Adele Ross
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Jerome K. Jerome, Jean Webster, Jules Verne, Elizabeth May
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September 2019
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https://www.goodreads.com/adeleross
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Invasione russa in Ucraina: Nuova Cortina di Ferro? (Italian Edition)
by E.T.A. Egeskov (Goodreads Author) |
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“Daniel Whitesmoke non protestò, si limitò a sospirare e a uscire di casa per dedicarsi a una delle cose che amava fare maggiormente, passeggiare.
Avrebbe percorso il viale alberato che costeggiava il fiume godendosi il freddo pungente di quel sabato mattina di fine novembre.
Sarebbe arrivato a Hammersmith Bridge, si sarebbe seduto su una panchina e avrebbe ammirato il panorama.
Il sabato mattina, in fondo, era fatto per quello.
Per rilassarsi, passeggiare e godersi il panorama spettacolare che si poteva vedere solamente da Hammersmith Bridge.
E, ovviamente, per prendere il tè in santa pace non dovendo subire il fastidioso rumore che giungeva dall’appartamento accanto al suo.
Daniel Whitesmoke non amava solo passeggiare, amava anche altre cose, tra cui il silenzio e la riflessione.
Uno dei motivi per cui aveva scelto di vivere ad Angels Street nell’Hammersmith era proprio il silenzio.
E il fatto che poteva vivere mantenendo la sua riservatezza.
Se il quartiere di Hammersmith poteva apparire un mondo fuori dal mondo, l’appartamento di Daniel Whitesmoke poteva sembrare addirittura un altro mondo.
Come tutta la vita di Daniel Whitesmoke d’altronde.
Una vita che a occhi distratti appariva decisamente ordinaria ma che aveva un qualcosa di talmente straordinario che al resto del mondo sarebbe stato precluso se non fosse stato lui stesso a decidere di mostrarlo.
Aveva capelli di un biondo talmente chiaro da apparire quasi bianchi, ribelli anche se lui si ostinava a tenerli tagliati corti.
Due occhi di un azzurro che forse in natura non esisteva nemmeno, mobili e sempre attenti.
Un carattere pacato e movenze morbide che trasmettevano un che di tranquillizzante.
Non scattava mai, non alzava mai la voce, non si agitava mai, non perdeva le staffe.
Non era privo di emozioni ma aveva imparato a gestirle.
Aveva una voce calda ma dolcissima ed era la cosa di lui che le persone notavano per prima.
Non era bello.
Ma non era nemmeno brutto.
Era ordinario, fuori moda e terribilmente buono.
Tanto mansueto da far pensare che la sua ira, qualora fosse mai stata scatenata sarebbe stata devastante.
Viveva a Londra da sempre.
E con da sempre si intende proprio da sempre.
O quasi.
Non stiamo parlando di molto tempo o dal momento della sua nascita che, apparentemente avrebbe potuto essere avvenuta una quarantina di anni prima, anche se non era così.
Stiamo parlando di decenni, di secoli, di millenni.
Di sempre insomma.”
― L'Angelo della porta accanto
Avrebbe percorso il viale alberato che costeggiava il fiume godendosi il freddo pungente di quel sabato mattina di fine novembre.
Sarebbe arrivato a Hammersmith Bridge, si sarebbe seduto su una panchina e avrebbe ammirato il panorama.
Il sabato mattina, in fondo, era fatto per quello.
Per rilassarsi, passeggiare e godersi il panorama spettacolare che si poteva vedere solamente da Hammersmith Bridge.
E, ovviamente, per prendere il tè in santa pace non dovendo subire il fastidioso rumore che giungeva dall’appartamento accanto al suo.
Daniel Whitesmoke non amava solo passeggiare, amava anche altre cose, tra cui il silenzio e la riflessione.
Uno dei motivi per cui aveva scelto di vivere ad Angels Street nell’Hammersmith era proprio il silenzio.
E il fatto che poteva vivere mantenendo la sua riservatezza.
Se il quartiere di Hammersmith poteva apparire un mondo fuori dal mondo, l’appartamento di Daniel Whitesmoke poteva sembrare addirittura un altro mondo.
Come tutta la vita di Daniel Whitesmoke d’altronde.
Una vita che a occhi distratti appariva decisamente ordinaria ma che aveva un qualcosa di talmente straordinario che al resto del mondo sarebbe stato precluso se non fosse stato lui stesso a decidere di mostrarlo.
