppure tanto profonde, a dire il vero: eppure hanno scatenato un putiferio, facendomi dello sgarbato, del rancoroso et similia… E così mi sono reso conto come la teoria di Platone, in un modo che lui non avrebbe mai sognato, sia diventata terribilmente attuale.
Persone normali, di media cultura, hanno rinunciato a vedere la Realtà per ciò che, per rifugiarsi una sua rappresentazione virtuale, tanto semplificata, quanto consolatoria. Guardano ombre, i cui contorni essi stessi manipolano in una sorta di neolingua, che demonizza chi tenta di mostrarne l’inconsistenza.
E tanto più si fa riferimento a dati concreti, numeri, articoli di legge, formule matematiche, quanto più si demonizzati. Di fatto, è la trama, banalizzata, di tanti racconti cyberpunk, genere che ha perso forza da quando la sua narrazione si è trasformata in cronaca.
E mi rende sempre più convinto della bontà dell’approccio transumanista che non mira a sostituire la realtà con un suo simulacro, ma arricchirla, pervadendola d’informazione
January 22, 2016
Massimiliano Savelli Palombara
Mercoledì sera ho partecipato a una conferenza su Massimiliano Savelli, marchese di Palombara, famoso o famigerato, come committente della Porta Magica di Piazza Vittorio.
Personaggio poco conosciuto, sottovalutato, spesso ridotto a una macchietta, che invece con la sua vita e con le sue opere testimonia le contraddizioni del suo tempo.
Personaggio affascinante che sarà uno dei personaggi del mio romanzo dedicato all’Impero Connettivo
Massimiliano apparteneva a un ramo cadetto della famiglia Savelli, tra le più nobili di Roma, i proprietari del Palazzo costruito dal Peruzzi sul Teatro Marcello, e che aveva avuto come antenati forse 5 papa (2 certi e 3 millantati) e numerosi capitani di ventura e che svolgeva il ruolo di Maresciallo della Chiesa, ossia custodi delle chiavi del Conclave.
Nacque a a Roma il 14 dicembre 1614 da Oddo V marchese di Pietraforte e da Laura Ceuli. Il padre, che comprò dagli Sforza Cesarini il terreno che poi diventerà Villa Palombara, forse alchimista, era uno degli esponenti dell’Accademia degli Umoristi, l’antenata dell’Arcadia; poeta, all’epoca ritenuto valente, era grande amico sia di Giovanni Battista Marino, sia di Pietro della Valle.
Il che può essere indicativo dell’ambiente culturale in cui crebbe Massimiliano: però, le prime testimonianze della sua vita hanno tutt’altro a che vedere con poesia ed alchimia.
Nel 1646, si trova coinvolto in uno scandalo, assieme all’ambasciatore di Francia: un loro protetto, attore e impresario di commedie dell’arte, come Caravaggio, pugnalò un protettore di prostitute nei pressi di Palazzo Fiano, tra i fornici dell’arco di Portogallo
Massimiliano lo aiutò a fuggire: per il fatto che il protettore non ci rimise le penne, la giustizia pontifica chiuse un occhio.
Nel 1648, il marchese fu coinvolto nel tentativo di Enrico II di Lorena di crearsi un regno a Napoli, fungendo di fatto da agente segreto per il Duca di Guisa: falsificò gli ordini del Mazzarino, in modo che le truppe francesi di stanza in Abruzzo muovessero verso Napoli, per liberarla dall’assedio di Don Govanni d’Austria.
Però i francesi se ne accorsero e lo cacciarono in malo modo,Tornando a Roma, fu catturato nella località di Borghetto dal brigante Giulio Pezzola, capitano degli spagnoli, che lo tenne «in cattivissima prigione e lo fece maltrattare» ; poi, ottenuto il riscatto, lo trasferì nel Castello dell’Aquila, da dove, quasi incredibilmente, riuscì a fuggire chi dce travestito da donna, di chi da prete, chi da bravo.