Aveva capelli di un biondo talmente chiaro da apparire quasi bianchi, ribelli anche se lui si ostinava a tenerli tagliati corti.
Due occhi di un azzurro che forse in natura non esisteva nemmeno, mobili e sempre attenti.
Un carattere pacato e movenze morbide che trasmettevano un che di tranquillizzante.
Non scattava mai, non alzava mai la voce, non si agitava mai, non perdeva le staffe.
Non era privo di emozioni ma aveva imparato a gestirle.
Aveva una voce calda ma dolcissima ed era la cosa di lui che le persone notavano per prima.
Non era bello.
Ma non era nemmeno brutto.
Era ordinario, fuori moda e terribilmente buono.
Tanto mansueto da far pensare che la sua ira, qualora fosse mai stata scatenata sarebbe stata devastante.
Viveva a Londra da sempre.
E con da sempre si intende proprio da sempre.
O quasi.
Non stiamo parlando di molto tempo o dal momento della sua nascita che, apparentemente avrebbe potuto essere avvenuta una quarantina di anni prima, anche se non era così.
Stiamo parlando di decenni, di secoli, di millenni.
Di sempre insomma.”
― L'Angelo della porta accanto
“Mi stai salutando?”.
“Sì”.
“Dopo mesi di mie lettere dove ho messo a nudo la mia anima la tua risposta si riduce a tre messaggi sul cellulare?”.
“Sì”.
“Mi sembra un rapporto sbilanciato il nostro”.
“Il nostro non è un rapporto”.
“E cos'è?”.
Non risponde, così digito un altro messaggio.
“Vuoi discettare in merito all'etimologia della parola rapporto? perché se vuoi una discussione in merito io ho un sacco di tempo, sono bloccata in questo letto”.
“Non voglio una discussione. Però mi fa piacere leggere che utilizzi termini come discettare. Vuol dire che i soldi che impiego per la tua istruzione sono ben spesi”.
“Non hai risposto alla mia prima domanda”.
“E non intendo farlo. Riposati e guarisci. Attendo il tuo articolo la prossima settimana”.
Ma tu pensa questo.
Mi sta scaricando.
Ma è folle se pensa che lo mollo adesso che ho ottenuto un cenno di riscontro.
Anche se devo dire piuttosto scarno.
“Posso scriverti su questo numero se ho voglia di parlare con te?”.
“No”.
“E se io lo facessi lo stesso?”.
“Non ti risponderei”.
“E cosa c'è di nuovo?”.
“Hai intenzione di polemizzare ancora molto?”.
“È l'unico modo che ho per avere un po' di attenzione da te”.
“Non è vero. E tu lo sai”.
“Mesi di lettere e non mi hai mai risposto”.
“Le ho lette tutte”.
“Ma io non potevo saperlo perché tu non mi hai mai scritto nemmeno una riga. Passi il fatto che non vuoi che ti conosca di persona. Oppure che non vuoi un mio ringraziamento. Ma almeno di conoscere il tuo nome di battesimo me lo potresti concedere”.
“Mi hai assegnato tu un nome. Anche se è orribile”.
“Non ti piace mister D.?”.
“Sembra il nome di un rapper”.
“E deduco non ti piaccia nemmeno il rap”.
“No”.
“Non canti?”.
“No”.
“Suoni?”.
“No”.
“Ma allora cosa fai?”.
“Di solito lavoro. Quando non ho una ragazzina che mi risucchia in stupide e inutili polemiche via cellulare”.
“Vuoi che riprendiamo in un altro momento la nostra importante conversazione?”.
“No”.
“Mi hai chiamato ragazzina. Deduco che tu sia vecchio e noioso”.
“La signora Lippett non mi aveva avvisato che tu fossi una stalker”.
“Se lo avesse fatto non si sarebbe mai liberata di me”.”
― Un inaspettato benefattore
“Sì”.
“Dopo mesi di mie lettere dove ho messo a nudo la mia anima la tua risposta si riduce a tre messaggi sul cellulare?”.
“Sì”.
“Mi sembra un rapporto sbilanciato il nostro”.
“Il nostro non è un rapporto”.
“E cos'è?”.
Non risponde, così digito un altro messaggio.