Tornato a Roma, nel 1651, gli venne il ghiribizzo di farsi nominare Conservatore, brigando nel complesso meccanismo di votazioni e sorteggio che serviva per ottenere la nomina: in pratica gestiva la complessa burocrazia capitolina e i feudi del popolo romano, presiedea il tribunale cittadino, sia amministrativo, sia civile, sia penale e provvedeva manutenzione delle mura dei ponti e delle strade della città e sulla conservazione dei monumenti pubblici, reperendone i relativi fondi.
Finito il suo mandato, nel 1654 partecipò al secondo tentativo di Enrico II di conquistare il regno di Napoli: Massimiliano arruolò un piccolo esercito, con cui si dedicò al saccheggio degli Abruzzi. E di fatto fuè l’unico a guadagnarci nell’impresa: pur di toglierselo dalle scatole, gli spagnoli lo coprirono d’oro
Nel 1655 entrò in contatto con Cristina di Svezia, per il suo solito motivo… Anche lei brigava con il Mazzarino per diventera regina di Napoli… Con quell’incontrò, la vita di Massimiliano cambiò totalmente, trasformandosi da avventuriero degno dei romanzi di Dumas a raffinato intellettuale.
Divenne amico e protettore di musicisti, come Scarlatti e Corelli; poeta, astronomo, protettore di Cassini, l’astronomo a cui è stata dedicata la sonda, che compì numerose osservazioni a Villa Palombara, matematico, amico di Stefano degli Angeli e praticante del metodo degli infinitesimi, ingegnere forse, alchimista, grazie all’incontro con quell’Emmett Brown del Seicente che era Athanasius Kircher
E come ogni intellettuale romano dell’epoca, fu costretto alla dissimulazione onesta: onorare la verità ufficiale, imposta dalla Chiesa e dai Gesuiti, per vivere in tranquillità,e in privato seguire le proprie convinzioni, per creare la propria oasi di libertà
Questo non vale solo per la Scienza, ma anche per l’Alchimia che era la mania della Roma bene dell’epoca: alchimia che secondo i gesuiti, doveva testimoniare la potenza creatrice di Dio.
Massimiliano Palombara, invece, era un rosacrociano, altro termine spesso frainteso: il loro messaggio, spesso frainteso, depurato di tutte le connotazioni mistiche ereditate dal 1500, era tanto semplice quanto pericoloso.
Le istituzioni politiche e religiose europee avevano fallito, visto che ci scannava senza ritegno: per ricostruire la pace e l’armonia queste dovevano essere messe da parte e sostituite da un governo di saggi ed eruditi, una sorta di tecnocrazia.
Inoltre la Scienza e l’Alchimia non dovevano essere finalizzati a un’astratta ricerca del Vero, ma a migliorare concretamente la vita quotidiana.
Tesi assai pericolose, nella Roma papalina, per cui Massimiliano Palombara, nella sua opera poetica, la Bugia, doveva affermare di aver sentito solo parlare dei Rosacroce, senza condividerne le idee politiche e religiose.
Invece, nella pratica, poteva decorare la cosiddetta Porta Alchemica con i loro simboli, creando, come bene spiega bene il professore Lucarini nel suo saggio, una sintesi barocca, basata sul dialogo tra immagini e giochi di parole, della conoscenza metallurgica dell’epoca e con il motto SI SEDES NON IS
Se siedi (se non ti rimetti in discussione sperimentando) non vai (procedi nella conoscenza)
l’analogo seicentesco del Sapere Aude di Kant…
January 13, 2016
Principesse a Castello
Sabato 23 gennaio alle ore 17, inaugurazione, presso le sale espositive “Alla corte degli alfieri” all’interno del prestigioso Castello di Magliano Alfieri,della mostra “Principesse a castello” personale dell’ artista Michela Ezekiela Riba , patrocinata dal Club Unesco di Alba e dal Comune di Magliano Alfieri.
Volti di giovani “Principesse” si confrontano con la vita a castello, muse ispiratrici si fondono con l atmosfera principesca tornando indietro, come un viaggio nel tempo per fondersi nella bellezza femminile del contemporaneo. Donne moderne alle prese con la volontà di esprimere quell’ analisi intorno alla propria sensibilità. L’ artista affida alle proprie tele l’essenza di un discorso in cui la raffigurazione si muove, nella pittura ,dall’ introspezione alla poetica dell’immagine fissata nella memoria come in un fotogramma. Misteriosa e simbolica ,la sua donna appartiene a questo nostro tempo quanto mai complesso.
Ingresso libero
La mostra durerà fino al 28 maggio e sarà possibile visitare il castello oltre che il magnifico panorama langarolo, inoltre lo Chef Stefano Paganini per l’ occasione propone originali menù
Per info e prenotazioni chiamare Giada Paganini al numero 3338348715
Giorno di chiusura martedì
January 11, 2016
Snoke…
Tra i miei amici appassionati di Star Wars si è diffuso un nuovo hobby: scommettere sull’identità di Lord Snoke, formulando le ipotesi più disparate, da Darth Plagueis redivivo a Ben Solo del futuro, prigioniero di un loop temporale.
In un modo o nell’altro, i loro ragionamenti non mi convincono. Continuo a pensare che Snoke sia un personaggio autonomo… Ma quale è la sua biografia, da dove salta fuori, come ha fondato il Primo Ordine ?
Sappiamo poche cose di lui: che è addestrato al lato oscuro della forza, che in qualche modo ha avuto rapporti con Anakin e non certo conflittuali, visto che asseconda le manie feticiste dei Cavalieri di Ren e che però non si riconosce nei dettami dell’ordine Sith.
Inoltre è gravemente ferito, con il volto sfregiato forse da un colpo di striscio di spada laser.
Per gioco, da scrittore di sci.fi, provo a buttare giù qualche scenario narrativo, giocando su una variabile ignota, che però mio avviso è fondamentale: l’età.
Snoke ha 50 anni: Ipotesi secondo me, per motivi cronologici, meno probabile. Significa che ai tempi di Endor ha circa 20 e quindi è poco più giovane di Luke. In questo caso, potrebbe essere proprio lui l’allievo ribelle, convertito al Lato Oscuro, che seduce successivamente Ben Solo e proponendosi come erede spirituale di Darth Vader, viene conosciuto come leader dalle forze disperse dell’impero
Snoke ha 60 anni: In tale caso, è nato e cresciuto durante l’Impero…. Allora chi lo ha addestrato ? Palpatine, in una sorta di piano B nel caso l’opzione Skywalker si fosse rivelata fallimentare (idea da non escludere a priori, vista l’abitudine di Darth Sidious di moltiplicare e mettere contro gli apprendisti, ma che non spiegherebbe il perchè Snoke non dichiari la sua eredità Sith)
Darth Vader, per avere un allievo con cui poi tradire Palpatine, una sorta di Galen Marek canonico ? E la sua contrapposizione con Luke non è che una lotta di “successione” ?
Oppure una terza entità, ai bordi della Galassia, lontano dagli occhi dei Sith ? In tale caso, però, che gli importerebbe di volere ricostruire l’Impero ?
Snoke ha 70/80 anni: quasi coetaneo di Anakin, può essere Darth Tyranus o Darth Maul o un allievo di qualche altre fazione.
In ogni caso, durante l’Impero, deve avere occultato il suo ruolo di utilizzatore della Forza e al contempo, fatto carriera nella burocrazia militare imperiale: in tal modo, potrebbe aver avuto una certa credibilità come bandiera per i reduci dell’Impero
Snoke ha più di 90 anni: Più vecchio di Anakin, il suo addestramento è avvenuto durante la Repubblica e il suo occultamento, dato che non viene percepito da Yoda e da Palpatine, deve avvenire in corrispondenza dell’inizio della guerra dei cloni.
In qualche modo, deve aver collaborato al colpo di stato di Palpatine e quindi avere un ruolo importante nell’Impero, di ammiraglio o di Moff. In ogni caso, deve aver manifestato la sua capacità di manipolare la forza dopo la battaglia di Jakku
January 6, 2016
Kolosimo, l’arcitaliano
Nel gruppo di fantascienza che bazzico su Facebook da un paio di giorni ci sa scannando su Kolosimo. Premesso che a dodici anni fui sottoposto a una full immersion di lettura dei suoi libri, grazie a un amico di mio padre, grande sostenitore delle pseudoscienze e che la mia narrativa, senza di lui, sarebbe alquanto diversa, dato che molte sue suggestioni sono apparse sia in Navi Grigie, sia in Lithica, rimango però sempre stupito del fatto come nonostante gli anni, la sua figura continui a suscitare controversie.