“Vuoi discettare in merito all'etimologia della parola rapporto? perché se vuoi una discussione in merito io ho un sacco di tempo, sono bloccata in questo letto”.
“Non voglio una discussione. Però mi fa piacere leggere che utilizzi termini come discettare. Vuol dire che i soldi che impiego per la tua istruzione sono ben spesi”.
“Non hai risposto alla mia prima domanda”.
“E non intendo farlo. Riposati e guarisci. Attendo il tuo articolo la prossima settimana”.
Ma tu pensa questo.
Mi sta scaricando.
Ma è folle se pensa che lo mollo adesso che ho ottenuto un cenno di riscontro.
Anche se devo dire piuttosto scarno.
“Posso scriverti su questo numero se ho voglia di parlare con te?”.
“No”.
“E se io lo facessi lo stesso?”.
“Non ti risponderei”.
“E cosa c'è di nuovo?”.
“Hai intenzione di polemizzare ancora molto?”.
“È l'unico modo che ho per avere un po' di attenzione da te”.
“Non è vero. E tu lo sai”.
“Mesi di lettere e non mi hai mai risposto”.
“Le ho lette tutte”.
“Ma io non potevo saperlo perché tu non mi hai mai scritto nemmeno una riga. Passi il fatto che non vuoi che ti conosca di persona. Oppure che non vuoi un mio ringraziamento. Ma almeno di conoscere il tuo nome di battesimo me lo potresti concedere”.
“Mi hai assegnato tu un nome. Anche se è orribile”.
“Non ti piace mister D.?”.
“Sembra il nome di un rapper”.
“E deduco non ti piaccia nemmeno il rap”.
“No”.
“Non canti?”.
“No”.
“Suoni?”.
“No”.
“Ma allora cosa fai?”.
“Di solito lavoro. Quando non ho una ragazzina che mi risucchia in stupide e inutili polemiche via cellulare”.
“Vuoi che riprendiamo in un altro momento la nostra importante conversazione?”.
“No”.
“Mi hai chiamato ragazzina. Deduco che tu sia vecchio e noioso”.
“La signora Lippett non mi aveva avvisato che tu fossi una stalker”.
“Se lo avesse fatto non si sarebbe mai liberata di me”.”
― Un inaspettato benefattore
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1072 | 75 | Aug 01, 2020 08:36AM | |
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865 | 69 | Nov 30, 2020 01:00PM |
“Daniel Whitesmoke non protestò, si limitò a sospirare e a uscire di casa per dedicarsi a una delle cose che amava fare maggiormente, passeggiare.
Avrebbe percorso il viale alberato che costeggiava il fiume godendosi il freddo pungente di quel sabato mattina di fine novembre.
Sarebbe arrivato a Hammersmith Bridge, si sarebbe seduto su una panchina e avrebbe ammirato il panorama.
Il sabato mattina, in fondo, era fatto per quello.
Per rilassarsi, passeggiare e godersi il panorama spettacolare che si poteva vedere solamente da Hammersmith Bridge.
E, ovviamente, per prendere il tè in santa pace non dovendo subire il fastidioso rumore che giungeva dall’appartamento accanto al suo.
Daniel Whitesmoke non amava solo passeggiare, amava anche altre cose, tra cui il silenzio e la riflessione.
Uno dei motivi per cui aveva scelto di vivere ad Angels Street nell’Hammersmith era proprio il silenzio.
E il fatto che poteva vivere mantenendo la sua riservatezza.
Se il quartiere di Hammersmith poteva apparire un mondo fuori dal mondo, l’appartamento di Daniel Whitesmoke poteva sembrare addirittura un altro mondo.
Come tutta la vita di Daniel Whitesmoke d’altronde.
Una vita che a occhi distratti appariva decisamente ordinaria ma che aveva un qualcosa di talmente straordinario che al resto del mondo sarebbe stato precluso se non fosse stato lui stesso a decidere di mostrarlo.
Aveva capelli di un biondo talmente chiaro da apparire quasi bianchi, ribelli anche se lui si ostinava a tenerli tagliati corti.
Due occhi di un azzurro che forse in natura non esisteva nemmeno, mobili e sempre attenti.
Un carattere pacato e movenze morbide che trasmettevano un che di tranquillizzante.
Non scattava mai, non alzava mai la voce, non si agitava mai, non perdeva le staffe.