Forse perchè Pier Domenico Colosimo, così si chiamava veramente, è un perfetto specchio dell’intellettuale italiano del Novecento, le cui contraddizioni si riflettono anche nel nostro Presente
Dopo un breve flirt con il futurismo, Kolosimo entrò in contatto con Evola e con alcuni degli esponenti di quello che era stato il Gruppo di UR, da cui trasse l’amore per l’archeologia misteriosa, argomento che andava già per la maggiore nel Ventennio, sia di alcune tesi teosofiche, come quella dei Superiori Sconosciuti e del Re del Mondo di Agharti che ogni tanto fanno capolino nei suoi libri.
Nel 1942, cosa su cui una certa apologetica non usa all’onestà intellettuale glissa poco elegantemente, cominciò a collaborare con Testa di Ponte, il periodico del Gruppo Universitario Fascista di Rimini, con articoli sulle teorie razziali e sui kamikaze giapponesi che non sarebbero sfigurate in qualche comizio di Goebbels.
Queste posizioni intellettuali lo portano ad avvicinarsi sempre di più al nazismo, tanto da arruolarsi come carrista nell’esercito tedesco: come tanti intellettuali della sua epoca, Kolosimo passò dal fascismo al comunismo.
Se per molti, questo salto della quaglia è stato un modo come un altro per continuare a guadagnarsi la pagnotta, per Kolosimo, vista la drammaticità degli avvenimenti in cui è coinvolto, disertà dalla Wehrmacti, per diventare partigiano in Boemia, rischiando più volte la pella, senza dubbio la conversione fu sincero.
Dopo la guerra, affiancò la carriera di giornalista a quella di scrittore di fantascienza e anche per l’influenza di quanto avveniva nell’Unione Sovietica, in cui si cercava di rimpolare il materialismo storico con ipotesi pseudoscientifiche, per spiegare la complessità della civiltà umana, riprese i suoi interessi giovanili, scrivendo il primo dei suoi libri, Il Pianeta Sconosciuto.
Libri che ebbero successo proprio per i limiti della cultura italiana, che sono presenti anche oggi: un’infarinatura di massima della cultura umanistica, una crassa ignoranza riguardo alle questioni scientifiche e matematiche, la difficoltà di una società desacralizzata ad accettare il caos del Reale, per cui ha necessitù di superstizioni consolatorie, la sostanziale sfiducia nelle capacità creative umane che la porte sempre ad ipotizzare l’esistenza di un complotto o di un deus ex machina.
Limiti che sono presenti anche oggi e che continuano a rendere attuale Kolosimo..
January 4, 2016
Il Fattore Invisibile
Il primo dell’anno, dopo essermi ripreso dal concerto del Politeama, che in illo tepore ispirò un capitolo del mio Navi Grigie, e con con mia suocera impegnata nell’apparecchiare la tavola, emula delle architettura provvisorie del Barocco Romano, mi sono dedicato alla lettura di un vecchio Urania, Il Fattore Invisibile di Connie Willis.
Libro spassoso, che consiglio a tutti, ma che mi è difficile definire fantascienza. Ora, cosa di preciso la sci-fi, è arduo dirsi; qualsiasi discussione sul tema, fa impallidire quelle tra nominalisti e realisti nella Scolastica o quelle dei teologi bizantini.
Nel caso specifico,mi limito a una definzione vaga e incompleta, che però è utile ai miei scopi.
“La fantascienza è la descrizione di una realtà alternativa, basata su presupposti razionali, siano questi scientifici o storici (così ci infilo dentro pure l’Ucronia)”.
Il Fattore Invisibile è certamente basato su presupposti razionali, il problema è non descrive una realtà altra, ma satireggia con abilità ed eleganza l’ambiente scientifico che, in America e in Italia, nel 1996 aveva tutte le paturnie descritte nel romanzo.
E che queste nei venti anni successivi, si siano diffuse in altri ambiti, società di consulenza, aziende IT, per finire alle PMI italiane, dimostra quanto sia fondata l’idea base del romanzo… Personalmente negli stessi anni ho conosciuto un paio di persone che si dedicavano a ricerche analoghe a quelle della protagonista e io stesso mi sono occupato dell’applicazione dei metodi epidemologici alla diffusione dei memi.
Quindi, se non è fantascienza, come diavolo il libro dell Willis è finito su Urania ? Forse all’epoca, nell’ambito editoriale, si aveva poca conoscenza di quei temi… E qui torno a un argomento che mi ha sempre colpito, nella Cultura Italiana.
L’asimmetria di conoscenze tra chi ha formazione tecnico scientifica e chi ha formazione umanistica, trascurando il caso particolare dello scrittore di fantascienza.
Spesso, nel mio lavoro, mi trovo accanto tecnici e ricercatori appassionati di letteratura, musica e arte, anche contemporanee: cambio cappello, mi confronto con i miei amici pittori e artisti e spesso mi cadono le braccia sul loro rapporto conflittuale con Scienza e Matematica.
Per cui, se la scuola italiana ha contribuito in parte a creare una sensibilità estetica comune, non ha raggiunto lo stesso obiettivo in relazione alla curiosità scientifica (io ho buoni ricordi della mia prof di matematica alle Superiori, ma spesso schiacciavo pisolini durante le sue lezioni, modello Piperita Patty…. )
Chiudo questo abominio, con una domanda: quante di queste tecniche di marketing, basete sulla teoria del caos e sugli small world, sviluppate a cavallo degli anni Novanta e Duemila, sono applicate nell’editoria italiana ?
Non è una domanda retorica, ma una semplice curiosità, visto che in ambiti simili, paiono funzionare..
December 31, 2015
Bilancio 2015
Come tradizione vuole, a fine anno è tempo di bilanci: dal punto di vista umano e lavorativo, il 2015 è stato un anno di dure sfide, a volte con la sensazione che tutte le fatiche siano vane.
Ma come diceva il buon Giobbe,
Militia est vita hominis super terram
e anche se spesso ci troviamo a combattere battaglie che non abbiamo scelto o voluto, dobbiamo sempre dare il meglio di noi, con dedizione e coraggio, senza tirarsi indietro.E da questo punto di vista non mi aspetto nulla di nuovo da questo 2016
Dal punto di vista letterario, sono soddisfatto, anche se mi aspettavo qualche recensione o stroncatura in più per Lithica: non per vanità, ma per potere imparare qualcosa di più dal confronto con gli altri.
Forse la mia posizione eccentrica, rispetto alle fantascienza italiana, non aiuta: buoni propositi per quest’anno, è terminare i lavori in sospeso, dal romanzo ucronico ambientato negli anni Venti, ormai a buon punto, a un nuovo romanzo ambientato nello stesso mondo di Navi Grigie, alla mio omaggio ai lavori di Sandro Battisti dedicati all’Impero Connettivo.
Dal punto di vista culturale, benchè Roma abbia vissuto un anno difficile, alla giunta Marino poco interessava il tema e la Marinelli, come dimostrato dalla questione dei teatri di periferia, è stata una disgrazia per l’Urbe, sono soddisfatto: l’esperimento di AmArte va avanti, in Primavera ci sarà la nuova edizione, e le varie iniziative all’Esquilino, nonostante qualche arrabbiatura di troppo, sulla questione murales non arretro di un passo, perchè convinto delle mie ragioni, hanno portato buoni risultati.
Insomma, complessivamente, nel 2015 ho combattuto buone battaglie, costruendo qualcosa per me stesso e per gli altri… Da solo però non ci sarei riuscito… Per cui grazie a tutti voi, a cominciare da mia moglie e dalla mia famiglia, che mi siete accanto, mi sopportate e mi aiutate ogni giorno…
Buon Anno a tutti, amici miei !
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