Non era privo di emozioni ma aveva imparato a gestirle.
Aveva una voce calda ma dolcissima ed era la cosa di lui che le persone notavano per prima.
Non era bello.
Ma non era nemmeno brutto.
Era ordinario, fuori moda e terribilmente buono.
Tanto mansueto da far pensare che la sua ira, qualora fosse mai stata scatenata sarebbe stata devastante.
Viveva a Londra da sempre.
E con da sempre si intende proprio da sempre.
O quasi.
Non stiamo parlando di molto tempo o dal momento della sua nascita che, apparentemente avrebbe potuto essere avvenuta una quarantina di anni prima, anche se non era così.
Stiamo parlando di decenni, di secoli, di millenni.
Di sempre insomma.”
― L'Angelo della porta accanto
Avrebbe percorso il viale alberato che costeggiava il fiume godendosi il freddo pungente di quel sabato mattina di fine novembre.
Sarebbe arrivato a Hammersmith Bridge, si sarebbe seduto su una panchina e avrebbe ammirato il panorama.
Il sabato mattina, in fondo, era fatto per quello.
Per rilassarsi, passeggiare e godersi il panorama spettacolare che si poteva vedere solamente da Hammersmith Bridge.
E, ovviamente, per prendere il tè in santa pace non dovendo subire il fastidioso rumore che giungeva dall’appartamento accanto al suo.
Daniel Whitesmoke non amava solo passeggiare, amava anche altre cose, tra cui il silenzio e la riflessione.
Uno dei motivi per cui aveva scelto di vivere ad Angels Street nell’Hammersmith era proprio il silenzio.
E il fatto che poteva vivere mantenendo la sua riservatezza.
Se il quartiere di Hammersmith poteva apparire un mondo fuori dal mondo, l’appartamento di Daniel Whitesmoke poteva sembrare addirittura un altro mondo.
Come tutta la vita di Daniel Whitesmoke d’altronde.
Una vita che a occhi distratti appariva decisamente ordinaria ma che aveva un qualcosa di talmente straordinario che al resto del mondo sarebbe stato precluso se non fosse stato lui stesso a decidere di mostrarlo.
Aveva capelli di un biondo talmente chiaro da apparire quasi bianchi, ribelli anche se lui si ostinava a tenerli tagliati corti.
Due occhi di un azzurro che forse in natura non esisteva nemmeno, mobili e sempre attenti.
Un carattere pacato e movenze morbide che trasmettevano un che di tranquillizzante.
Non scattava mai, non alzava mai la voce, non si agitava mai, non perdeva le staffe.
Non era privo di emozioni ma aveva imparato a gestirle.
Aveva una voce calda ma dolcissima ed era la cosa di lui che le persone notavano per prima.
Non era bello.
Ma non era nemmeno brutto.
Era ordinario, fuori moda e terribilmente buono.
Tanto mansueto da far pensare che la sua ira, qualora fosse mai stata scatenata sarebbe stata devastante.
Viveva a Londra da sempre.
E con da sempre si intende proprio da sempre.
O quasi.
Non stiamo parlando di molto tempo o dal momento della sua nascita che, apparentemente avrebbe potuto essere avvenuta una quarantina di anni prima, anche se non era così.
Stiamo parlando di decenni, di secoli, di millenni.
Di sempre insomma.”
― L'Angelo della porta accanto
“Mi stai salutando?”.
“Sì”.
“Dopo mesi di mie lettere dove ho messo a nudo la mia anima la tua risposta si riduce a tre messaggi sul cellulare?”.
“Sì”.
“Mi sembra un rapporto sbilanciato il nostro”.
“Il nostro non è un rapporto”.
“E cos'è?”.
Non risponde, così digito un altro messaggio.
“Vuoi discettare in merito all'etimologia della parola rapporto? perché se vuoi una discussione in merito io ho un sacco di tempo, sono bloccata in questo letto”.
“Non voglio una discussione. Però mi fa piacere leggere che utilizzi termini come discettare. Vuol dire che i soldi che impiego per la tua istruzione sono ben spesi”.
“Non hai risposto alla mia prima domanda”.
“E non intendo farlo. Riposati e guarisci. Attendo il tuo articolo la prossima settimana”.
Ma tu pensa questo.
Mi sta scaricando.
Ma è folle se pensa che lo mollo adesso che ho ottenuto un cenno di riscontro.
Anche se devo dire piuttosto scarno.
“Posso scriverti su questo numero se ho voglia di parlare con te?”.
“No”.
“E se io lo facessi lo stesso?”.
“Non ti risponderei”.
“E cosa c'è di nuovo?”.
“Hai intenzione di polemizzare ancora molto?”.
“È l'unico modo che ho per avere un po' di attenzione da te”.
“Non è vero. E tu lo sai”.
“Mesi di lettere e non mi hai mai risposto”.
“Le ho lette tutte”.
“Ma io non potevo saperlo perché tu non mi hai mai scritto nemmeno una riga. Passi il fatto che non vuoi che ti conosca di persona. Oppure che non vuoi un mio ringraziamento. Ma almeno di conoscere il tuo nome di battesimo me lo potresti concedere”.
“Mi hai assegnato tu un nome. Anche se è orribile”.
“Non ti piace mister D.?”.
“Sembra il nome di un rapper”.
“E deduco non ti piaccia nemmeno il rap”.
“No”.
“Non canti?”.
“No”.
“Suoni?”.
“No”.
“Ma allora cosa fai?”.
“Di solito lavoro. Quando non ho una ragazzina che mi risucchia in stupide e inutili polemiche via cellulare”.
“Vuoi che riprendiamo in un altro momento la nostra importante conversazione?”.
“No”.
“Mi hai chiamato ragazzina. Deduco che tu sia vecchio e noioso”.
“La signora Lippett non mi aveva avvisato che tu fossi una stalker”.
“Se lo avesse fatto non si sarebbe mai liberata di me”.”
― Un inaspettato benefattore
“Sì”.
“Dopo mesi di mie lettere dove ho messo a nudo la mia anima la tua risposta si riduce a tre messaggi sul cellulare?”.
“Sì”.
“Mi sembra un rapporto sbilanciato il nostro”.
“Il nostro non è un rapporto”.
“E cos'è?”.
Non risponde, così digito un altro messaggio.
“Vuoi discettare in merito all'etimologia della parola rapporto? perché se vuoi una discussione in merito io ho un sacco di tempo, sono bloccata in questo letto”.
“Non voglio una discussione. Però mi fa piacere leggere che utilizzi termini come discettare. Vuol dire che i soldi che impiego per la tua istruzione sono ben spesi”.
“Non hai risposto alla mia prima domanda”.
“E non intendo farlo. Riposati e guarisci. Attendo il tuo articolo la prossima settimana”.
Ma tu pensa questo.
Mi sta scaricando.
Ma è folle se pensa che lo mollo adesso che ho ottenuto un cenno di riscontro.
Anche se devo dire piuttosto scarno.
“Posso scriverti su questo numero se ho voglia di parlare con te?”.
“No”.
“E se io lo facessi lo stesso?”.
“Non ti risponderei”.
“E cosa c'è di nuovo?”.
“Hai intenzione di polemizzare ancora molto?”.
“È l'unico modo che ho per avere un po' di attenzione da te”.
“Non è vero. E tu lo sai”.
“Mesi di lettere e non mi hai mai risposto”.
“Le ho lette tutte”.
“Ma io non potevo saperlo perché tu non mi hai mai scritto nemmeno una riga. Passi il fatto che non vuoi che ti conosca di persona. Oppure che non vuoi un mio ringraziamento. Ma almeno di conoscere il tuo nome di battesimo me lo potresti concedere”.
“Mi hai assegnato tu un nome. Anche se è orribile”.
“Non ti piace mister D.?”.
“Sembra il nome di un rapper”.
“E deduco non ti piaccia nemmeno il rap”.
“No”.
“Non canti?”.
“No”.
“Suoni?”.
“No”.
“Ma allora cosa fai?”.
“Di solito lavoro. Quando non ho una ragazzina che mi risucchia in stupide e inutili polemiche via cellulare”.
“Vuoi che riprendiamo in un altro momento la nostra importante conversazione?”.
“No”.
“Mi hai chiamato ragazzina. Deduco che tu sia vecchio e noioso”.
“La signora Lippett non mi aveva avvisato che tu fossi una stalker”.
“Se lo avesse fatto non si sarebbe mai liberata di me”.”
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